Maurizio Lupi e Angelino Alfano (foto LaPresse)

Renzi chiede le dimissioni "spontanee" di Lupi. Si media

Redazione
Il Nuovo centrodestra difende Lupi, almeno per adesso, almeno per altre ventiquattr’ore. Ragioni della fretta (e il non detto)

Roma. Ad Angelino Alfano, Matteo Renzi ha chiesto le dimissioni “spontanee” di Maurizio Lupi dal ministero delle Infrastrutture, ma il Nuovo centrodestra difende, almeno per adesso, almeno per altre ventiquattr’ore, il suo ministro. “Non c’è ragione per cui debba dimettersi”, è stata infatti la risposta di Alfano a Renzi, dopo che il presidente del Consiglio gli aveva dato tre ore per sondare il terreno con i suoi e comunicargli una linea ufficiale. E insomma il capo del governo sembra volersi comportare come il giustiziere della notte, con Lupi, che a Firenze, nell’inchiesta sulla corruzione nelle grandi opere pubbliche, per la verità non è nemmeno indagato. E così, agli uomini che stanno intorno ad Alfano, la fretta del premier ieri sera è sembrata rivelare più la sua voglia di recuperare al Pd il ministero delle grandi opere, quel granaio di soldi pubblici e potere che Renzi avrebbe voluto sin dal suo primo giorno a Palazzo Chigi, che una sincera inclinazione al giustizialismo.

 

“Renzi rivuole indietro un ministero, ‘quel’ ministero”, dicono al Foglio. Tutti infatti ricordano come Renzi difese, per esempio, Vasco Errani, il presidente dell’Emilia Romagna condannato in Appello per falso ideologico, il dirigente del Pd al quale il presidente del Consiglio chiese di restare, malgrado tutto, alla guida della regione. “Ci sono cose che destano inquietudine e preoccupazione. E’ evidente che Lupi debba chiarire”, ha detto il presidente del Pd, Matteo Orfini, rafforzando l’idea che Renzi stia stringendo una tenaglia attorno a Lupi: forse, da Firenze, dalla sua città, ha notizie riservate che aggravano la posizione del ministro? Chissà. Difficile che ci siano contraccolpi nella maggioranza. Alfano ha preso tempo: per adesso difende Lupi, ma con democristiana morbidezza. Anche Renzi non è stato (non ancora) categorico. E l’impressione nel Palazzo è che la vicenda, in un modo o nell’altro, sia destinata a concludersi con il reciproco consenso delle parti.

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