Matteo Renzi visita i cantieri di Expo a Milano-Rho Pero (LaPresse)

Riforme? No. Carisma? No. Età? No. La chiave del successo renziano è in una parola: contemporaneità

Claudio Cerasa
Ora che con il giovane Renzi è da un po’ che gli elettori e i lettori hanno cominciato a fare i conti, è possibile, lasciando da parte per un attimo persino la politica, capire perché mai il presidente del Consiglio piace, e quali sono le caratteristiche che lo rendono oggi l’unico leader di partito che può pensare alle elezioni senza farsela nei pantaloni? - di Claudio Cerasa

Le riforme annunciate, e vabbè. L’anno sulla carta d’identità, e d’accordo. La sfacciataggine, e anche quella ha un peso. Ma ora che con il giovane Renzi è da un po’ che gli elettori e i lettori hanno cominciato a fare i conti, è possibile, lasciando da parte per un attimo persino la politica, capire perché mai il presidente del Consiglio piace, e quali sono le caratteristiche che lo rendono oggi l’unico leader di partito che può pensare alle elezioni senza farsela nei pantaloni? Abbiamo scritto più volte che, dal punto di vista antropologico e culturale, il tratto più forte e forse più importante del leader della sinistra è quello di essere il più contemporaneo tra i politici in circolazione, ed è quello di essere l’unico in circolazione a rispondere a tutte le caratteristiche che una leadership moderna deve avere. Un tratto che tempo fa sintetizzò così un formidabile filosofo ceco, Vaclav Belohradsky, di cui abbiamo già parlato su questo giornale: “Le egemonie si svuotano quando cessano di essere attuali e solitamente diventa portatore di un’egemonia alternativa quel gruppo che riesce a rappresentare l’attualità, a convincere gli elettori di saper governare la minacciosa differenza tra il passato e il futuro che costringe la maggioranza dei cittadini a ridefinire i loro progetti di vita”. Renzi è questo. Piace soprattutto per questo. E Renzi gioca molto con il suo essere contemporaneo, che non deriva solo dall’età – che comunque conta, contano i suoi 40 anni, i 47 anni di media del suo governo, conta che l’età media degli elettori oggi sia quella, si aggira attorno ai 42, ed è un dettaglio che ha un peso, eccome se ce l’ha – ma deriva anche dai messaggi a volte espliciti e a volte impliciti contenuti nella sua figura di leader. Cosa ci dicono questi messaggi? E perché possono far sorridere, sì, ma colpiscono forte e hanno una presa sugli elettori e sui politici superiore alla media?

 

Il professor Claudio Giunta, docente di Letteratura italiana all’Università di Trento, ha appena pubblicato con il Mulino un libro delizioso sull’era del renzismo e in particolare su cosa significhi (è il titolo del saggio) “Essere #matteorenzi”. Il ritratto che Giunta fa di Renzi è perfetto. “Renzi non è un reazionario, non ha un debole per il mondo naturale o per la vita semplice del passato. Ha un debole per questo mondo, con i suoi X-Factor e i suoi tweet. E’ il contrario di un luddista. Anziché metterlo a disagio come accade a quelli un po’ più vecchi di lui, i dispositivi della tecnica lo affascinano. […] Non fosse il presidente del Consiglio lo si incontrerebbe da Media World in trance acquisitiva, come Fantozzi, mentre mette nel carrello l’ultimo modello di iPhone, la nuovissima telecamera compatta (il premoderno Berlusconi, per capirci, stampava edizioni del De contemptu mundi di Innocenzo III e finanziava la traduzione dello Zibaldone di Leopardi)”.
Anche sotto questa prospettiva, la contemporaneità è la cifra giusta per capire l’epoca renziana – lo è forse ancora più delle promesse del governo, lo è forse ancora più dei risultati ottenuti dalla banda di Palazzo Chigi. E il linguaggio del presidente del Consiglio, con tutti gli stili, gli stilemi e i suoi limiti, può piacere o no ma è il linguaggio di un pezzo maggioritario di un paese che oggi, come lui, sogna a grandi linee un sistema politico più snello, più veloce, meno frammentato, meno dominato dalle burocrazie, meno governato dalle corporazioni, meno controllato dalle minoranze; un sistema dove quando si parla di lavoro è più importante pensare non alle conseguenze che potrà avere una riforma su chi un lavoro lo ha già, ma alle conseguenze che potrà avere la riforma su chi un lavoro non ce l’ha; un sistema dove, quando si parla di giustizia, è più importante pensare non alle conseguenze che potrà avere una riforma su chi sbaglia nel mondo della giustizia ma su quali conseguenze potrà avere su chi fino a oggi le ingiustizie le ha subite.

 

[**Video_box_2**]Nella contemporaneità renziana, naturalmente, i numeri e i risultati hanno un impatto importante nel rapporto tra governanti e governati. Ma nell’attesa che si possa avere qualche numero con cui poter fare i conti – e con cui inchiodare o elogiare Renzi non per quello che ha detto ma per quello che ha fatto – è la simbologia che smuove le masse, che anima gli elettori, che smussa i sondaggi, che conquista gli avversari e che, se necessario, fa vincere le elezioni. Renzi, da questo punto di vista, piace per il suo essere, sotto molti profili, un italiano che prova a rimanere nella linea mediana del paese, quasi nella media. Con l’inglese, per esempio, ma è solo un piccolo dettaglio, ci riesce benissimo, è nella media del paese, e lo è in modo naturale. Il messaggio che esce da ogni parola di Renzi, scrive ancora Giunta, funziona perché il presidente del Consiglio “non vuole cambiare l’esistenza, non vuole mettere il mondo su altri binari, vuole che i binari su cui si trova scorrano meglio”. Ed è contemporaneo, Renzi, anche perché, “come la gran parte delle persone che non studia per mestiere, sa due generi di cose e sono quelle che gli hanno insegnato a scuola, cioè il ricordo di quelle che gli hanno insegnato a scuola, e quelle che capta, o i suoi collaboratori captano, sui giornali e in tv”.

 

I prossimi mesi ci diranno se tra il dire e il fare c’è di mezzo anche qualche concreto risultato extraparlamentare. Ma nell’attesa che si capisca se la rottamazione funziona dal punto di vista economico la chiave della contemporaneità ci sembra l’unica utile per capire perché il renzismo per ora funziona anche senza aver raggiunto chissà quali risultati. Passa tutto da qui, se ci pensate, e per provare a competere o magari anche sconfiggere in futuro il presidente del Consiglio bisogna pensare anche al carrello di Media World.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.