Karima el Mahroug, durante un'udienza del processo a carico di Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Quelli che fischiettano dicendo che il caso Ruby è stato un processo normale

Claudio Cerasa
Far finta che la vicenda giudiziara del Cav. sia solo una delle tante (come ha fatto ieri il direttore di Repubblica) vuol dire chiudere gli occhi davanti ai problemi della giustizia italiana. Non è facile ammettere di aver giocato per anni con il fango.

Va benissimo, lo capiamo. Non è facile ammettere di aver giocato per anni con il fango. Non è facile ammettere di aver offerto per anni ai propri lettori spazzatura pornogiornalistica sui fatti privati di una persona. Non è facile riconoscere che un peccato non è un reato e che un reato ha bisogno di prove e non di suggestioni. Non è facile riconoscere che quello che per anni è stato spacciato come il principale problema del paese – le feste di Berlusconi – era un modo per giustificare la propria incontenibile voglia di spiare il mondo dal buco della serratura. Ma prenderci in giro, no. E chi dice, come ha fatto ieri il direttore di Rep., che non c’è niente di strano, che non bisogna esagerare, che Berlusconi, da normale cittadino, è stato solo indagato per un reato sul quale c’erano gravi indizi ed è stato poi normalmente processato, senza che ci sia stato nulla di strano in questo processo, dice qualcosa che non corrisponde al vero, e compie un atto grave di rimozione della verità. Ieri Marco Pannella, in una bombastica intervista al Quotidiano Nazionale, ha messo in fila con lucidità un po’ di fatti su Berlusconi, ha ricordato in modo smaliziato che l’inchiesta su Ruby ha mostrato i limiti della giustizia italiana, ha detto che è una vergogna confondere problemi di costume con questioni pubbliche, ha ricordato che la politica è condizionata da sentenze manifestamente ingiuste e che su Berlusconi “una componente persecutoria è innegabile”. Invieremo con un Pony l’intervista agli amici di Largo Fochetti ma oltre alle parole del leader Radicale ci sono alcuni fatti da ricordare per capire perché appare surreale fischiettare di fronte a cinque anni di sputtanamento permanente.

 

E più che fare la cronaca del pornogiornalismo c’è un passaggio dell’inchiesta su Ruby che ci sembra utile da segnalare per comprendere cosa si intende quando si parla di un Berlusconi trattato non come un normale imputato. E’ un piccolo passaggio che ci ha suggerito qualche mese fa su questo giornale un importante magistrato, Piero Tony, ex procuratore capo di Prato, che riguarda un altro magistrato che oggi lavora a Prato e che ha avuto un ruolo importante nell’inchiesta su Ruby: Antonio Sangermano. Tony ci ha raccontato che, non appena giunto a Prato, al dottor Sangermano è arrivata una richiesta da parte del Csm e della procura di Milano per distaccare il dottor Sangermano, in virtù di un “processo delicato”, e utilizzarlo per il processo Ruby. Era il dicembre 2011. “In virtù di un processo straordinario – disse Tony – mi hanno chiesto di dare un mio uomo prezioso in prestito a un’altra procura”. Il procuratore provò a respingere la richiesta. Scrisse a Milano e al Csm dicendo che l’impegno di Sangermano nel “delicato processo a Milano” non appariva paragonabile all’impegno quotidiano dei magistrati del suo ufficio e che quello che riguardava il processo a carico dell’ex premier era un processo legato a mere violazioni alla legge Merlin, nulla di più. Il Csm, ovviamente, non ascoltò Tony e non lo fece perché il processo era speciale, delicato, non usuale, pur essendo il reato non speciale, non delicato, non inusuale. Giustizia ad personam, si potrebbe dire. E questo è solo un piccolo caso. Uno dei tanti che dimostra però che fischiettare di fronte a quello che è successo attorno al caso Ruby significa far finta di non aver capito quelli che sono i drammi della giustizia italiana. Un processo normale, eh? Ma per favore.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.