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Piccola Posta
Anno 1989: l'Italia lacerata per una bambina sottratta ai genitori adottivi
Tutte le storie sono diverse, soprattutto quando si assomigliano. Quella di Serena Cruz, che all'epoca aveva tre anni, appassionò Natalia Ginzburg, che la seguì con trepidazione
Tutte le storie sono diverse, tanto più quando si assomigliano. Nel 1989 l’Italia fu commossa e lacerata dalla storia di una bambina, che si chiamava Serena Cruz, aveva tre anni e fu tolta ai genitori adottivi coi quali viveva, che si chiamavano Rosanna e Francesco Giubergia, lui un ferroviere, lei un’infermiera. Avevano perduto un figlio anni prima, poi avevano adottato un bambino filippino, Nazario. Nel 1987 il signor Giubergia era tornato da Racconigi (Cuneo), dove abitavano, a Manila, col proposito di dargli un fratello o una sorella. La neonata Serena era stata abbandonata, ed era una cucciola poverissima, malata, selvatica e spaventata. La sua vita cambiò nell’anno e mezzo trascorso nella nuova famiglia: era amatissima, li ricambiava. A Manila, Francesco G. aveva sbrigato le pratiche come gli era sembrato più rapido. Si dichiarò padre naturale della piccola. Quando chiese in Italia di riconoscere Serena come figlia legittima, da illegittima che risultava, il Tribunale dei minori se ne occupò. Alla fine decise che la bambina fosse loro sottratta e assegnata a un’altra famiglia. L’ultimo atto, della Corte d’appello, non mancò di premettere: “Questa Corte si rende conto che togliere una bambina da una famiglia in cui è inserita da un anno (e sulla positività di tale inserimento vi sono negli atti riscontri autorevoli di medici e psicologi) costituisce un trauma assai grave. Ma ci sono esigenze di rispetto della legge…”.
Erano venute a vedere la bambina solo due dottoresse della Usl, testimoniando che era tenuta bene e in buona salute. Né il tutore d’ufficio né alcuno dei giudici si mosse mai per venire a vederla nei 14 mesi di durata della pratica. L’intero paese di Racconigi, con parroco e sindaco, fece uno sciopero, in solidarietà con la famiglia. Si raccolsero migliaia di firme in tutta Italia. Si fece sentire il presidente della Repubblica. La bambina fu portata via per un luogo tenuto segreto. Tempo dopo si assicurò a un’opinione pubblica turbata che la bambina stava benissimo nella nuova destinazione. Francesco G. chiese invano di essere messo in carcere lui, ma che la bambina fosse restituita alla sua casa.
Natalia Ginzburg aveva seguito anche lei con trepidazione la vicissitudine e ne aveva scritto sui giornali. Decise di scrivere un libro. Riportò una raccolta di posizioni espresse sul caso, quelle da cui discordava, che erano anche di suoi cari amici, come Norberto Bobbio, e quelle con cui consentiva. “Scrivo – disse – per testimoniare solidarietà alle persone a cui sono stati strappati i bambini che esse avevano fino a quel giorno amato e accudito”. Prese in conto le ragioni di assistenti sociali e magistrate, mostrò di capirle, le mise a confronto come si fa tra una cosa astratta e una concreta, una cosa legale e una cosa giusta. Come succede dal tempo del re Salomone e delle due pretese madri. L’Italia era in effetti divisa in due. Anche allora i giudici ricevettero minacce anonime: venivano, disse, da un’Italia che non obbedisce affatto a impulsi emotivi, ma vuole spaventare, gettare discredito su tutti e inquinare l’aria.
Frequentò convegni, si fece un’idea amara del mondo delle varie associazioni sociali e in genere dei giudici minorili: “Delirante e irreale”. Si mise a studiare le leggi sulle adozioni e la casistica internazionali di storie analoghe e diversissime fra loro. Spiegò di non volere scrivere un saggio sulle adozioni. Andò a trovare i Giubergia, nella loro casa, col loro ragazzo intimidito, in ricordo delle assistenti sociali... “In verità – scrisse – il bene del bambino è crescere con qualcuno che gli vuol bene. Il bene lascia radici. Spezzare e devastare queste radici può fare di lui un infelice per tutta la vita. Per tutta la sua vita si porterà dietro il ricordo consapevole o inconscio di quel giorno in cui a un tratto è scomparsa la sua casa, la sua famiglia, tutto quello che lui credeva suo. Il bene di un bambino è crescere con qualcuno per cui egli è un valore supremo. I bambini che crescono negli istituti sentono di non essere un valore supremo per nessuno al mondo … Se cresce così non lo toccate. Non dovrebbe a nessuno essere consentito di toccarlo… I bambini dovrebbero essere tolti alle persone che li crescono soltanto per motivi di una gravità estrema. ... Quando le persone che li crescono gli fanno del male. Però del male vero, visibile, concreto, palese. ... Quando è impossibile metter fine a una situazione tremenda se non con una separazione. Allora è un fatto di forza maggiore. Soltanto allora lo stato ha il diritto di intervenire. Diversamente ogni intervento dello stato è violento e ingiusto. Ed è sempre violento e ingiusto, senza valide motivazioni, ogni intervento dello stato nella vita privata della gente. … Riguardo all’ordine, come fanno a decidere e stabilire che un bambino cresce meglio nell’ordine che nel disordine, quando esistono infiniti esempi di persone che, nel disordine, sono diventate adulte in un modo meraviglioso?”. Si irridevano i “buoni sentimenti”. Ma “i buoni sentimenti sono meritevoli di disprezzo quando sono finti, non quando sono veri”.
L’ho detto: tutte le storie sono diverse soprattutto quando si assomigliano. Il libro di Natalia, dicembre 1989, aveva soltanto 96 pagine. Ieri, siccome volevo ricordarlo, ho consultato la rete. Ho trovato notizie su Serena Cruz, sui suoi 18 anni di maggiorenne. (Oggi ne ha 39). “Mi auguro che una storia come la mia non capiti più a nessun altro bambino”.