 
                foto di Simone Tinella (WikiCommons)
Piccola Posta
Gli studenti di Ortigia senza casa
Una volta l'isola siracusana era poverissima, per nulla trendy, mentre ora è parte integrate del mondo diventato lussuoso. Ammetto di aver involontariamente simpatizzato con la scritta: "Turisti a casa"
Ieri ero a Siracusa, per un incontro con gli studenti di architettura. Quando scrivo non so come sia andato, ma è andata benissimo la mia mezza giornata precedente. Che Siracusa sia splendida lo sapete, e se piace tanto a me non c’è ragione per lamentarsi della moltitudine di turisti che la affollano. Tuttavia ammetto di aver involontariamente simpatizzato con la scritta TURISTI A CASA, su un muro di Ortigia. (Altre scritte: “- PIPPE + POPPE”, e quella, invasata di comparazioni, NAPOLI MERDA COME CATANIA). Ebbi trascorsi intensi a Ortigia, che non era ancora diventata così trendy, e anzi era poverissima, feci non pochi comizi in piazza Archimede, senza averne ora nostalgia, ma con un gran rispetto per quelli che stavano a sentire.
Ora a Ortigia gli studenti non trovano più case in cui abitare, come nel resto del mondo diventato lussuoso. “La cattiva notizia è che i giovani e i poveri non se la possono più permettere” (era Marshall Berman, sul Bronx). La Fonte Aretusa è di quelle cose che, anche a frequentarle tutti i giorni della vita, si rifotografano, benché cambi poco: la pulizia, l’età del cigno, il passo delle anatre, che ispirò La Capria. I papiri rigogliosi: dei quali ho il ricordo affettuoso di un artista come Paolo Noto, che mi insegnò la storia della ninfa Ciane e del suo innamorato Anapo e delle acque in cui si erano fusi, le sole in cui cresca il papiro selvatico fuori dall’Egitto. Ho visitato di nuovo il Museo Bellomo, che ospita una mostra di fotografie di Marco Delogu in contrappunto con Antonello (protratta fino al 2 novembre), e poi il Duomo e la chiesa di Santa Lucia alla Badia, che ha nel Parlatorio delle monache una copia ridimensionata del Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio, che i turisti prendono per l’originale, e non fanno male, perché la sede cui il quadro è tornato è oltre Ortigia, nella Borgata, nella chiesa – bellissima, come il Battistero – di Santa Lucia al Sepolcro, e almeno nell’orario della mia camminata era chiusa, e in cambio un murale adiacente col Caravaggio copre la fiancata di una casa di cinque piani.
Deluso, sono arrivato al Santuario della Madonna delle Lacrime, che i miei amici architetti apprezzano cordialmente, in una diatriba fra le più aspre e interminabili della storia: e do loro ragione, tanto più che la cupola, in scala colossale, mi ha ricordato quelle dei templi yazidi, tende scanalate che scendono dal cielo, o ci salgono. Spalancare le finestre della facoltà di architettura – che non si chiama più così, ho imparato, e questa poi si chiama Struttura Didattica Speciale, perché il Dipartimento è a Catania – è come trovarsi in mezzo al mare, e del resto appena sotto c’è gente che fa il bagno. Ai Villini, sotto la chiesa di San Tommaso al Pantheon, che sembra tipicamente fascista ed è invece del 1919 e poi dedicata alla Liberazione, si allestivano le bancarelle della Fiera dei Morti, che apre oggi, ma allegre.
 
                             
                                