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Piccola Posta

L'eleganza del maneggiare la differenza di opinioni

Adriano Sofri

Massimo Onofri, sull'Avvenire, recensisce "Saggisti italiani del Novecento" e coglie l'occasione di "ridimensionare certi miti personali", come quello di Gesare Garboli. Alfonso Berardinelli, sul Foglio, pubblica un ricordo grato e combattivo dello stesso Garboli. Una felice coincidenza fra i due interventi 

Non possiedo una mia teoria del saggio. Solo un principio di precauzione, riguardo all’aggettivo brillante: un brillante saggio. Di un buon romanzo infatti non si dice. Insomma, stavo appunto leggendo un brillantissimo saggio di Zadie Smith per il New Yorker, “L’arte del saggio impersonale”, e sono passato all’Avvenire di martedì, dove Massimo Onofri – che saluto, devo parecchio ai suoi libri su Leonardo Sciascia – recensiva la raccolta di saggistica italiana, agilmente monumentale, curata da Alfonso Berardinelli, “maestro indiscusso epperò riluttante e solitario”, e dall’“enfant prodige” Matteo Marchesini: “Saggisti italiani del Novecento”, pp. 1.470 (sic!), Quodlibet. Onofri confermava di non essere snob, non evitando di menzionare, in tanta mole, le clamorose esclusioni: per lui Salvatore Satta e Gesualdo Bufalino. (Lo farò anch’io, è un piacere e non ha niente di scortese). E coglieva, con sobria irriverenza, l’occasione di “ridimensionare certi miti personali”, come quello di Cesare Garboli, “dalla mia generazione idolatrato”. 


All’indomani, mercoledì, sul Foglio, Alfonso Berardinelli ha pubblicato un ricordo grato e combattivo di Cesare Garboli, sottolineando l’affinità umana e stilistica che aveva sentito nei suoi confronti. E il desiderio, inesaudito, di averlo per terzo, compagno di strada e magari collaboratore del “Diario”, la rivista personale sua e del suo quasi alter ego Piergiorgio Bellocchio. “Alla fine del Novecento nessun altro letterato italiano ha avuto nella nostra cultura un prestigio e un seguito pari al suo, arrivando quasi a trasformare l’idea stessa di letteratura e di critica letteraria”. 


La coincidenza – forse è stata solo questo – fra i due interventi mi è piaciuta. Io invidio la naturalezza acuta e libertina con cui Garboli trattava l’opera entrando nella vita di scrittrici e scrittori. “Mettendole a nudo”, dice Berardinelli. Mi è piaciuto il modo, casuale o no, di maneggiare e mostrare una differenza di opinioni, su Garboli e sul mondo. Meglio che scriverci su un saggio. 

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