Raphael Lemkin (WikiCommons)

Piccola Posta

Tre parole che hanno cambiato la nostra comprensione del mondo

Adriano Sofri

Genocidio, urbicidio e femminicidio. La relazione fra questi tre nomi è decisiva, e vale ad aggiornare e approfondire l'esausto binomio di guerra e pace

Ci si adatta facilmente a certe parole nuove, comprese le più cretine, e si resiste ad altre. Specialmente a femminicidio, che ancora solleva obiezioni con pretese giuridiche o metafisiche, o contente di denunciarne una cacofonia o una superfluità – “c’è già uxoricidio”… E’ un fatto che tre parole di conio più o meno recente e, quanto alla formazione, simile, hanno preso un’importanza enorme nella nostra comprensione del mondo, venendo sempre dietro alle cose. Sono genocidio, urbicidio, femminicidio. 


Il nome di genocidio è il più antico: fu coniato da Raphael Lemkin nel 1944. Il nome di urbicidio era già stato fatto negli anni 1960, entrò in uso nei primi 90 soprattutto dopo che lo impiegò per le guerre post-jugoslave Bogdan Bogdanovic (1922-2010), che era architetto e urbanista, e fu sindaco di Belgrado fra l’82 e l’86 e poi oppositore strenuo del nazionalismo serbo. Il nome di femminicidio ha antiche ascendenze letterarie, ma entra più largamente in uso negli anni 70, grazie al femminismo, senza una titolare certa. (La distinzione fra femicidio, in inglese femicide, e femminicidio, non si è radicata da noi, che impieghiamo, purtroppo quotidianamente, femminicidio nel senso di assassinio di una donna perché donna). 


Penso che la relazione intima fra questi tre nomi sia decisiva. Penso che valga, se non a sostituire, ad aggiornare e approfondire il binomio illustre ed esausto di guerra e pace.