
Filippo La Porta (Olycom)
Piccola Posta
I meriti di un'esistenza senza nulla di speciale
È bene leggere "Contro un'idea di falsa grandezza" di Filippo La Porta. Troverete un elogio di chi si sottrae al culto della fama e al ricatto della morale eroica, di chi rifiuta la corsa al successo, di chi preferisce che gli altri abbiano ragione
Filippo La Porta ha scelto questi tempi di megalomanie grottesche e di vite comuni calpestate, per venir fuori con un “Elogio della vita ordinaria”. Sottotitolo, che lo mette al riparo dal sospetto di disconoscere la vera grandezza, “Contro un’idea di falsa grandezza” (Il Saggiatore, pp. 207). La sua argomentazione dà fondo a un magnanimo repertorio di pensieri che sono stati propri di una larga cerchia di nostri contemporanei civilmente e culturalmente impegnati, in capo ai quali stanno nomi recenti e soprattutto femminili come Simone Weil, Hanna Arendt, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Agnes Heller, e i nomi classici di Spinoza e Diderot, e poi Kafka e Joyce e Orwell e Camus... E risorse antiche e largamente inesplorate, come il Pirqè Avot, la più antica raccolta di massime morali rabbiniche – questa, per esempio, che ce la avvicina: “Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso... che cosa sono? E se non ora, quando?”.
La Porta illustra il merito tranquillo della vita senza niente di speciale, del preferire che gli altri abbiano ragione, del sottrarsi al ricatto della morale eroica e dei monumenti equestri. E dell’ironia abusata – Pasolini non era ironico, ricorda. Chiunque, anche i reduci di una stagione di speranze rivoluzionarie da cui La Porta prende un ennesimo sentito commiato, ha provato almeno in qualche momento il desiderio di vivere facendo il morto. E’ sempre il Pirqè a raccomandare: “La tua volontà è di non morire? Allora muori, così non dovrai morire”. La saggezza, com’è noto, si vale spesso dei paradossi, e altrettanto spesso i paradossi ne usurpano il nome. La Porta fa sul serio, anche quando inverte sperimentalmente la massima manzoniana (e sciasciana) sul senso comune e il buon senso: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Resta aperta la questione degli “uomini comuni” di Browning, dei “carnefici della porta accanto” di Gross. Ma il suo uomo comune, dice, è tutt’altro che l’uomo medio, “l’emblema della banalità del male”.
Bene, leggerete. Chiudo copiando un brano: “Durante una lezione su Dante che mi è capitato di tenere in una scuola media inferiore di Grottaglie (Taranto), i ragazzini concordavano tutti che per loro il peccato capitale più grave fosse oggi l’ira, non la superbia come per Dante”. Voglio dire che di questo periodo mi ha colpito dapprima la notizia sugli scolari e l’ira, poi ci ho ripensato, e ho preferito la notizia su La Porta: “Mi è capitato di tenere una lezione su Dante in una media inferiore di Grottaglie”. Dovrebbe fargli piacere.