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Piccola Posta

Riflessione sulla caccia come hobby e sul gusto di uccidere

Adriano Sofri

Il governo sta per varare un decreto che allarga a dismisura la licenza di uccidere gli animali selvatici. I cacciatori sono sempre meno, soprattutto quelli all'antica, ma resta potente la lobby delle armi e delle munizioni, e aggressiva quella degli associati, in nome della caccia come sport

L’Italia non è, per il momento, in guerra. Non è stata invasa, non ha invaso un territorio d’altri. (L’Albania, questa volta l’ha messa graziosamente in ginocchio). E’ tempo di ricordare la più pregnante definizione della guerra: la guerra è la caccia all’uomo. La caccia, utilità alimentare a parte (sempre fortemente sopravvalutata, e oggi del tutto irrilevante) è stata una forma decisiva di educazione maschile – “l’uomo è cacciatore” vuol dire infatti prima di tutto che è cacciatore di donne – e di addestramento alla guerra. Ora, in tempo di fortunosa pace, in un paese che in grande e documentata maggioranza detesta la caccia e la vorrebbe abolita, il governo sta per varare un decreto che prolunga nell’ambiente naturale quello abominevole sulla “sicurezza”, e allarga a dismisura la licenza di uccidere gli altri animali selvatici – “il prelievo venatorio”, anestetica formula per un autentico bracconaggio. Dalla possibilità di cacciare in spiaggia, “magari coi bagnanti”, all’ampliamento delle aperture, all’abolizione dei limiti stagionali nelle “aree faunistico venatorie”, alla riduzione delle aree protette, che non superino il 30 per cento, alla riapertura dei roccoli (gli impianti per catturare gli uccelli migratori vivi), alla legalizzazione dei richiami vivi. Mario Tozzi scrive di “misure che fanno rabbrividire”. 


Per il governo vigente le tenerezze (benvenute) verso gli animali domestici vanno risarcite con la crudeltà verso quelli in libertà condizionata, “la selvaggina” – res nullius, come la diceva la legge antica, cosa di nessuno, cioè di tutti, prima che la fauna selvatica venisse riconosciuta e protetta come “patrimonio indisponibile dello stato”. I cacciatori sono sempre meno, quelli all’antica pressoché estinti, e molti fra i viventi disgustati dai nuovi arrivati, ma resta potente la lobby delle armi e delle munizioni, e aggressiva quella degli associati, magari in nome della caccia come sport – non c’è niente di meno sportivo. Il potere tradizionale delle corporazioni di cacciatori è tale da superare perfino la devozione alla proprietà privata: il codice civile autorizza l’accesso dei cacciatori nei terreni privati anche contro il volere del proprietario. Articolo singolarmente caro alla Coldiretti, che deve avere una sua contropartita.


Tozzi: “La risposta alla domanda sul perché si caccia oggi è tristemente nota, si caccia per il gusto di uccidere. Il piacere sta tutto lì. Le nuove concessioni ai cacciatori vanno tutte in quel senso”. Aggiungo una postilla di tetra attualità. “Si caccia solo per il gusto di uccidere” somiglia alla frase imprudente del generale e politico israeliano che ha fatto scandalo nei giorni scorsi, sull’ “uccidere bambini per hobby”. Cose diverse, diversissime, s’intende. Tuttavia.
 

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