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Ci sono quelli che si sognano rivoluzionari, ma sono riluttanti a riconoscere una rivoluzione
Ho partecipato a un incontro della terza edizione del festival "Verona Èuropa" sul Maidan 2014. Una piazza di rivoluzione, anche se molti faticano ad ammetterlo. Anche per Budapest nel '56, quasi nessuno andò oltre la dicitura "I fatti di Ungheria". I fatti trovano spesso i loro impostori
Ieri sono venuto a Verona. Venivo da Milano, in pieno giorno, e il breve viaggio in treno offre la vista, e ancor più l’immaginazione, del lago di Garda. Ero scalzo in albergo da tre quarti d’ora quando una mail di Trenitalia mi ha comunicato che il mio treno Frecciarossa ecc. era in ritardo di 9 minuti, cordiali saluti. Non era utile, ma come le cose superflue, Mozart per esempio, aveva qualcosa di energico. Sono venuto a Verona per la terza edizione di un festival intitolato “Verona Èuropa” – naturalmente la E con l’accento non è lì per sbaglio. Il tema mio e dei miei brillanti ospiti, Olivia Guaraldo e Giacomo Mormino, era l’Europa vista da Maidan 2014. Maidan, ormai lo sappiamo, vuol dire piazza. Quella piazza di Kyiv lo è diventata per antonomasia: la piazza di una rivoluzione. L’occasione, la traduzione italiana del libro di Marci Shore, “La notte ucraina. Storia da una rivoluzione” (nell’originale, uscito nel 2017, “An intimate history of revolution”, che forse si poteva tenere, la storia intima), per Castelvecchi.
C’è sempre parecchia gente, compresi alcuni che si sognano rivoluzionari, riluttante, o capricciosamente contraria, a riconoscere le rivoluzioni, quando succedono davvero. Specialmente all’insaputa. L’Ungheria del ’56, per esempio, non riuscì quasi mai ad andare oltre la dicitura di “I fatti di Ungheria”. I fatti trovano spesso i loro impostori.
L’incontro era uno del programma patrocinato creativamente, per il comune veronese, dalla sua responsabile culturale, Francesca Rossi. Mi piacerebbe scrivere che il ritardo ingente col quale il libro esce da noi, nella traduzione di Guaraldo e per la cura sua e di Mormino, sembra riscattato dalla coincidenza con una vera apertura di negoziato sulla fine della guerra. Solo che non ci credo. Magari.
Dunque aspettiamo. Aspettando, vi racconto, dal libro, l’antica barzelletta sull’ebreo che arriva in un nuovo paese. Se ha il violino, è un violinista. Se non ha il violino, è un pianista. Nostalgia delle vecchie barzellette. E poi il libro prosegue sul rapporto fra il Creatore e la musica. “Dio suona l’uomo, e l’uomo suona il mandolino”. Il giorno prima, a Milano, in un incontro promosso dal quotidiano Domani, avevo avuto il piacere di rivedere e riascoltare il mio amato Mauro Pagani, intervistato sulla musica da Angelo Carotenuto. Il quale gli ha chiesto se Dio faccia musica. “Penso proprio di sì”. E che strumento suona? “Be’, l’arpa, direi”. Poi Mauro ci ha pensato, e ha completato: “Ma qualche volta anche il trombone”.


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Auguri al cardinale Puljic

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