Decreto Ristori, la conferenza stampa di Conte e i ministri Gualtieri e Patuanelli (foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse)

PICCOLA POSTA

Il termine ristoro prima di finire in un decreto è stato un viaggio nella lingua italiana

Adriano Sofri

Il sublime Matteo, Foscolo e Nietzsche. La parola che ha dato il nome alle recenti misure del governo, ha radici antichissime, popolari e letterarie. 

Passano quattro decreti “Ristoro”, i giornali intitolano sui ristori. Immagino che si siano già sbizzarriti sulla parola, e sugli uffici e gli ufficiali della Lingua Parallela incaricati di ripescare nomi appropriati alle misure di governo. Ristoro (che è la forma popolare del dotto restauro, ma è diventato più raro) è abbastanza affabile per la vicinanza al ristorante, ai punti di ristoro delle stazioni ferroviarie, al servizio di ristoro sui treni. Ricorda agli scolari qualche verso in programma. E giugno lo ristora di luce e di calor. Soprattutto il Foscolo: qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso Che distingua le mie dall’infinite Ossa che in terra e in mar. E all’Amica risanata: l’aurea beltate ond’ebbero ristoro unico a’mali, le nate a vaneggiar menti mortali. Lo struggente e malizioso mandolino di Mozart e Da Ponte: Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro, deh, vieni a consolar il pianto mio. Se neghi a me di dar qualche ristoro, davanti agli occhi tuoi morir vogl’io. 

 

Poi ci sono i passi famosi in cui ristoro suona, ma in traduzione. L’infortunato Nietzsche: L’uomo deve essere educato per la guerra e la donna per il ristoro del guerriero. Il sublime Matteo, 11,28-30: “In quel tempo, Gesù disse: ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero’”. Un nostro amico lo citò per prendere commiato da pesi che gli erano diventati insostenibili. I vocabolari segnalano il bell’uso aragonese, esaurito all’inizio dell’Ottocento, di chiamare Ristori “i terreni del Tavoliere coltivati a cereali d’estate e assegnati in ottobre ai pastori transumanti d’Abruzzo”. Risarcimento, conforto, indennizzo. Si chiude col veneziano Giorgio Baffo, 1694-1768, illuminato nemico di papi e di Goldoni, lodato da Stendhal e da Pasolini, il più grande poeta priapeo e dei massimi lirici, disse Apollinaire: “El mio Cazzo xe morto, e mi no moro! | Considerè, che vita xe la mia, | Uno, ch’a tutte l’ore chiavarìa, | Averse da privar de quel ristoro!”

Di più su questi argomenti: