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Piccola Posta

Prima che scatti la tregua

Adriano Sofri

Per gli umani e per gli altri animali non c’è momento più micidiale della vigilia di una tregua, pur tanto invocata. Ritirare truppe di qua e di là. Avvelenare i pozzi. Procurarsi un salvacondotto. Con l’acqua alla gola, prima del proprio mercoledì alle 12

Ogni tanto, nei luoghi martoriati da guerre di bande benevolmente riguardate dai grandi della terra, il fiume di sangue esonda e si concorda una tregua. La tregua, si stabilisce, entrerà in vigore alle ore 12 di mercoledì – o a un’altra ora di un altro giorno, non importa. È martedì, alle 9 di mattina, restano solo 27 ore per scaricare sul rispettivo nemico e sulle sue case scuole ospedali la più gran quantità di proiettili bombe e gas che sia possibile, aggiudicarsi un record spettacoloso di distruzione, sventare il rischio che bombe gas e proiettili diventino un avanzo di magazzino o peggio siano confiscate dai titolari di una prossima pace.

 

Per le famiglie umane e per gli altri animali non c’è momento più micidiale della vigilia di una tregua, pur tanto invocata. Bisogna scavare, anche solo con le mani, con le unghie, seppellire sé e i propri figli e i propri beni più cari in un buco del suolo e resistere fino alle 12 di mercoledì. Anche qualche minuto in più, per precauzione: dall’altra parte c’è qualcuno che non si rassegna a restare con una granata non smaltita. Sono così, certe vigilie d’armi. Come riempirsi la casa di pane pasta cortisone e sigarette prima che scatti la zona rossa.

 

Come rintanarsi e durare fino al vaccino. Come uno psicopatico nel bunker. Ha la scadenza fissata, a gennaio. Deve affrettarsi. Insediare la giudice fidata. Licenziare i capi del Pentagono e della sicurezza interna. Vendere le trivellazioni dell’Alaska. Mandare Pompeo nella colonia in Cisgiordania. Ritirare truppe di qua e di là. Avvelenare i pozzi. Procurarsi un salvacondotto. Con l’acqua alla gola, prima del suo mercoledì alle 12.

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