Piccola Posta

Nobiltà e miserie del Pci. Il centenario che Rossana Rossanda si perderà

Adriano Sofri

La ragazza del secolo scorso è stata comunista sempre, nonostante il comunismo, legata all'idea del partito anche dopo essere stata espulsa. Ci ha lasciato a quattro mesi da quel 21 gennaio del Congresso di Livorno, che quest'anno compie un secolo 

Il giornale ha bisogno di spazio, dopo le elezioni e il referendum (scrivo senza saperne) e io ho bisogno di spazio per salutare Rossana Rossanda, dunque aspetterò. Intanto, scrivendo il 21 settembre, penso ai quattro mesi esatti, di qui al 21 gennaio, che ci separano, che la separavano, dai cent’anni dalla fondazione del Partito comunista d’Italia. Rossanda è stata comunista sempre, nonostante il comunismo, per così dire, e sempre legata all’idea del partito, anche dopo essere stata buttata fuori dal partito in cui era cresciuta. Il “partito più partito di tutti, che è stato quello comunista del Novecento”.

 

Ci sono, lungo la sua vita, mutamenti, correzioni, scoperte, liquidazioni brusche anche (“del Sessantotto non è rimasto niente”) rilevanti quanto la fedeltà a un’ispirazione originaria. C’è una disponibilità a mettere in discussione ciò che è avvenuto, il leninismo della rivoluzione russa, l’idea stessa della rivoluzione – probabilmente sempre “immatura”, e “se sia pensabile una rivoluzione senza guasti insanabili”. “Senza autorizzarsi a concludere ‘allora, sarebbe stato meglio non tentarla, o che fosse perdente’”. Scriveva così commentando la Memoria postuma di Ingrao, che “certo non lo fa, e non so davvero se lo avrebbe sostenuto. Forse il problema effettivo è che ogni rivoluzione deve domandarsi come metter fine a se stessa”.

 

Ma discutere del ’17 russo, del Febbraio e dell’Ottobre, non è più “coraggioso”. A gennaio – le penne si vanno già affilando – sentiremo che il Congresso di Livorno e la scissione da cui nacque il Pcd’I fu un tragico errore. Lo fu. Se ne rivendicherà, da qualcuno, una grandezza. C’era. Si avvertirà dell’efficacia e non di rado della nobiltà che il Partito comunista e le sue donne e i suoi uomini hanno poi avuto nella lotta al fascismo e nel dopoguerra repubblicano. Tutto abbastanza scontato, anche se la rievocazione potrà essere impressionante.

 

Fatto sta che l’intera storia italiana, e non solo la marcia del fascismo al potere, si giocò largamente in quel Teatro Goldoni di Livorno e nel trasloco finale, fiero, abbattuto, piovoso, nel Teatro San Marco. In quella tragedia carica di cose buffe e grottesche, la scissione minoritaria di sinistra perché non era passata l’espulsione della minoranza di destra, l’obbedienza alle 21 Condizioni della Terza Internazionale (chissà che qualcuno, distrattamente, le chiami 21 condizionalità). Sono commosso dalla vita e dalla morte di Rossanda. Mi dispiace che non ci sia, per quel centenario.

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