Scena del video in cui Dario Musso viene buttato a terra e sedato

Da Trieste ad Agrigento, la pandemia sta facendo perdere la testa a molti

Adriano Sofri

Cronache grottesche e quasi comiche dalla quarantena

Ci sono due episodi, avvenuti il 1° e il 2 maggio, uno a Trieste e uno a Ravanusa (Agrigento), che voglio registrare in questo intermittente registro della clausura.

 

A Ravanusa Dario Musso, 33 anni, attraversa in auto il paese e con un megafono ammonisce i suoi compaesani a non credere alla balla della pandemia, che non esiste, a uscire e tornare nei bar e nelle piazze, e ad andare a Roma a farsi sentire. L’auto viene circondata da polizia, carabinieri e vigili locali. Il giovane gira un video di sé assediato, dice che lo spiegamento è una cosa da pazzi, è calmo. Poi si passa a un altro video, girato da persone che assistono da un balcone. Musso è estratto dall’auto, in piedi, non si mostra agitato – pensava di essere arrestato, si dirà poi – quando viene atterrato dagli agenti, che lo immobilizzano standogli addosso, e intanto uno dei sanitari in camice bianco che si sono uniti loro gli fa un’iniezione per sedarlo. Poi viene portato alla psichiatria dell’ospedale, legato a un letto di contenzione e sottoposto a ulteriori trattamenti di farmaci. Ne uscirà dopo 4 giorni, durante i quali, denuncia suo fratello avvocato, ai famigliari non sono state date notizie.

 

 

Sulla scia dell’emozione suscitata dalla diffusione dei video, il sindaco del paese dichiara che il Tso, il Trattamento sanitario obbligatorio, che ha autorizzato con la sua firma, non aveva a che fare con le opinioni sul virus ma con gravi comportamenti pregressi, e rinvia ai medici. Dai medici si viene a conoscenza di un modulo prestampato che all’apposita riga scrive: “Scompenso psichico e agitazione psicomotoria”, e un successivo prestampato che lo sottoscrive. Non risultano altre motivazioni, ma si dice che in un giorno precedente, fermato dai carabinieri perché trasgrediva alle regole sui movimenti, Musso aveva inveito e bruciato la propria carta d’identità. Non c’è dubbio che la pandemia abbia fatto perdere la testa a molti (a tutti, probabilmente) e nel caso del giovane in maniera più turbante. Ma, se non c’era un imminente rischio di violenza contro altri o di autolesionismo, qual è stato il senso di un intervento così estremo e violento – e, nell’uso più o meno recente del nostro paese, così orribilmente famigerato? C’è un’inchiesta, aperta dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio.

  

Anche il 1° maggio era successo un episodio di conflitto fra cittadini e forze dell’ordine, più ordinario, per così dire, e con un connotato quasi grottesco. A Trieste, a Campo San Giacomo, cuore del cuore popolare della città, da dove tradizionalmente muove il corteo che arriva in piazza Unità, un certo numero di persone decide pressoché spontaneamente di manifestare comunque, ma rispettando rigorosamente le prescrizioni su distanza fisica, mascherine, niente volantini, niente corteo eccetera. Più di 200, secondo i manifestanti, 70, secondo la questura (dimensione e dizione, quest’ultima, che ha qualcosa di tenero). I partecipanti curano di non essere confusi con i fautori del “Riaprite tutto”. Anche qui c’è una rigogliosa serie di filmati. La manifestazione è pacifica e composta finché la polizia (numerosa in proporzione) decide di non poter tollerare che tre manifestanti, sia pure badando alle distanze reciproche (“3 persone su una lunghezza di oltre 5 metri”), sostengano uno striscione che proclama: “Il virus uccide, il capitalismo ancora di più”. Dichiarazione opinabile, ma non offensiva: se fossi un capitalista serio, mi offenderei con chi sostenesse il contrario. Fatto sta che le regole così scrupolosamente rispettate dai sovversivi vengono infrante dalla polizia. Le cronache sono involontariamente comiche: “Le autorità sorvegliano a distanza…”. Ecco che intervengono, e comincia un tiro alla fune con lo striscione – un tiro allo striscione. “Attimi di tensione”. In realtà un lungo corpo a corpo illustrato dai filmati: una vicinanza fra guardie e ladri da zona di mischia.

 

 

Scherzo, ma fino a un certo punto. Chi volesse leggere una vera cronaca, dal punto di vista dei manifestanti, la trova qui. L’ha scritta Andrea Olivieri, e ne ha fatto l’occasione per raccontare “Un Primo Maggio lungo il secolo” in quel territorio cruciale, e insieme la sua idea del dopovirus da guadagnarsi. Olivieri, triestino, del 1969, ha pubblicato l’anno scorso un libro molto forte, “Una cosa oscura, senza pregio” (edizioni Alegre, pp. 432, 18 euro). E’ la storia parallela e intrecciata di Louis Adamičc (1899-1951), sloveno e poi statunitense e poi jugoslavo, agitatore, prestigioso giornalista militante e storico della lotta di classe negli Stati Uniti, combattente in ambedue le guerre, e dei nonni di Olivieri, militanti internazionalisti, lui, Albano, uno dei 2 mila operai dei cantieri di Monfalcone che passarono in Jugoslavia in cerca di comunismo.

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