La rappresentazione poetica della povertà nello strano libro di Paolo Sorbi

Adriano Sofri

I poveri come motore della storia umana (compresa la loro)

Paolo Sorbi ha pubblicato uno strano libro, “Poveri e capitale”, ed. Scholé-Morcelliana. Il titolo ricalca Tronti, che scrive qui una prefazione: “I poveri hanno dalla loro parte la sacralità di una missione. Loro possono parlare, con verità, a nome dell’umanità intera. I potenti, quando si protestano umanitari, non riescono a nascondere la finzione delle loro parole”. Strano lo zibaldone di Paolo mi sembra perché ha preso una categoria sociologica come la povertà e ne ha dato una rappresentazione poetica oltre che religiosa, epica.

 

C’è gente che pensa e dice che i poveri sono responsabili della propria povertà. Sorbi mi dà l’impressione di essersi appropriato del vanesio cinismo della sentenza rovesciandolo in un elogio dei poveri come valore e motore della storia umana, compresa la loro. Corriamo il rischio, parlando dei poveri, di immaginarli sempre uguali, sempre poveri: tuttavia anche loro sono un soggetto mobile, provvisorio, sul quale le religioni vogliono contare come sul proprio zoccolo duro, incerte fra l’impulso a promuoverli e la paura di perdere, con loro, la propria santità o il proprio pacchetto azionario. Chi ama i poveri per una loro bellezza e dignità dev’essere un po’ reazionario, come Pasolini, o molto credente, che la Provvidenza assicuri al mondo un ricambio adeguato. Il cattolico militante Sorbi, che se ne è molto occupato di fatto prima di mettere per iscritto, ha finito per figurarsi che la Provvidenza e i poveri siano la stessa cosa, e che il povero eterno resista al turn-over dei poveri di volta in volta. Anzi lo governi: “le metamorfosi dei poveri”. “Le rivolte dei poveri che si succedono nei tempi e costantemente vengono sconfitte si fortificano nella coscienza di altri poveri, perché il ricordo di Spartakus non si perse più. Tanto che il movimento operaio nell’800 e nel ‘900 sulle sue bandiere rosse portava la scritta Spartakus, malgrado questo idealtipo di schiavo romano nessuno lo conoscesse, poiché erano passati duemila anni”. (Nel ‘700 il fondatore degli Illuminati di Baviera, Adam Weishaupt, aveva preso lo ieronimo di Spartacus). Quando i poveri sono troppo oppressi materialmente accantonano “la questione psichica”, che pure ha tanto peso. E’ la politica democratica che, differendo nel tempo esigenze giuste ma che non possono realizzarsi immediatamente, sventa la guerra di tutti contro tutti e insieme contrasta il privilegio.

 

Il cristianesimo, che all’amore per i poveri affida la sua buona notizia, è riuscito avventurosamente a tirare avanti una Chiesa ricca e un gregge povero, fino a oggi, quando un papa di nome Francesco prova ad abbracciare i poveri scansando un po’ l’ingombro della Chiesa ricca, almeno per il tempo ansioso del suo regno. Alla contraddizione sull’esistenza della povertà, e del resto del male, una medievale Vita di Sant’Eligio rispondeva: “Dio avrebbe potuto creare tutti gli uomini ricchi, ma ha voluto che nel mondo ci fossero anche i poveri, per offrire ai ricchi un’occasione per riscattarsi dalle loro colpe”. Estesa a Dio, la temeraria sottigliezza implica che i poveri fossero stati già necessari a lui, al momento della creazione, per riscattarsi da quell’azzardo.

Di più su questi argomenti: