La fucina di Vulcano di Velazquez

Teologia e politica nel San Matteo di Caravaggio e nella Fucina di Velazquez

Adriano Sofri

Una storia sacra che diventa pettegolezzo

Ho appena rivisto al Prado uno dei più bei quadri del mondo, la fucina di Vulcano di Velazquez. Che abbia a che fare con Caravaggio, in particolare col Caravaggio di San Luigi dei Francesi che Velazquez vide a Roma nel 1629-30, è indubbio. Ricordo che Carlo Ginzburg, in “Occhiacci di legno”, tratta del rapporto con la figura centrale della Cappella Contarelli, il san Matteo istruito dall’angelo. Le interpretazioni teologiche, e anche politiche ed estetiche, del san Matteo di Caravaggio e della Fucina di Velazquez (che la dipinse trent’anni dopo) sono innumerevoli.

 

Io vorrei grossolanamente suggerire che nella fucina c’è la citazione riconoscibile di tutti e tre i dipinti della Cappella Contarelli: Gesù, con la sobria aureola, dalle cui spalle viene la luce che investe il gruppo nella Vocazione di Matteo, citato qui nella luce e soprattutto nella mano di Apollo col dito alzato; il Matteo con l’aria stupita e un po’ disorientata che l’angelo ammaestra a scrivere il Vangelo, citato nel Vulcano stupefatto e anche un po’ irritato della Fucina; e il carnefice del martirio di Matteo, che è il terzo dipinto di Caravaggio a destra dello spettatore nella Cappella, citato nel ciclope al lavoro con l’armatura che ripete, mutata la prospettiva, il movimento del carnefice di Matteo. Queste che ho chiamato citazioni mi sembrano evidenti: controllate con le immagini a fronte. Non ho pretese, guardo come uno qualunque, compreso il Papa Francesco che dice di prediligere fra tutti i dipinti il Caravaggio della Vocazione di Matteo e si riconosce nel Matteo vocato – identificandolo improbabilmente nel giovane seduto che conta le monete piuttosto che nel vecchio che indica stupito col dito se stesso. Con uno sguardo qualunque la cosa che più colpisce è che Velazquez trasporti quella storia sacra, che già Caravaggio ha provveduto a rendere quotidiana, nel meschino pettegolezzo di Apollo – Elio, raggiante di luce, che d’improvviso appare prodigiosamente nell’antro di Vulcano per riferirgli che sua moglie Venere lo ha tradito con Marte. Mi sembra addirittura che l’Apollo illuminato e laureato faccia una figura un po’ ridicola di fronte a Vulcano e ai suoi fabbri ferrai, che hanno tanto da fare.