(foto LaPresse)

Alle radici del terrore

Adriano Sofri
La violenza jihadista che minaccia l’Europa, i numeri e un certo senso della misura.

Vengono pubblicate scrupolose statistiche che mostrano come le vittime di atti di terrorismo si siano decisamente ridotte nel corso dei decenni ultimi. Lo stesso numero di vittime di attentati islamisti in Europa è incomparabilmente più basso di quello di altre matrici passate: terroristi politici di destra e di sinistra, indipendentisti, palestinesi… (Rispetto all’Italia, il confronto è smisurato, e se è giusto ricordare che il terrorismo di sinistra aveva la pretesa di selezionare i suoi obiettivi secondo una logica riconoscibile anche nella sua assurdità, il terrorismo delle stragi di massa sui treni o alle stazioni o nei luoghi pubblici voleva colpire ciecamente). Altrettanto eloquenti sono i confronti fra vittime del terrorismo in occidente e nel resto del mondo. Tutto questo è senz’altro utile a suggerire una misura più equilibrata per la violenza che minaccia e colpisce l’Europa. Il punto però sta nella differenza di dimensione fra il retroterra cui si ispiravano quei terrorismi (Raf e brigatisti e irlandesi e baschi e palestinesi eccetera) e il retroterra dell’islam mondiale che il fanatismo jihadista pretende di egemonizzare.

 

Di dimensione e di qualità, perché l’avidità di morte propria del terrore islamista è altra cosa dalla accettazione della morte propria di altre categorie passate di combattenti. Senza questa differenza le reazioni europee alla costellazione di attentati sarebbero una mera manifestazione di panico insensato. Tuttavia, anche a tener bene a mente la differenza, occorrerebbe considerare lucidamente la contraddizione fra le dichiarazioni – “non rinunceremo al nostro stile di vita, è proprio questo che vogliono ottenere” – e la pratica. Per un verso, c’è da congratularsi che le Olimpiadi si stiano svolgendo e tutto considerato in un modo perfino emozionante, nonostante la minaccia terroristica fosse e resti fino alla fine seria, e preoccupasse a maggior ragione per la crisi in cui versa il Brasile. Per un altro verso ci sono esperienze, come la risposta di Monaco di Baviera alla strage compiuta da un ragazzo, e decisioni preventive, come la cancellazione di eventi radicati nella tradizione, dopo la strage di Nizza.

 

Le cancellazioni sono state soprattutto numerose in Francia: impressionante quella della plurisecolare Fiera annuale di Lille, il più grande mercato delle pulci europeo, cui prendono parte per due giorni milioni di visitatori. Decidendo pressoché in extremis la cancellazione, il sindaco Martine Aubry e il prefetto hanno offerto motivazioni che nessuno può sentirsi di rifiutare: “Se ci fossero dei morti non potrei mai perdonarmelo”, ha detto Aubry. Inoltre si è detto che la conformazione della città e della fiera rendono particolarmente arduo un afficace dispositivo di sicurezza. Tuttavia, appunto, molte altre sono state le disdette, compresi i cinema all’aperto estivi di Parigi. Penso, senza alcuna iattanza per conto terzi, che bisogni presto ripensare complessivamente al rapporto fra rischio, cioè al costo eventuale di un’esposizione di folle agli aspiranti attentatori, e costo sicuro della rinuncia a modi di convivenza. E tanto più sarà possibile ripensarci e affrontare consapevolmente il rischio, quanto più si opererà perché sia recisa la fonte prima delle minaccia, là dove ha potuto mettere lunghe radici.

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