Issad Rebrab

Il progetto Rebrab per l'acciaieria di Piombino

Adriano Sofri
L’intenzione è di ricomporre il ciclo integrale con la nuova area a caldo che ridurrebbe l’acquisto di semilavorati avviando l’impiego di minerali e rottami. Il prodotto di punta resta il laminato lungo per le reti ferroviarie, le rotaie di cui Piombino va fiera nel mondo.

Ho letto qui un editoriale severissimo sull’acciaieria di Piombino (“Non credete alla favola di Piombino… Rossi canta storie”, 5 agosto). Secondo l’editoriale, “lo sbandierato piano di salvataggio della ex Lucchini a opera del magnate algerino Issad Rebrab ha chance di successo sotto lo zero”. Mi è successo di seguire le vicissitudini esasperanti delle successive gestioni dell’acciaieria piombinese, e in particolare, nel corso di una visita algerina che raccontai su Repubblica, di conoscere il signor Rebrab. Nonostante sia ufficialmente un uomo molto ricco – nessuno è perfetto – Rebrab, 72 anni, è un tipo piuttosto formidabile di capitano d’industria fatto da sé, tiene orgogliosamente alle cose che si fanno e si toccano con le mani, e ha un’antica ambizione di aggiungere loro l’acciaio, dopo che una sua audace iniziativa siderurgica giovanile era stata stroncata in patria da una serie di attentati. Rebrab è da sempre inviso al regime algerino, ciò che ostacola pesantemente la disponibilità del suo capitale all’estero. Questa circostanza, e la lunga agonia in cui era stata lasciata la ex-Lucchini, rendono il progetto  “non solo difficile, ma molto difficile”, nelle parole di Fausto Azzi, Ad dell’Aferpi, nuovo nome dell’azienda.

 

Nel giorno in cui è stato scritto il necrologio del Foglio si è tenuta una riunione al ministero dello Sviluppo economico, col ministro Calenda, Rebrab, il presidente toscano Rossi, i sindacati, la “Equita” di Profumo. Rebrab ha investito 92 milioni nella capitalizzazione e nel funzionamento dell’azienda, e ha acquistato un nuovo forno elettrico e un treno di laminazione dalla italo-tedesca Sms, società più rinomata in questa tecnologia. La stessa Sms ne ha parlato come di un ordine di eccezionale importanza, per il suo prodotto più sofisticato. (Il costo di questi impianti si aggirerebbe sui 200 milioni ciascuno). L’intenzione è di ricomporre il ciclo integrale con la nuova area a caldo che ridurrebbe l’acquisto di semilavorati avviando l’impiego di minerali e rottami. Il prodotto di punta resta il laminato lungo per le reti ferroviarie, le rotaie di cui Piombino va fiera nel mondo. La settimana scorsa la Rete ferroviaria italiana ha annunciato una nuova commessa per 38.000 tonnellate, che si aggiungono alle 88.000 precedenti.

 

I problemi maggiori sono la liquidità necessaria a pagare i fornitori e il volume dell’attività produttiva, per ora inferiore al 30 per cento del potenziale e dunque alla soglia richiesta per la sottoscrizione di un contratto di solidarietà. Rebrab ha ribadito l’impegno ad assumere entro il 6 novembre tutti i lavoratori: sono stati assunti finora 1.400 dei 2.200. Il riavvio dell’area a caldo, risolutivo per il circolante, ha bisogno di 18 mesi, il tempo di realizzazione del forno. La banca d’investimento Equita di Profumo si impegna a un prestito bancario, mal visto dal cartello delle banche del Nord e delle acciaierie bresciane, egemoni in Federacciai coi loro forni elettrici, e dalle diffidenze verso il manifatturiero e il siderurgico. La ex-Lucchini è esposta per 800 milioni di sofferenze e nella crisi MPS, soldi presi in prestito e non restituiti. Lo Stato, che vigila sulla procedura fallimentare col commissario Piero Nardi, è impegnato finanziariamente per 92 milioni di euro in certificati bianchi per l’energia elettrica (che parifica la condizione di Aferpi alle bresciane, perciò malcontente) e 30 milioni della Regione Toscana per l’abbattimento delle emissioni. Il progetto Rebrab fu scelto dal governo e preferito all’indiano Jsw Steel, che prevedeva l’assunzione di soli 700 lavoratori ed escludeva l’area a caldo, contando sull’importazione dei propri semilavorati.

 

Queste le informazioni che ho raccolto: voi siete senz’altro più in grado di valutarle. E di concluderne se le possibilità dell’impresa siano sotto o sopra lo zero. La conclusione del commento del Foglio –“meglio fallire e ricominciare con nuovi progetti”- ha certo il merito di essere drastica. Forse fraintendo per incompetenza, ma non era già fallito? (L’Aferpi, quanto a lei, non può fallire tecnicamente, avendo chiuso con un utile). Ho comunque una notizia certa, che mi viene dagli interessati: attualmente ci sono 1.400 operai che ricevono mensilmente la loro busta paga. Col fallimento auspicato anche dell’Aferpi, semplicemente ci sarebbero 1400 operai che non la riceverebbero più. Roba forte, direi.

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