Issad Rebrab (foto di Youtube)

A Piombino la fiaba di Rebrab è in discussione

Alberto Brambilla

Cresce lo scetticismo sulle reali capacità del magnate algerino e del governo italiano di sbloccare la situazione

Roma. La crisi dell’esecutivo di Matteo Renzi, innescata dalla sconfitta al referendum costituzionale, si ripercuote sulle grandi partite industriali aperte dall’ex sindaco di Firenze. E proprio in terra toscana i timori si concentrano sulle sorti delle acciaierie ex Lucchini di Piombino che il magnate algerino Issad Rebrab aveva promesso di volere ristrutturare e rilanciare circa due anni fa. Rebrab, terzo uomo più ricco d’Africa e proprietario della multinazionale Cevital, attiva in molti campi dall’alimentare all’automotive, aveva manifestato un sincero interesse ad acquisire un impianto siderurgico con sbocco sul mare. Aveva promesso nel 2014 di investirvi 1 miliardo di euro per creare un polo siderurgico con due forni elettrici più un centro logistico portuale per import-export di prodotti agroalimentari. La sfida s’è fatta dura. Non tanto per le indiscusse capacità finanziarie e imprenditoriali di Rebrab quanto per le difficoltà che lui incontra a investire all’estero: anche per le sue origini berbere è inviso al regime algerino di Bouteflika, che gli impedisce di esportare capitali e soprattutto di potenziarsi in un settore strategico qual è quello siderurgico.

 

 

Con il tempo le ambizioni si sono trasformate in preoccupazioni. Rebrab ha investito solo 102 milioni di euro in totale e ora la Acciaierie e Ferriere di Piombino (Aferpi), la società creata per gestire l’operazione controllata dalla holding Cevitaly, è a corto del capitale operativo necessario a portare avanti i tre laminatoi finora attivati. Quello con le rotaie, dicono fonti locali, sta andando avanti mentre gli altri due, di barre e vergelle, sono fermi. A settembre Aferpi ha assunto tutti i 2.200 dipendenti con contratti di solidarietà ma il lavoro manca e la situazione è complicata dall’impasse di Renzi che durante la campagna referendaria chiese a Rebrab di “rispettare gli impegni” presi. Aferpi è alla ricerca di finanziamenti senza i quali la società rischia un “sostanziale blocco dell’attività produttiva” nei primi mesi del 2017, come ha scritto il commissario straordinario delle acciaierie ex Lucchini Piero Nardi nella sua ultima relazione finanzaria. Rebrab non comunica l’apporto di capitale che ora vuole garantire a Cevital. L’amministratore delegato di Aferpi, Fausto Azzi, che nell’autunno 2015 sostituì Farid Tidjani, l’uomo di fiducia di Rebrab che intavolò l’affare, ha dovuto quindi chiedere soldi freschi alle banche italiane. Le banche fanno resistenza. Può esserci un’ostilità di fondo del sistema bancario del nord, legato alle siderurgia settentrionale che teme un concorrente, oppure più probabilmente gli istituti di credito non vogliono scommettere sul progetto.

 

La crisi governativa ha messo in stand by il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, deputato a seguire la crisi ex Lucchini, e così ora manca anche la copertura politica utile a rassicurare Rebrab. A Piombino cresce lo scetticismo sulle reali capacità di Rebrab e del governo italiano di sbloccare la situazione. Nell’ultimo consiglio comunale dalla lista di minoranza Un’altra Piombino si chiedeva alla giunta pd di “non illudere più un territorio stremato” – un’iperbole che manifesta frustrazione. D’altronde prima dell’arrivo di Rebrab sindacati e politici locali dicevano che a salvare i posti di lavoro sarebbe stato un fantomatico imprenditore tunisino carico di miliardi, Khaled al Habahbeh, poi rivelatosi un oscuro personaggio ricercato negli Stati Uniti dall’Fbi per traffico di stupefacenti. Il 5 agosto scorso il Foglio con l’editoriale “non credete alla favola di Piombino” indovinava una brutta china e avvertì del rischio di dare false speranze ai piombinesi e ai lavoratori. Il nostro editorialista Adriano Sofri con un articolo di risposta informava circa i progetti di rilancio futuri. Il Foglio, pensando di avere sbagliato, andò allora a Piombino e constatò lo stato di decadenza del complesso siderurgico e l’angoscia generale per un disimpegno di Rebrab. La speranza ovviamente è di essere caduti di nuovo in errore. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.