Il Sindaco di Licata, la democrazia e lo Stato che non c'è

Rocco Todero

La solidarietà al Sindaco di Licata che voleva contrastare l’abusivismo edilizio è semplicemente ipocrita. Manca lo Stato

E’ ragionevole ritenere che il Sindaco di Licata, Angelo Cambiano, sia stato sfiduciato dal Consiglio Comunale della città che ha amministrato per poco più di due anni a causa del dissenso che la sua azione amministrativa di lotta all’abusivismo edilizio ha prodotto nelle maggioranza dei suoi concittadini.

 

Non è necessario scomodare la teoria del mercato politico di Schumpeter per comprendere come in una cittadina di appena 38.000 abitanti le relazioni familiari ed amicali di una minoranza di residenti, che hanno costruito abitazioni abusive a meno di 150 metri di distanza dal mare, siano riuscite a coagulare un'opposizione all’attività del primo cittadino che si è rivelata alla fine maggioritaria rispetto a quanti sono stati del tutto disinteressati all’applicazione imparziale della legge.

 

Si tratta di un fenomeno che riguarda la maggior parte delle piccole realtà comunali all’interno delle quali (sopratutto nel meridione) il rispetto della legalità amministrativa (non solo in materia di abusivismo edilizio) è contrastato dai responsabili delle violazioni in via diretta (una minoranza di per sé consistente) e da quanti a questi sono legati da un sentimento di solidarietà familiare o di vicinanza amicale, in maniera indiretta, cosicché, in definitiva, il blocco che organizza il dissenso si rivela maggioranza politica in grado di punire anche elettoralmente i locali tutori della legge.

 

Non vi è sindaco, assessore, dirigente comunale, comandante dei vigili urbani che nel fare il proprio dovere non incroci i destini di un parente, di un amico, di un conoscente, di un compagno di scuola, di un genitore dell’amico del proprio figliolo.

 

L’applicazione della legge nelle piccole realtà comunali perde così il carattere della impersonalità ed assume le vesti di un concittadino nei confronti del quale è possibile esercitare quotidianamente un insopportabile ed ossessivo ostracismo civile ed umano che evidentemente rende oltremodo difficile il regolare esercizio di un ufficio pubblico.

 

Ciò che non è tollerabile, invece, è l’inerzia che caratterizza le autorità statali le quali potrebbero assicurare il rispetto della legalità senza incidere, nelle piccole comunità locali, nel circuito della rappresentanza politica ed evitando di alterarne le ordinarie dinamiche.

 

Qualche anno addietro le Procure generali presso le Corti d’appello siciliane emanarono delle direttive con le quali intimarono agli amministratori dei comuni dell’Isola di provvedere con la massima solerzia (pena sanzioni penali nei confronti dei destinatari) alla demolizione degli immobili giudicati abusivi in virtù di sentenze penali passate in giudicato.

 

I Sindaci per non incorrere in omissione d’atti d’ufficio scaricarono subito la responsabilità in capo ai dirigenti degli uffici tecnici ed ai comandi della polizia municipale, ponendosi così al riparo da eventuali ritorsioni politiche del corpo elettorale.

 

La burocrazia locale ha comprensibilmente traccheggiato, indugiato, cercato di avviare procedimenti amministrativi artificiosi e complessi al fine di postergare le demolizioni.

 

Dello Stato e delle sue articolazioni amministrative centrali e locali, cui spetta il compito di assicurare l'osservanza della legge su tutto il territorio nazionale e di accorrere in soccorso di quelle minoranze di cittadini rispettosi della legalità che vivono in contesti locali particolarmente difficili, nessuna traccia.