Papa Francesco a Cuba (foto LaPresse)

Tutta colpa del socialismo

L'America sale sul carro del Papa dal lato sinistro (ma occhio alle sorprese)

Francesco arriva a Washington, accolto come eroe socialisteggiante dai progressisti. L’imbarazzo dei conservatori

New York. La settimana scorsa anche il candidato socialista Bernie Sanders ha agitato il suo pugno chiuso in direzione del Vaticano: “Il denaro deve servire, non governare”, ha detto, citando Francesco, “e io sono d’accordo con lui”. Sanders parlava a un comizio, al solito gremito, alla Liberty University, college evangelico della Virginia dove giusto qualche mese fa un Jeb Bush in ermellino ha fatto un appassionato discorso sulla libertà religiosa, area su cui la visione della sinistra liberal non converge affatto con quella della Santa Sede. Ma l’arrivo di Francesco oggi a Washington apre ufficialmente la corsa dei ranghi politici a saltare sul carro papale, operazione che appare più agevole dal lato sinistro che da quello destro. Il magazine Mother Jones, organo della sinistra antisistema, scrive che la visione economica del Papa è così radicale che “distruggerà quella di Elizabeth Warren”, senatrice ed eroina della sinistra radicale. Segue ragionata selezione di aforismi socialisteggianti presi qua e là dal magistero bergogliano, dall’ineguaglianza che è “frutto di ideologie che difendono l’assoluta autonomia dei mercati e della speculazione finanziaria” alla “nuova dittatura” generata dalla “idolatria del denaro”. “Papa Francesco – scrive Mother Jones – dirà ai membri del Congresso la verità, e la cosa non gli piacerà affatto”, perché il messaggio del Pontefice si colloca nell’ambito non tanto delle verità extrapolitiche ma in quello del movimentismo extraparlamentare.

 


Il prontuario di citazioni ben cesellate di Francesco sull’economia offre materiale per decine di listicles che sovrappongono il messaggio del Vaticano ai programmi della sinistra più radicale. Gli interessati adoratori di Francesco saranno rimasti confusi quando domenica, nella Cattedrale dell’Havana, il Papa ha come di consueto abbandonato il testo scritto dell’omelia per avventurarsi in un paradosso a braccio: “Tentiamo sempre di combattere la povertà, è una cosa ragionevole, ma io parlo del cuore. La ricchezza impoverisce. Ci toglie le cose migliori che abbiamo a disposizione. Ci rende poveri nel solo bene che vale, la fede in Dio”. Sforzarsi di entrare in una visione teologica della povertà significa gettarsi in un torrente infido, dunque i portabandiera della lotta alle diseguaglianze preferiscono recidere la radice antropologica del discorso papale per trattenere i frutti anticapitalisti, portatori di valori puramente laici. Warren ha detto che “sull’ambiente,  su quello che facciamo per i poveri e il nostro dovere di aiutare tutti quanti a costruirsi un futuro il papa chiarisce che non si tratta soltanto di questioni economiche ma di valore”. Addirittura Bill de Blasio, il sindaco di New York battezzato cattolico per eredità culturale e ora soltanto “spirituale”, ha colto l’occasione per dare al cattolico Marco Rubio una marxisteggiante lezione di catechismo: “Consiglio fortemente al senatore Rubio di rileggere il discorso della montagna”, dove scoprirà che “chiaramente il cuore dell’insegnamento della chiesa cattolica ha a che fare con la realtà economica che la gente ha affrontato per migliaia di anni”. E giù la solita lista di intemerate contro la trickle-down economics. De Blasio si è detto “sorpreso” che Rubio abbia osato fare una distinzione fra gli insegnamenti religiosi del Papa (“che seguo al cento per cento, altrimenti non sarei cattolico”) e le sue posizioni politiche (“sulle quali è lecito essere in disaccordo”). Il padre di tutti gli endorsement socialisti è arrivato naturalmente da Raul Castro, che ha tessuto le lodi della società “egalitaria” cubana in cui regna la giustizia sociale, con citazione francescana d’obbligo sull’idolatria del denaro e altrettanto obbligatoria omissione della critiche del Papa all’ideologia.

 

[**Video_box_2**]Se la Casa Bianca è molto accorta nel depoliticizzare Francesco, ritagliandoli un ruolo di riverito leader morale e spirituale per evitare di trovarsi invischiata in un imbarazzo politico se il Papa dovesse uscire – e non sarebbe una novità – dalla comfort zone per avventurarsi nelle ampie, enormi aree di disaccordo fra la Santa Sede e la Casa Bianca (“Non sappiamo cosa dirà il Papa fino al momento in cui lo dice”, ha detto Charles Kupchan, del Consiglio per la sicurezza nazionale: un complimento alla personalità indipendente di Francesco che tradisce un’apprensione squisitamente politica) la sinistra con il turbo non ha nulla da perdere in questo arrembaggio ideologico alla papamobile. Per converso, i conservatori sono bloccati dalle premesse e distinguo che devono anteporre a qualunque parola di apprezzamento per Francesco. Vale innanzitutto per i congressmen che si sono dichiarati “prima repubblicani e poi cattolici”, ma è una difficoltà che riguarda l’intero lato destro dell’emiciclo.

 

L’opinionista George Will sul Washington Post ha dato voce a tutti quelli che danno una coloritura morale al capitalismo, spiegando che il mercato, non le tasse e il welfare di Sanders, è la vera cura alla povertà contro cui si batte Francesco: “Con lo zelo del convertito, abbraccia idee immancabilmente alla moda, false e profondamente reazionarie. Quest idee devasterebbero i poveri che dice di rappresentare, se soltanto le sue prescrizioni politiche non fossero tanto implausibili quanto le sue diagnosi sono stridenti”, ha scritto Will, producendo una ponderosa argomentazione sui benefici del mercato per i poveri.