Glass

Il film di M. Night Shyamalan, con James McAvoy, Anya Taylor-Joy, Bruce Willis, Samuel L. Jackson

Mariarosa Mancuso

L’Indistruttibile, l’Uomo di Vetro, l’Orda – nome collettivo per le 23 personalità di un giovanotto assai dissociato – sono rinchiusi in un manicomio di Philadelphia. Amorevolmente curati della più sciocca psichiatra mai apparsa sugli schermi: con voce monocorde che placa e rassicura, cerca di convincere ognuno di loro (con le personalità scisse fanno 25) che i supereroi non esistono, se non nella mente dei disegnatori di fumetti. Così il regista del “Sesto senso” – “Vedo gente morta”, il ribaltamento di tavolo più clamoroso da un po’ di anni a questa parte, era il 1999 e da allora nessuno ha saputo far meglio – porta a compimento la sua trilogia cominciata con “Unbreakable - Il predestinato”. Che fosse una trilogia, l’abbiamo scoperto nel 2016 con “Split”, e rimane il fiero sospetto che neanche Shyamalan l’avesse in mente da subito. Lì James McAvoy sfoggiava tutta la sua bravura nelle personalità multiple, con un piccolo sconto: da una ventina se ne vedevano nove, comprese l’orrida Bestia che vuol purificare il mondo torturando ragazzine e Kevin, di nove anni, quinta colonna per placare gli istinti peggiori. Qui l’attore fa il bis, con un piccolo aiuto degli effetti speciali che gli pompano il torace e il bicipiti. Anche in velocità: bisogna sapere che nella cella, perché non azzanni la psichiatra che gli chiede conto dell’infanzia, gli hanno messo un marchingegno a flash. Luce abbagliante negli occhi, e come per incanto la personalità cambia. L’Uomo di Vetro Samuel L. Jackson sta nella sua sedia a rotelle, muove appena una palpebra (ma è capace di piani raffinatissimi). L’Indistruttibile Bruce Willis si fa beccare in uno dei giri di ronda per ripulire dal male la città, e nessuno ovviamente crede che sia stabilmente dalla parte dei buoni. Complicato? Mica è finita. Nel film si discute di come funzionano gli albi a fumetti, con i loro numeri speciali. E spunta una ragazza sopravvissuta alla Bestia. Fa lavorare il cervello anche allo spettatore, mentre conta un impressionante numero di finali – il più bello viene rovinato dal finale successivo – e la possibilità di un seguito, anche questa trascurata. Inappuntabili solo le scene d’azione.

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