IT

di Andrés Muschietti, con Bill Skarsgård, Finn Wolfhard, Javier Botet, Sophia Lillis, Jaeden Lieberher

Mariarosa Mancuso

Ragazzini e biciclette, siamo negli anni 80 da cui né il cinema né le serie – la seconda stagione di “Stranger Things” sarà su Netflix il 27 ottobre – riescono a staccarsi. Il romanzo di Stephen King (altro campionissimo della pop culture, uscito nel 1986) cominciava alla fine degli anni 50, così che i ragazzini spaventati dal mostro avessero il tempo di diventare adulti e tornare al paesello per la battaglia finale. Il film dell’argentino Andrés Muschietti svolge solo la prima parte del tema; visto il successo – 600 milioni di dollari finora, a fronte di 35 milioni spesi – nessuno gli negherà il seguito. Ragazzini sfigati, e sanno di esserlo. Nel campionario: il ciccione che legge libri, qualcuno di poesia. La ragazza molestata dal padre. Il figlio di mamma ipocondriaca convinta che il mondo là fuori sia pieno di microbi, tutti letali. I ricciolino che prepara il bar mitzvah sotto l’occhio vigile del genitore. Il balbuziente che continua a cercare il fratello sparito – era uscito con l’impermeabile giallo e la barchetta di carta sotto un temporale, in un tombino aveva incontrato il clown Pennywise. L’associazione americana dei pagliacci ha già protestato, con scarso successo. Ormai basta un palloncino rosso per terrorizzare il pubblico di riferimento (non solo ragazzini che si nutrono di horror: ci sono anche gli ex bambini che ricordano la miniserie tv in onda nel 1990). Se siete tra gli ignari – improbabile, ma può capitare, anche se le 1.200 pagine di “It” sono un piacere da non lasciarsi scappare – sappiate che a Derry, cittadina del Maine, il male letteralmente esce dalle fogne a intervalli regolari. Vestito da pagliaccio, perlopiù, ma capace di incarnare i timori delle singole vittime. Sangue sulle pareti della vasca da bagno (per la ragazzina, viene in mente “Carrie”, sempre di Stephen King). Un giornale con l’annuncio della tua morte, con tanto di fotografia. Il carrousel con le diapositive (in “Mad Men” rappresentava la nostalgia) che sputa immagini orrorifiche. La parte “Stand by Me” – sempre da un racconto della premiata e monopolista ditta King – sembra volersene andare per conto suo rispetto all’horror.

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