Emmanuel Tjeknavorian (foto LaPresse)

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L'entusiasmo contagioso del giovin direttore. A Milano tutti pazzi per il “Tjek”

Alberto Mattioli

Bravura, carisma e una Nona di Beethoven cesellata nei dettagli hanno consacrato l'austriaco di discendenza armena come il nuovo catalizzatore musicale di Milano: un direttore che traspira musica, trascina il pubblico e restituisce vitalità a una scena troppo spesso autoreferenziale

Tutti pazzi per il “Tjek”. Alias Emmanuel Tjeknavorian, 30 anni, austriaco di discendenza armena (anche Karajan aveva lombi lontani, per la precisione macedoni, si chiamavano Karajannis, era il melting pot della Kakania), dal 2014 direttore musicale della Sinfonica di Milano, l’ex Verdi. E ormai amatissimo: ogni apparizione, un’epifania, Auditorium di corso San Gottardo sold out, battimenti di mani e di piedi. Se n’è accorto perfino il Corrierone che lo ha messo in concorso come milanese dell’anno.

Lunedì, il Tjek ha diretto la Nona di Beethoven, consueto concerto delle Feste della Sinfonica e, rispetto a quella dell’anno scorso, l’ha ulteriormente affinata (e non parliamo del suo pacatissimo predecessore, quando sembrava sempre la Nonna di Beethoven). E’ stata una bella esecuzione, grazie anche all’ottima prestazione dell’Orchestra e al Coro solidissimo di Massimo Fiocchi Malaspina. Appena prima della prima, sono cambiati due solisti su quattro, spifferi di coulisse dicono perché protestati, dunque il Tjek ha anche carattere: in ogni caso, nel complesso non più che efficienti, con l’eccezione della deliziosa Benedetta Torre che sale ad acuti in pianissimo come una piccola Gundula Janowitz (e comunque, signora, dia retta a un cretino: canti quanto prima Sophie del Rosenkavalier). La Nona del Tjek è piena di dettagli rivelatorii, improvvise sottolineature, lirismi accuratamente dettagliati: uno per tutti, l’attacco del tema dell’Adagio da parte dei violini secondi. Grandi contrasti, dinamiche ampie, agogiche tutto sommato non estremiste. Un disegno generale forse c’è, ma non l’ho colto. Però quelli del Tjek non sono mai effetti senza cause.

Ciò che rende interessante e “mostruoso” Tjeknavorian, proprio nel senso etimologico del temine, è l’entusiasmo che comunica. Traspira musica, quindi la ispira. Vederlo sul podio dà un piacere quasi infantile, non privo né di una componente di divertimento, di gioco, di teatro (spielen, jouer, to play…) né, da parte sua, di un certo esibizionismo narcisista, che si traduce in qualche gesto più piacione che utile. Ma l’effetto complessivo è trascinante, come potevano esserlo, si parva licet, certe esibizioni di Lenny Bernstein. E si conferma allora il sospetto che di musicisti così abbia bisogno, oggi, il mondo sempre più autoreferenziale e ristretto della musica cosiddetta classica, e non parliamo poi di quello milanese, tradizionalmente sussiegoso-polveroso. Servono personalità, non personaggi. E di personalità il Tjek ne ha da vendere. Ora, scusate l’interesse personale, lo si aspetta al varco dell’opera: non ne ha mai dirette e inizierà con due titoli notoriamente infidi sia pure per ragioni diverse, Un ballo in maschera al Maggio e Le nozze di Figaro all’Opera di Roma, sentiremo. Nel frattempo, Milano se lo tenga stretto, perché il giovin direttore è chiaramente destinato a fare molta strada. Intanto lo applaude, e tanto, una sala, come succede di rado, gremita e di un pubblico, come non succede mai, non solo di over 60. Che volete di più, per augurarsi buon anno?

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