Il custode invisibile del suono. Viaggio con Joe Barresi nel cuore del rock

Raffaele Rossi

Il produttore che ha lavorato con Queens of the Stone Age, Tool e Weezer racconta 30 anni di rock, sessioni folli negli anni Novanta, segreti di studio e la sfida di restare diversi nell’èra dell’algoritmo. "Con l’AI tutti suonano uguali, vince chi è diverso. La musica? È come un puzzle"

La storia di un brano non è scritta solo dai suoi autori e interpreti. Dietro il sipario, c'è una figura silenziosa che ne plasma il suono e l'anima: il produttore. Joe Barresi, uno dei nomi più rispettati nel rock alternativo, ha forgiato il suono di dischi che hanno segnato intere generazioni. Durante i suoi trent’anni di carriera ha lavorato con band iconiche come Tool, Queens of the Stone Age, Soundgarden, Nine Inch Nails, Slipknot e Weezer. 

Per lui, lo studio è un organismo vivente dove l'imperfezione non solo è permessa, ma è la chiave per raggiungere l'essenza della musica. “Ho imparato che le imperfezioni rendono la musica unica e diversa. Quando una band arriva da me è importante cercare di creare un ambiente confortevole – racconta al Foglio il tecnico e ingegnere del suono - perché non vuoi certo che uno studio di registrazione diventi un ospedale". 

  

Come riesce a mettere a proprio agio una band che arriva nel suo studio?
Bisogna sciogliere la tensione, anche con un po' di senso dell'umorismo. Non devono sentirsi sotto interrogatorio.

  

Dopo trent’anni di carriera c’è ancora la stessa passione?
Se per 12 ore al giorno sei seduto su una sedia in una stanza, è meglio che ti piaccia quello che fai. Riuscire a rendere felici le band è ciò a cui miro ancora oggi.

  

Ci sono stati momenti folli che ha vissuto in studio?
Gli anni Novanta sono stati un periodo folle per la musica, credo. Il rock era come un vulcano.

  

Cioè?

Da un errore che ha reso unico un disco a un ospite speciale che ha ispirato un artista.

 

Si è mai rifiutato di produrre qualcosa?
Ho fatto dei missaggi in cui i cantanti mi chiedevano continuamente di alzargli il volume. A quel punto ho detto solo “scusate, preferisco andarmene”.

  

Lei ha forgiato il sound dei Queens of the Stone Age, può raccontarci com'è stato lavorare al loro primo disco?
Dopo lo scioglimento dei Kyuss, Josh Homme mi mandò una cassetta con il suo materiale, dicendomi che stava cercando di ottenere un contratto discografico. Nessuno voleva firmare con lui. Quelle canzoni mi piacquero talmente tanto che l’album lo abbiamo registrato nel deserto in soli 17 giorni.

  

Ha anche registrato molti dei brani presenti in “Pinkerton” dei Weezer.

Rivers Cuomo e compagni arrivavano dal successo planetario del Blue Album, sarebbe stato difficile replicarlo…Anche per quello Pinkerton non è stato capito subito. Ma è stato un progetto fondamentale perché una decina di anni dopo ha dato il via al movimento emo-punk.

  

Cos'è la musica per lei?
La musica è come un puzzle. Ho lavorato con molte persone che passano troppo tempo a regolare il suono, al punto che la band non ha più voglia di suonare. Per me è meglio catturare il momento di energia e ispirazione.

 

E ora com'è cambiato il suo modo di lavorare?
Oggi sono arrivato alla consapevolezza che preferisco fare ciò che mi piace, qualunque cosa sia, anche se il budget è basso.

 

Lei ha mai fatto uso dell’intelligenza artificiale nel suo lavoro?
La prima intelligenza artificiale che ho provato ricordo che prendeva pochi secondi di musica e la riproduceva per tutto il tempo che volevi, creando dei motivi basati su quel frammento usando la sintesi granulare.

  

Crede che app come Suno e Udio possano essere il futuro della musica?
Il bello delle nuove tecnologie è che permettono a chiunque di giocare sullo stesso campo. Però rendono anche tutti identici. Quindi ciò che spiccherà sarà sempre chi è diverso, come Led Zeppelin, Metallica, Black Sabbath e Céline Dion.

  

Pensa che scrivere una canzone con l'AI possa essere un rischio per l'industria musicale?
Non so se sia un rischio per l'industria, ma di sicuro è un tipo diverso di creatività. Di sicuro non potrai fare un tour con una canzone creata dall'intelligenza artificiale, a meno che non metti insieme una band. Ma a quel punto non sarebbe più la stessa cosa.

 

Quindi come si pone?
Non sono contrario alla musica creata con le app digitali. Van Halen e Jimmy Page hanno impiegato molto tempo per sviluppare un suono di chitarra personale, ma se usando suoni preimpostati si riescono comunque a scrivere buone canzoni, allora chi se ne frega.