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Amarcord

Operazione nostalgia. Riecco i fratelli Gallagher e i ruggenti anni Novanta

Gli Oasis sono più di una reunion, sono il ritorno al passato, a un’epoca irripetibile, per Manchester e per il paese: la musica diventa il pretesto di un immenso amarcord collettivo, che riporta ai tempi della migliore Gran Bretagna dal Dopoguerra

Sulla App dei fortunati che sono riusciti a comprare un biglietto – molti svenandosi – arriva una notifica: severe weather alert, allerta meteo. Di solito, è l’avviso che in Gran Bretagna fanno d’inverno quando arrivano le tempeste dall’Oceano Atlantico. Invece stavolta è per il caldo: sono attesi 29 gradi, temperature mai viste da queste parti. Gli 80 mila fan diretti a Heaton Park pensano a uno scherzo: perché Heaton suona anche come Heat On, ossia riscaldamento acceso. E in effetti la canicola  si abbatte sulla marea umana che si sta ammassando nell’immenso parco a nord di Manchester, dove l’ultima volta erano andati nell’estate del 2009.

 

Hanno aspettato 16 anni per questo momento e il caldo non li fermerà: a metà pomeriggio saranno tutti a torso nudo, ma col classico bucket hat in testa, il cappello da pescatore, relitto di moda degli anni 90 e parte integrante della tenuta estiva dell’inglese: lo indossavano, all’epoca, anche Liam e Noel Gallagher, sbruffoni e sboccati figli di Manchester divenuti rockstar mondiali come Oasis (nome improbabile preso da un poster in una camera di Swindon), con il loro miscuglio di melodie beatlesiane, schitarrate e vite sregolate. Già l’annuncio della loro riunificazione, dopo 16 anni dalla separazione, fu la notizia dell’anno nel mondo della musica, e mandò in tilt i siti di biglietti di mezzo mondo coi prezzi schizzati a cifre folli (e tanto di interrogazione parlamentare a Westminster). Ma il ruggito della folla di Heaton Park, quando i due fratelli, che per anni si sono insultati e odiati, salgono sul palco mano nella mano, è più di un concerto, di un evento musicale: nel gergo lo chiamano homecoming quando un gruppo famoso suona a casa sua, davanti al suo pubblico.

Tutta Manchester è in piena Oasismania: d’altronde i due fratelli coltelli sono il gruppo rock più famoso della città, negli anni 90 hanno fatto impazzire un’intera generazione, con scene da isteria collettiva mentre loro due si autodistruggevano tra litigi, droghe e successi planetari. Trent’anni dopo l’euforia si ripete, incontenibile: fin dalla mattina nel pub “Definitely Maybe”, che è il locale dedicato al gruppo e prende il nome dal loro album più famoso (e che secondo alcuni ha il più bel titolo nella storia della musica), è strapieno di gente, giovani e meno, che pogano, imbenzinati di pinte, al ritmo di “Rock’n’Roll Star”. Le strade sono invase di manifesti e murales che inneggiano ai due concittadini, Il tram, giallo, che dalla stazione Piccadilly dei treni porta al parco, ha sulla fiancata la foto del monellaccio, ormai cinquantenne, Liam con la scritta “She’s Electric”, altra loro canzone e riferimento alla modalità ecologica di trasporto: la voce automatica che annuncia il capolinea, il luogo del concerto, è quella di Liam.  

Gli Oasis sono più di una reunion, sono il ritorno al passato, a un’epoca irripetibile, per Manchester e per il paese: la musica diventa il pretesto di un immenso amarcord collettivo, che riporta ai tempi della migliore Gran Bretagna dal Dopoguerra. Andare a vedere i due fratelli coltelli che snocciolano i loro immortali nella loro Manchester è come salire sulla macchina del tempo di H. G. Wells, anche lui inglese peraltro: ed ecco che riappare la Madchester degli Anni 90, la città fucina di mode, musica e sballo, di trend mondiali, la città della Factory Records e dei New Order, il gruppo che ha inventato la disco dance e influenzato tutta la cultura di un’epoca, quella del clubbing, con il loro locale Hacienda, ora scomparso e scomparsa pure l’epoca delle discoteche.

 

Era l’Inghilterra del Britpop che dominava il mondo con la sua musica, una versione moderna, più adolescenziale del Britannia Rules dei tempi della Regina Vittoria, ma sempre di imperialismo si trattava. Poi la Gran Bretagna dei Beatles e dei Rolling Stones, di Sir Rod Stewart e degli Iron Maiden, tutte divinità inarrivabili della musica, avrebbe perso il suo scettro, cedendolo all’invasione americana del rap e dell’ hip hop e rap che ha plasmato la generazione dei millennial. A quell’epoca, invece, gli inglesi Oasis si contendevano il trono con gli inglesi Blur, i fighetti di Londra capitananti da Damon Albarn, classico londinese upper class e figlio di papà, mentre i fratelli erano anche fisiognomicamente all’opposto: avevano il monosopracciglio, nel caso di Noel; o, peggio, un’improbabile capigliatura alla John Lennon di periferia, con 30 anni di ritardo, le polo Fred Perry della sottocultura giovanile, un incomprensibile accento Mancunian, infarcito di F*** nel caso di Liam. Era la profonda provincia inglese, la grigia e triste città delle Midlands che aveva inventato il football proprio per dare uno svago agli operai alienati delle fabbriche. Era tutto un derby anglosassone, che si rifletteva poi nella cultura popolare: a Heaton Park svettavano striscioni del Manchester City, il club che i due fratelli adorano. L’accoppiata calcio-musica ha definito un’era per l’Inghilterra mentre sulla scia della band inglese, nascevano decine di gruppi musicali che monopolizzavano le riviste, Mtv, e le radio; allo stesso tempo la Premier League iniziava il suo cammino verso il dominio mondiale del calcio trasformando un campionato nazionale in una multinazionale dello sport e dei successi.

Il luogo perfetto per questo ritorno di fiamma della Gran Bretagna anni 90 sarebbe stato l’Etihad Stadium, il tempio del Manchester City, finito sotto al cappello degli arabi mentre i due fratelli erano impegnati a litigare, ma l’ultimo concerto da gruppo i due fratelli lo avevano fatto proprio in quel parco dove Liam si presenta con un parka, anche se il termometro segna 29 gradi quando entra in scena. Ma è il suo marchio di fabbrica, il suo look, assieme alle mani incrociate dietro la schiena e la posa da bullo dei Salford Quays, il quartiere del porto (fluviale) di Manchester. Non si muove, non balla, non fa tutte le smancerie alla Taylor Swift: gli bastano la sua arroganza e una voce ancora potente e nasale per far esplodere gli 80 mila e ricordare cosa sia il rock:  un oceano di persone che urla, balla e canta a squarciagola, molti sulle spalle degli altri.  Gli Oasis hanno incarnato la working class, celebrata da John Lennon che era noto poco più a ovest, a Liverpool, e che negli anni 90 visse la sua Età dell’Oro: al governo c’era Tony Blair, il padre del New Labour, il primo ministro che strizzava l’occhio alla City e al libero mercato. Il paese correva prospero e baldanzoso verso il nuovo Millennio sull’onda dell’innovazione di internet  e in pieno boom economico. La Gran Bretagna della reunion degli Oasis non è più la Champagne Supernova, ma un paese avvitato su sé stesso, sull’orlo della recessione, con un governo sempre di sinistra, il primo dai tempi dello stesso Blair ma che non strizza nessun occhio al mercato ma idolatra l’assistenzialismo.   

 

La sera del 5 luglio quando i Gallagher sono risaliti assieme su un palco dopo quasi 20 anni, al Municipality Stadium di Cardiff, 200 chilometri più a est, a Colchester, l’antica città romana di Camulodunum, si esibivano i Duran Duran, che sono stati gli Oasis degli anni 80: il mondo dello spettacolo da tempo punta ormai sulla nostalgia, vende ai cinquantenni il sogno di tornare giovani. D’altronde poter rivivere la propria giovinezza, poter rivivere gli Anni d’Oro (cit. 883) del proprio paese, anche solo per una notte, non ha prezzo. Per tutto il resto c’è una nota carta di credito.

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