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C'è un legame tra democrazia e musica, Gianandrea Noseda ci spiega come coltivarlo
Il celebre direttore d’orchestra vede nella musica un ponte universale capace di superare conflitti culturali e politici, promuovendo dialogo e democrazia. Nonostante le tensioni globali, crede nell’importanza di investire nelle nuove generazioni per costruire una società basata sull’ascolto, la pazienza e la perseveranza
Tel Aviv. “La democrazia va coltivata: richiede pazienza e perseveranza, come nella musica. Questo ho imparato nel corso di oltre trent’anni di carriera, nel corso della quale ho avuto l’opportunità di conoscere diversi paesi e popoli, anche in aree di conflitto”, racconta al Foglio Gianandrea Noseda, direttore musicale della National Symphony Orchestra di Washington, riconosciuto come uno dei più importanti direttori d’orchestra della sua generazione, capace di rivoluzionare le istituzioni per le quali ha assunto ruoli di responsabilità grazie all’intensità del suo impegno musicale e, al tempo stesso, umano: “La musica, nella sua portata universale, può creare un campo di interazioni dove le differenze, sia politiche sia di credo, vengono annientate in nome della superiorità dell’arte”. Non sorprende che negli ultimi tre anni, nonostante i conflitti in corso tra Europa e medio oriente, non abbia mai smesso di svolgere il suo ruolo non solo di direttore d’orchestra ma anche di ponte tra culture, attraverso la sua passione e professione.
Lo scorso dicembre ha ricevuto l’Ambrogino d’oro dalla città di Milano, gemellata con San Pietroburgo e Tel Aviv. In questi due luoghi di eccellenza – dove ha condotto per anni l’orchestra del Teatro Mariinskij e della Israel Philharmonic – il maestro si sente particolarmente stimolato, aldilà della scena artistica: “Sono stato per la prima volta in Israele nel 1995, nel pieno degli Accordi di Olso e, fin da subito, sono rimasto profondamente colpito da questo luogo unico al mondo d’incontro tra culture e religioni diverse: ebrei, cristiani e musulmani che vivono e lavorano fianco a fianco, come nella West Eastern Divan Orchestra fondata da Daniel Barenboim, con lo scopo specifico di favorire il dialogo tra musicisti provenienti da paesi e culture storicamente nemiche. Per questo, dopo il conflitto scatenatosi a seguito dell’efferato attacco di Hamas ai kibbutz israeliani, ho sentito la necessità di non abbandonare Israele. Il 7 Ottobre mi trovavo negli Stati Uniti e ho provato lo stesso dolore e terrore che avevo provato l’11 settembre 2001. Anche allora ero in America e ciò che mi aveva più colpito, nell’attacco alle Torri Gemelle, era stata proprio la volontà di interrompere con quell’atto inconcepibile il sentimento di abbraccio universale che si era sviluppato negli ultimi decenni dello scorso millennio. Per questo, già a gennaio 2024, sono stato tra i primi a tornare a dirigere in Israele, poiché credo fermamente che la musica, che non ha nemmeno bisogno delle parole, sia in grado di superare ogni muro. Se poi la si studiasse in modo approfondito, se si conoscessero i grandi autori come Verdi e Beethoven, si potrebbe anche meglio comprendere la storia e i sentimenti dei personaggi e dei popoli protagonisti di queste opere”.
Tra i grandi maestri Noseda cita numerosi russi e ricorda il suo rapporto privilegiato con San Pietroburgo, dove il Teatro Mariinskij era la culla di artisti che provenivano da tutta l’Unione sovietica e dove Noseda ha spesso alloggiato nella Casa degli Artisti, vivendo, condividendo la cucina e gli spazi comuni e in questo modo anche imparando la lingua, e il punto di vista, dei diversi popoli dell’ex Urss. Fino all’invasione dell’Ucraina: “Da allora i rapporti tra Mosca e il resto del mondo di sono incrinati e la maggior parte delle collaborazioni artistiche sono state sospese. Ma questo non significa che non dobbiamo e non possiamo imparare dal lascito dei grandi maestri russi, non solo nell’ambito sinfonico. Partecipo sempre con grande entusiasmo al Festival di Tsinandali, in Georgia, dove vengono accolti artisti che provengono da tutti i paesi che sono stati sovietici: russi e ucraini, armeni e azeri. Penso che la mancanza di comunicazione sia uno dei pericoli più insidiosi di questo nuovo millennio, e che si tratti di un fenomeno globale. Per questo, nonostante anche gli Stati Uniti siano ormai spaccati in due, ho rinnovato la mia collaborazione con l’orchestra di Washington, perché non bisogna mai smettere di seminare: mostrando la propria presenza, dando un esempio. Ogni anno dedico almeno un mese del mio tempo ai giovani talenti, perché un giorno saranno loro non solo a dirigere le orchestre, ma anche a lasciare il proprio lascito nella storia e nella democrazia. Dobbiamo investire come non mai nell’educazione e nelle nuove generazioni, perché possano ricostruire una società basata sull’ascolto e sul dialogo, in grado di superare i particolarismi i conflitti in corso. Nonostante il delicato momento storico in cui ci troviamo, mi sento ottimista. Perché, almeno da quello che vedo nella mia professione, la passione in queste nuove generazioni non manca. E’ questo il seme più importante da coltivare”.