Note sacre
Patmos in musica
Sull’isola il festival che non ti aspetti, con Schubert e Brahms. E uno storico pianoforte che come sia arrivato qui è un mistero
Ascoltare il Quintetto con clarinetto di Brahms davanti al gran muro bizantino del millenario convento ortodosso? Fatto, e ci sta pure bene: del resto, l’Adagio del secondo movimento è una delle poche prove certe dell’esistenza di Dio (nel caso luterano, però). Assaporare Die schöne Müllerin di Schubert, “la bella mugnaia”, scelta come omaggio ai tre mulini a vento che dominano l’isola dandole un incongruo aspetto olandese, nell’ex scuola del monastero? Fatto anche questo.
Benvenuti a Patmos, “la Gerusalemme del Mediterraneo”, adesso anche l’isola della musica che non ti aspetti. Breve ripasso storico-geografico: nel Dodecaneso, dunque Grecia ma più vicina alla Turchia che alla Grecia continentale, tremila abitanti, spiagge meravigliose e solita successione di dominatori greci, romani, bizantini, genovesi, cavalieri di Rodi, turchi, italiani dal 1912 al ‘47 (dunque è una terra irredenta, ditelo a Sangiuliano che ci faccia subito una fiction, o almeno una mostra), poi brevemente inglesi, infine di nuovo greci. L’importanza del sito è soprattutto religiosa, perché a Patmos Domiziano esiliò san Giovanni, che visse in una grotta scrivendoci il suo Vangelo, l’Apocalisse e le tre Lettere. Quindi la caverna e il convento, bellissimo e fortificatissimo, con un museo pieno di Aristoteli e Aristofani stampati da Aldo Manuzio, e in una vetrinetta le sacre reliquie come il teschio di san Tommaso montato in argento prêt-à-porter, sono tuttora meta di pellegrinaggi molto esuberanti, fra icone, ceri, genuflessioni, segni di croce fatti al contrario e, mercoledì scorso, un pellegrino greco o molto pio o con molto da farsi perdonare che ha appoggiato il crocifisso che aveva al collo nell’incavo del muro dove Giovanni era solito dormire e poi l’ha ritirato e coperto di baci singhiozzando, uno spettacolo per noi atei devoti, mentre il monaco con le Crocs ai piedi trovava tutto normalissimo.
Di monaci, per la verità, ne sono rimasti pochi, perché la secolarizzazione avanza anche qui, idem le seduzioni del mondo: gli habitué raccontano il ghiotto gossip del bibliotecario, dotto bizantinista custode di una favolosa raccolta di codici, che anni fa perse la testa per una fanciulla normanna venuta sull’isola ad aprire una crêperie. I due sono stati avvistati per l’ultima volta a Parigi, non si capisce se a occuparsi di teologia o di frittate. E, a proposito di divinità, l’isola è ancora ben fornita anche oggi perché è piena di gatti uno più bello e coccolone dell’altro, insomma al momento il gattolicesimo pare prevalere sull’ortodossia. Dal punto di vista turistico, però, si è salvata. L’aeroporto non c’è. Ci si arriva solo per traghetto da Cos (dove invece si atterra, anche dall’Italia, ed è una specie di Milano Marittima con la pita la posto della piadina), a parte un eliporto che serve per le emergenze mediche e per qualche visitatore molto ricco e molto cafone, quindi subito biasimato per l’ostentazione. Infatti la Chora, il meraviglioso paesino abbarbicato intorno al monastero, è stata colonizzata prima dagli inglesi e poi dagli italiani, in entrambi i casi doviziosi e discreti, che hanno ristrutturato meravigliosamente le vecchie case e stanno chiusi lì a farsi reciprocamente visita e a deplorare il turismo presunto “di massa” che imperverserebbe alla marina e che in realtà non c’è, visto che le spiagge risultano affollate come quelle italiane a febbraio.
Patmos è piena di gatti uno più bello e coccolone dell’altro. Dal punto di vista turistico si è salvata. Ci si arriva solo per traghetto da Cos
Che da tre anni sia stato impiantato un festival di musica da camera proprio qui può sembrare un’eccentricità. L’isola ha un grande pregio, il silenzio, ma non particolari tradizioni musicali, anche se qui venne a vivere e a morire l’illustre compositore britannico John Tavener (1944-2013), la cui vedova abita ancora sull’isola. E nella scuola locale troneggia un bell’Érard ottocentesco un po’ malmesso, la cui storia va raccontata. Un musicologo del festival (tutti i musicologi, si sa, hanno una vena di follia) si è infatti preso la briga di controllarne il numero di matricola e di confrontarlo sui registri della Maison, a Parigi: ebbene, è il pianoforte che, all’inizio del Novecento, fu venduto nientemeno che a Pauline Viardot (1821-1910), vera “femme formidable” nella Parigi ottocentesca, dove pure ce n’erano parecchie. E per forza: era figlia di Manuel Garcia, tenore andaluso primo Almaviva nel Barbiere di Siviglia di Rossini, sorella di Manuel Garcia junior, inventore del laringoscopio e autore di un trattato di canto ancora in uso, e di Maria Malibran, la diva romantica per eccellenza, e lei stessa eccellente mezzosoprano (benché con un registro acuto un po’ aspro, dicono) e anche compositrice molto rivalutata nei nostri tempi di parità retroattiva di genere. E poi: amica di Chopin, di Clara Schumann e di George Sand, proprietaria dell’autografo del Don Giovanni, amante di Turgenev e musa di Berlioz, che per lei riscrisse l’Orphée di Gluck, insomma un personaggio eccezionale (c’è tutto, comunque, ne Gli europei di Orlando Figes, libro non meno eccezionale). Come poi il pianoforte sia arrivato a Patmos resta abbastanza oscuro. La Viardot l’avrebbe venduto o regalato a un ammiraglio, si suppone francese e musicista: perché costui l’abbia poi spiaggiato su un’isola del Dodecaneso è un mistero.
Nella scuola locale troneggia un bell’Érard. Appartenenva a Pauline Viardot, vera “femme formidable” nella Parigi ottocentesca
A Patmos c’era tuttavia, da più di vent’anni, un festival di musica sacra, che quest’anno è stato affidato alla stessa gestione di quello di musica da camera. E rieccoci qui. I due dioscuri che hanno deciso di fare musica proprio a Patmos sono Roberto Prosseda, direttore artistico, e Massimo Fino, direttore esecutivo. Prosseda è un celebre pianista, sommo sacerdote di Mendelssohn; Fino, l’uomo giusto cui rivolgersi se vi punge vaghezza di appendere in salotto un autografo di Beethoven. Musicologo di formazione, ha lavorato per vent’anni da Christie’s occupandosi appunto di autografi musicali, poi si è messo in proprio. Sempre per vent’anni, è stato anche l’anima di Opera Barga, delizioserrimo festivalino operistico sulle colline della Lucchesia, frequentato soprattutto da inglesi eccentrici “under the tuscan sun”. Adesso è a Patmos, dove fra gli chic cosmopoliti nei palagi della Chora l’idea di farci della musica è subito piaciuta, anche per distinguersi dalla folla volgare degli arenili; da qui gli indispensabili sponsor. Certo, organizzare un festival su un’isoletta, e per di più un’isoletta senza aeroporto, complica considerevolmente tutto. Il Fazioli che viene usato per i concerti, per esempio, è partito da Roma, è stato imbarcato ad Ancona, sbarcato a Patmos e, a festival finito, sarà rispedito in Italia, già che ci siamo insieme all’Érard della Viardot che ha bisogno di restauri.
Anche l’accordatore è arrivato apposta dall’Italia. Il problema delle sedi dei concerti si è invece rivelato più semplice o meno complicato da risolvere. La Brussels Chamber Orchestra diretta dal celebre violinista Michael Guttman (i nomi in cartellone sono tutti importanti) suona nella scuola di Skala, il villaggio del porto, dove c’è più spazio. I due concerti da camera che ho sentito si sono invece svolti nell’acropoli: uno, appunto, all’aperto, nella deliziosa piazzetta fra le pietre bizantine; l’altro nella scuola monastica, mezzo dentro e mezzo fuori, nel senso che all’interno i posti sono pochi e quelli che non li hanno ottenuti si sono sistemati in cortile, una soluzione meno felice come acustica ma migliore quanto a ventilazione. L’aspetto divertente è che, in pratica, sei seduto accanto agli artisti, basterebbe allungare un braccio per toccarli, e ti accorgi subito che il tenore Ian Bostridge, protagonista delle due serate, ha un buchetto sulla camicia di lino bianco (le tarme, evidentemente, non amano Schubert). E’ una prossimità insolita ma benvenuta, che abbatte la barriera fra esecutore e spettatore: in fin dei conti, sono musiche pensate per il salotto, non per la sala da concerti. Nel day after è poi un piacere incontrare in giro per spiagge e monasteri i musicisti che hai ascoltato la sera prima. Bostridge, raro caso di cantante intellettuale, anzi, peggio: di tenore intellettuale, in pratica un ossimoro vivente, di formazione storico e autore di un saggio sulla caccia alle streghe, faceva il tour dell’isola con la moglie Lucasta Miller, celebre critica letteraria e come lui collaboratrice del Guardian, e i due figli.
Tutti nomi importanti. La Brussels Chamber Orchestra suona nella scuola di Skala, il villaggio del porto, poi due concerti nell’acropoli
Due belle serate di musica, si diceva. La prima è iniziata con il magnifico violoncellista Steven Isserlis e Thrinos di Tavener, uno struggente lamento funebre che fu scritto da Tavener proprio qui, e proprio per Isserlis: suggestione garantita. Poi Bostridge ha cantato quattro Lieder di Schubert con una pianista, Maya Oganyan, impeccabile ma più propensa ad accompagnare che a dialogare con la voce. Al momento di Auf dem Strom, dove ai due si è aggiunto il cello di Isserlis, si sono visti i rischi della musica all’aperto. Si è infatti levato il meltemi, il vento locale che ha iniziato a far volare lo spartito di Isserlis, mentre Bostridge era talmente impegnato a tenere ferma la parte del collega da avere un paio di amnesie. Problema del vento risolto nel sullodato Quintetto di Brahms, perché le due violiniste e la violista, tutte e tre gggiovani e anche assai brave, leggono dal tablet, mentre il clarinetto di Alessandro Carbonare resterebbe inappuntabile anche in mezzo a un tifone. Solo Isserlis continua a trafficare con le sue mollette da bucato per tenere stesi i fogli: però che suono dolcissimo, che cantabilità espansa e insieme pudica dal suo Stradivari, una meraviglia. Quanto alla Schöne Müllerin di Bostridge-Prosseda, se eseguita così risulta il vero teatro di Schubert, che di opere ne ha scritte molte non azzeccandole mai e invece il teatro è riuscito a farlo, e avvincente, nei suoi cicli liederistici. Bostridge non ha esattamente quel che si dice una bella voce, e qualche suono avrebbe suscitato più di una perplessità in Manuel Garcia jr. Ma l’intensità con cui lui e Prosseda passano di Lied in Lied finisce per raccontare davvero una storia tragica, dove anche i momenti di cantabilità Biedermeier così schubertiani (uno per tutto: la frase stupenda “O Bächlein meiner Liebe”, con la voce e il piano che fanno a gara a chi suona più piano) sono innervati da una malinconica inquietudine. Insomma, concerto stupendo. Il festival di musica da camera finisce con agosto; poi è subentrato quello di musica sacra, che si svolge in una cavea all’aperto proprio sopra la Grotta dell’Apocalisse, con vista aperta sul mare e le isolette. I nomi sono, anche qui, importanti: i Tallis Scholars e il gran finale del 6 settembre con Musicaeterna Byzantina, sì, il coro di Teodor Currentzis, in un programma pazzesco di sconosciutissimi autori sacri greci del Sette-Ottocento (inutile bluffare: chi fosse Petros Lampadariou – circa 1735-1778 – lo sa nessuno, men che meno io).
L’idea, insomma, funziona. Qualcosa da fare c’è ancora, per esempio rendere più fluido l’ingresso ai concerti che iniziano sempre con ritardi mostruosi, o coinvolgere di più i locali, che sembrano poco presenti rispetto agli stranieri (quanto ai due beceri, naturalmente italiani, che in ritardo per una cena hanno pensato bene di andarsene sfilando davanti agli esecutori in pieno Brahms, nella disgraziata mancanza della pena di morte resta solo la constatazione che cafoni si nasce e loro, modestamente, lo nacquero). Però l’esperimento è riuscito, per una volta la splendida cornice è un valore aggiunto, il misticismo dei luoghi sacralizza anche la musica, il contenitore esalta il contenuto, regalandoti il piacere dell’imprevisto, o dell’eccentrico: Schubert a Patmos, chi l’avrebbe mai detto?
Il misticismo dei luoghi sacralizza anche la musica, il contenitore esalta il contenuto, regalandoti il piacere dell’imprevisto, o dell’eccentrico
A noi visitatori made in Italy non resta però il piacere di vincere facile il confronto con paesi un tempo considerati più arretrati e meno efficienti del nostro, come appunto la Grecia. Nelle magnifiche spiagge la parte attrezzata (e attrezzata bene, e a prezzi che sarebbero considerati ridicoli non al Forte, ma a Riccione) è una piccola parte del totale, e l’altra lasciata libera: evidentemente qui i balneari non sono una corporazione di intoccabili come nel Melonistan. Il collega che è dovuto ricorrere al pronto soccorso per una sospetta frattura è stato accolto, lastrato e refertato (in due lingue) in dieci-minuti-dieci. E non si era rotto niente, oltretutto.
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