Daniela Pes (foto Piera Masala) 

Musica per pochi

Il rituale per elettronica e voce di Daniela Pes accende le speranze nell'underground

Stefano Pistolini

L'artista gallurese è un fenomeno musicale a tutto tondo, un aggregato di suoni e visioni da conoscere, una mentalità artistica che ribolle in questo underground dove rifugiarsi a cercare stimoli e motivi

Siamo proprio certi che questa (qui: dove viviamo, mangiamo, leggiamo e ascoltiamo) non sia Ibiza, come asseriscono i Kolors, nel loro noto tormentone estivo? E allora perché, parlando di musica, ormai il 95 per cento di ciò che ci capita di sentire pare motivato soltanto dallo strenuo tentativo di ottenere un qualche successo, un po’ di popolarità, e dei soldi, ovviamente? Nella stragrande percentuale dei casi sembra scomparsa dalla produzione popolare di musica qualsiasi intenzione di rappresentarsi, raccontare, dare una forma, appunto musicale, alla propria tensione creativa. Del resto per quale altro motivo Fedez concepisce, incide e va in giro a canticchiare “Disco Paradise”, se non per tener su una carriera sottile fatta, appunto, di successi – successi nonostante tutto? Constatazione che serve a introdurre una felice diversità, i cui germi, per fortuna, si vanno diffondendo: un sottomondo musicale italiano, che è ben oltre le forme indie e (clamorosamente) somiglia a un’istanza culturale. Il bello è che questo territorio si va ampliando, popolando e merita d’essere esplorato. Anche se si può star certi che i numeri di coloro che ci si avventureranno saranno limitati, che il tutto resterà un affare di culto e che gli entusiasmi della sera prima si scontreranno con le realtà della mattina dopo. Ma proprio questo, ormai, non è un modo di sopravvivere, sia pure alla meno peggio, nell’Italia dell’autunno 2023, dove la nostra contaminazione con l’inconcepibile assume giorno dopo giorno un’ambigua normalità? 
 

Prendiamo perciò, ad esempio, Daniela Pes. Lei è un fenomeno musicale a tutto tondo, un aggregato di suoni e visioni da conoscere, una mentalità artistica che ribolle in questo underground dove rifugiarsi a cercare stimoli e motivi. Daniela ha 31 anni, un diploma in canto jazz al conservatorio e poco alla volta un progressivo avvicinarsi alla definizione della stupefacente chiave espressiva presentata in “Spira”, il suo album d’esordio, insignito della Targa Tenco per l’opera prima. Daniela ha le radici in Sardegna, gallurese di Tempio Pausania e questo stabilisce il primo territorio comune con Jacopo Incani, in arte Iosonouncane, destinato a diventare il suo pigmalione, almeno quanto alla definizione del suono e forse alla riflessione sulla strada espressiva da imboccare, a partire da un lavoro come questo album, che Incani avrebbe poi prodotto, alla cui stesura avrebbe collaborato e che avrebbe pubblicato con la sua etichetta Tanca Records.

  

   

“Spira” è un lavoro il cui ascolto è un’autentica esperienza: i suoi ingredienti principali sono la magnetica voce di Daniela e le relative doti vocali, intrise di esoterismo, ritualità magica. Poi l’utilizzo di una lingua inventata, creata da lemmi galluresi, pezzi di parole, sillabe casuali, vocaboli inesistenti ma indispensabili alla messinscena. E poi una raffinatissima cornice elettronica dilatata, spruzzata d’interventi acustici, degna di una rappresentazione sacra e visionaria, che raggiunge l’acme nella memorabile suite “A te sola” che chiude il lavoro. Il testo di presentazione di “Spira” fa riferimento a Charles Fréger, il fotografo francese che utilizza l’antropologia come chiave artistica di penetrazione di segreti ancestrali, radicati nelle tradizioni e nell’orgoglio di popoli antichi: il collegamento ci pare azzeccato (facile invocare la prossimità di questi suoni con le parate dei Mamuthones, le maschere carnevalesche di Mamoiada a cui Fréger ha prestato in passato grande attenzione), contribuendo a introdurre l’ascoltatore alle intenzioni musicali di Daniela Pes, rispetto alla quale ci resta a questo punto una grande curiosità di capire quali saranno le direzioni verso cui si muoverà d’ora in poi. Ci attendiamo molto: arcate sonore e drammaturgie utopiche, soprattutto grande, rinfrancante respiro.

     
Intanto Jacopo Incani ha appena annunciato il suo nuovo album, un’opera monumentale che s’intitola “Qui Noi Cadiamo Verso il Fondo Gelido”, e ne parleremo prestissimo. Sarà l’occasione per fare una nuova sortita in questi territori, alla ricerca di quel senso che, stupidamente, temevano stesse andando perduto, e che invece è vivo e vegeto nelle menti di artisti che non hanno dubbi sul senso del proprio impegno. Non è di certo vietato a questo punto parlare di una ricerca artistica che formula e contiene in modo nuovo l’idea politica. Ci verrebbe da dire, più o meno, nella stessa misura che ebbe l’ardire di fare il primo Franco Battiato, mezzo secolo fa.

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