Come musica
Tutto cambia ma Jovanotti è sempre scosso dall'impeto di fare, dire, suonare
In preparazione il Jova Beach Party numero due. Ritratto del nuovo Jovanotti, quello della musica "in progress"
L’estate speciale di Jovanotti comincia in primavera. E somiglia a un suq come, in fondo, adesso sembra un suq lo stesso Lorenzo. Nel senso che è caotico, strabordante, parzialmente incomprensibile, eppure ci parla sempre, dice, racconta, progetta, espone, richiama. Mistero. Adesso il suo stato delle cose prevede la complicata preparazione del Jova Beach Party numero due, con tutte le ansie, i dubbi, le incertezze del caso, ma anche con la consapevolezza che la prima volta è stato memorabile e la seconda, per fattori contingenti delle cose del mondo, potrebbe esserlo ancora di più. E poi c’è il suo quotidiano, esistenziale artistico, vissuto nell’eremo da cui fugge e in cui ritorna, da dove osserva il mondo e si preoccupa sempre d’essere connesso, informato, partecipe, di sapere. E la barba che si allunga, i piedi scalzi, i vestiti arabi da casa, strumenti musicali strani e tanto Instagram – pure troppo.
C’è chi ha scritto che, scivolando giù per la china del tempo Jovanotti, sia diventato uncool, e il bello è che lo scriva con immutato affetto e questo è interessante, perché della nostra uncoolness tutti ci possiamo fare una ragione – dell’assenza di affetto molto meno. Poi, insolubile, onnipresente e sovrastante, c’è la questione musicale, perché Lorenzo è quello, ha faticato a suo tempo a essere ammesso al consesso dei grandi compositori italiani e adesso, in controtendenza a molti colleghi titolatissimi, non è per niente incline a sospendere la produzione del nuovo spigolando sui classici – in assenza della magica scintilla, della luce sulla collina – ma invece è scosso dall’impeto di fare, produrre, creare, pubblicare, condividere, esserci, suonare suonare suonare.
Bene: ognuno è fatto a modo suo e la convivenza delle differenze è il sale della terra. Però va da sé che questa condizione porti al seguito un fattore inevitabile, del quale Lorenzo sembra curarsi il giusto, ma che invece può risultare indigesto ai suoi cultori, che ne sono anche i più severi critici: l’imperfezione. Tutti i nostri campioni hanno alti e bassi nel loro repertorio, chi più che meno. Quelli accorti tra loro, però, col passare le tempo hanno mondato dai peccati il proprio serbatoio, hanno distillato il fior da fiore e ora volano sulle ali di quel rotondo arcobaleno. Lorenzo tira nella direzione opposta: ricopre strati di creatività con sempre nuovi strati, sforna ciambelle come il più stakanovista dei fornai e la qualità dei relativi buchi non è quasi mai la stessa, ma a lui si direbbe gliene importi poco, che non sia la graduatoria, lo status, a preoccuparlo, ma il non essere dimenticato, la percezione di esistere, di sentirsi artisticamente vivo. Tutto ciò per dire che adesso, dal momento che Jovanotti ce lo immaginiamo perduto in un flusso di solitarie speculazioni, anche pedalando sul suo cavallo d’acciaio, adesso si direbbe che abbia raggiunto una conclusione non banale: i tempi, per chi fa il suo mestiere, sono cambiati, moltissimo. La mercanzia da produrre ha cambiato forma, i negozi dove proporla non sono più gli stessi e le prerogative del pubblico dei potenziali consumatori si è modificato radicalmente.
Le cose cambiano, non facciamola lunga. Le stesse unità di misura del produttore musicale, i singoli, gli album, i concerti, le promozioni, devono essere concepiti secondo logiche connesse al presente. Si direbbe che Jovanotti ci abbia messo il suo tempo per decifrare lo scenario, ma che l’abbia fatto con sapienza, apertura e cervello. E che abbia reagito a modo suo, senza scientificità, con impazienza, entusiasmo e una certa approssimazione, all’insegna di quel “Va bene, capito, ma adesso andiamo!” che tanti tra coloro che appartengono alla sua congrega generazionale, comprenderanno senza ulteriori spiegazioni. Così, ad esempio, Jovanotti ha aderito a modo suo al canone commerciale del tempo nuovo che prevede che la chiave più efficace di partecipazione al mercato transiti per una presenza continua, costantemente rinnovata, polverizzata e parcellizzata, sospinta da accenti variabili, quelli che gli scienziati della comunicazione definiscono “nudges” – intuizione efficace, quanto innervosente. Lorenzo ha digerito la questione e tra un Morandi e un album da colorare, ne ha tirata fuori una divertente: “Il disco del Sole”, un album che non esiste, oppure che esisterà fisicamente, sì, ma solo alla fine, e che invece è una flusso che si genera un pezzo alla volta, aggiornandosi a capitoli come una serie-tv, che viene, va e ogni volta si sposta, a zig zag, perché reagisce a stimoli e provocazioni del momento.
Insomma la musica, secondo il Jovanotti di adesso, cinquantenne energetico e dubbioso, si fa in progress, ci si resta sempre sopra, la si plasma ogni mattina, va condivisa a piccole dosi, da somministrare regolarmente ai pazienti, l’importante è non interrompere la cura. A dicembre erano arrivati cinque pezzi – ricordate? “Il boom”, “La primavera” quelle cose lì – adesso, quattro mesi dopo, tocca a “Mediterraneo”, che è una via di mezzo tra un Ep e una facciata di un concept album, incentrato su un paio di temi che riempiono la testa di Lorenzo in questi giorni, la rinascita, la ripartenza, ma anche il bisogno di non smarrire l’intuizione, la sensazione di un karma degno della nostra umanità. I pezzi sono rispettabili, almeno la metà belli davvero, la percezione etnica suggerita dal titolo è ovunque, gli strumenti sono per lo più acustici e spesso antichi, l’ospite stimabile è Enzo Abitabile, che ci sta a pennello, e Rick Rubin continua a occuparsi di dare al tutto uno smalto scintillante. Viaggi ed echi gitani, danze ipnotiche e riflessi folk, il mondo della musica che rotola verso i confini e cerca il pop nella tradizione del sacro.
Le parole sono miscuglio generoso e vibrante, superficiale quanto basta, portato alla commozione, proiettato al futuro. Adesso poi si parte, il circo si muoverà, la sensazione di cogliere l’attimo diventerà ancora più forte, il tempo che scorre va rispettato, la festa avrà tinte diverse da prima, più chiaroscuri, più momenti di perplessa sospensione, forse momenti di vuoto. Intanto però Jovanotti avrà ricominciato a chiamarci dal palco vestito come un pirata per bambini, sospingendo i tamburi, salutando il raduno, ballando e cantando. Che facciamo? Restiamo a guardare, ci abbandoniamo ai pensieri, o andiamo? Per raccapezzarci dobbiamo solo tenere lo sguardo fisso su certi punti, ancora ben visibili.
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