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Il foglio del weekend

C'è anche un altro Sanremo

Michele Masneri

Altro che Amadeus. Accanto al classico Festival, a Sanremo va in scena pure quello alternativo. Siamo stati alla prima edizione del “Christian Music Festival”, tra frati, sacerdoti e trapper. E la diretta su Tele Padre Pio

Sanremo. Sarà che non è un vero festival senza polemiche, sarà che nell’immobilità sanremese dove tutto è sempre identico a se stesso (i mazzi di fiori, la statua di Mike Bongiorno, le barche dei russi attraccate al porto) non sembra vero che ci sia una novità. Quella di quest’anno è senz’altro il “Christian Music Festival Sanremo 2022”, da pronunciarsi rigorosamente “ventiventidue”, all’americana, come fa pure Amadeus dal festival ufficiale. Ma questo è un festival gemello, un festival diverso. La pubblicità è disseminata su manifesti in ogni angolo della città. Si terrà al centro don Orione, da giovedì a sabato, informano. E’ un controfestival, insomma, una provocazione, una controprogrammazione, patrocinata addirittura dal comune di Sanremo ma anche dal vescovo di Sanremo-Ventimiglia, quel monsignor Antonio Suetta che ha alzato veementi proteste contro il finto battesimo sanremese d’Achille Lauro  (il cantante, per chi non sapesse, s’è cosparso il capo d’acqua santa): “Penosa esibizione, un raglio d’asino che non sale al cielo. Il servizio pubblico non dovrebbe permettere questo”, disse il porporato. Insomma, scisma sanremese. E sarà una coincidenza, ma questo festival levebriano arriva proprio dopo il rito di Lauro, che alla fine c’è riuscito, a épater. Poraccio, ci ha provato tanto, e la scandalosità è merce ad altissima deperibilità, e ciò che era épatant l’anno scorso oggi è roba da educande. Così il povero Lauro che ci tiene in ogni occasione a sottolineare quanto è trasgressivo, divisivo, ribelle, è stato palesemente scavalcato a sinistra dai Måneskin, che sono romani come lui, trasgressivi come lui, ma internazionali molto di più.

Sui travestimenti e le nudità, poi, non parliamone. Quest’anno Orietta Berti pare Bjork, Blanco sfoggia la schiena vedo-non-vedo, e il capetto più cool semmai il guanto (vedi Rkomi, detto gi à in sala stampa “Rcovid”), di cui Lauro è sprovvisto. Insomma, un disastro, con la canzone pure raccogliticcia. Per fortuna, ecco lo scandalo, il finto battesimo, lanciato la prima sera, col coro gospel che inneggiava “alleluia”. Poi, siccome siamo trasgressivi ma pur sempre teniamo famiglia, ecco invocare la mamma. “Oggi 61 anni fa nasceva mia madre. Ancora oggi guardo questa donna nello stesso modo. Le madri sono esseri divini, ci danno la vita ogni giorno. Oggi, in un nuovo inizio, vi omaggio del mio battesimo. Che Dio ci protegga. Alleluia”. Vabbè, per fortuna qualcuno ha abboccato. Il vescovo di Sanremo-Ventimiglia subito ha risposto via agenzie: “raglio d’asino che non sale al cielo”, appunto. “Triste apertura di Festival”;  “brutta piega”; hanno “collocato il battesimo in un ambiente di parole, di atteggiamento e di gesti, non soltanto offensivi per la religione, ma prima ancora per la dignità dell’uomo”. “non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avvallare ed organizzare simili esibizioni”. 

 

Il mondo cattolico è diviso. Il cardinal Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che per inciso tifa per Massimo Ranieri, in gara con “Lettera di là dal mare”, si è lanciato in un catechismo-thread su Twitter: “II Battesimo è il più bello e magnifico dei doni di Dio. Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d’immortalità, lavacro di rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai colpevoli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell’acqua; unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengono unti); illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, perché copre la nostra vergogna lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio”. Poi ancora è arrivato l’Osservatore romano con tocco di classe “Volendo essere a tutti i costi trasgressivo, il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Niente di nuovo”, sentenzia il direttore. “Non c’è stato nella storia un messaggio più trasgressivo di quello del Vangelo. Da questo punto di vista difficilmente dimenticheremo la recita del Padre Nostro, in ginocchio, di un grande artista rock come David Bowie. Non ci sono più i trasgressori di una volta”. 

 

Insomma, la severa condanna del vescovo di Sanremo pareva un punto fermo, finalmente, in quest’epoca di relativismo, ma niente. Vale la pena allora andare a vedere questo Christian Festival per capire il mondo cattolico come si pone.

Allora ecco che cerco questo santuario don Orione, e mi incammino. La distanza è breve, 350 metri, e subito mi imbatto in quella drammatica non verosimiglianza del Google maps a Sanremo, perché sono 350 metri, sì, ma di carruggi che salgono inerpicandosi sul monte. Salgo rantolando con una pendenza del 2000 per cento, fermandomi prima dell’arresto cardiocircolatorio ad ammirare il panorama. Nel golfo si staglia la sagoma enorme della Costa Toscana, la nave da crociera da dove trasmettono interi pezzi del festival, con Orietta Berti segregata a bordo, in una strana opera di sponsorizzazione. Salgo ancora, infilo un vialetto, finalmente eccola, l’opera don Orione, un bel palazzo giallino che domina la baia. Non c’è molta gente, nessun movimento, però. Sarà un flop il Christian Festival? Entro, la receptionist gentile: “E’ qui per un parente?”. Non capisco, dico no, sarei qui per il festival cristiano. “Ah!” ma guardi che quello è all’auditorium! Sta giù in città. Questa è la RSA. Improvvisamente mi accorgo infatti degli anziani che girano silenti. Mi rimetto dunque in marcia, riscendo dai carruggi, faccio il viale principale, corso Cavallotti, e finalmente ansimante ecco un piccolo santuario, qui escono note rock, sono di sicuro arrivato. “Deve entrare dal giardino”, mi dicono. Il giardino è pieno di gente indaffarata di tutte le età. C’è un gazebo con un maxischermo che rimanda lo spettacolo che si tiene all’interno. Un tappeto verde accoglie gli ospiti. Sopra, ci sono delle sculture di ferro battuto, opera dell’artista savonese Diego Santamaria. C’è un Ape Car con lo stemma del Christian Festival. Il claim del festival è “chi canta, prega due volte”, citazione di Sant’Agostino. Ci sono vari personaggi tutti indaffarati che si aggirano con pass al collo, è proprio come il vero Sanremo. Stessa tensione, eccitazione, solo volti completamente sconosciuti. Seduto c’è un prete belloccio circondato da ammiratrici, non so se è un cantante o no. Una signora in abito bianco un po’ da raduno country americano. Anziani col carrellino, pure una famiglia afrodiscendente! Il Christian Festival è più inclusivo del blasfemo festival normale

 

Chiedo a un giovane frate francescano: lei canta? “No, sono qui per padre Pio Tv”. Si chiama padre Italo Santagostino (perfetto!), viene da San Giovanni Rotondo, mi spiega che loro sono media partner e trasmettono il segnale del Christian festival su tutto il territorio nazionale insieme ad altre emittenti. Cerco disperatamente la polemica. E’ un controfestival, insomma, questo? “No, assolutamente”. Mi confida poi che lui ama Sanremo, e tifa Elisa, la Rappresentante di lista, Michele Bravi, “che ha quell’aura di sofferenza molto Mia Martini”. Poi gli sono piaciuti anche Mahmood e Blanco. Scandalosi? Macché. “Di solito Blanco è più aggressivo come stile”, riflette,  “questa volta è stato molto più romantico”. E poi, confessa, ha un debole per Massimo Ranieri “sa, sono all’antica”. Poi torna in sala-regia. Cerco allora di acchiappare il responsabile, l’organizzatore della manifestazione. Eccolo sul palco della piccola saletta, gremita di spettatori. Riconosco la faccia che ho visto su tutti i manifesti in giro per la città, è Fabrizio Venturi, cantautore, cinquantenne, già vincitore, informa il suo sito, del festival “La conchiglia d’oro” di Gabicce mare. Ha una giacca di lamé, ha i capelli più corti di quelli che ha in foto sul suo sito, sta presentando al Christian Music Festival “venti-ventidue” un trapper che si chiama “Shoek”, pronuncia “choc”, tutto rasato e tatuato sul collo e sulle mani, cappellino proprio come un trapper normale, però evidentemente cristiano. “Shoek, scioccaci!”, lo incita, accompagnato dalla co-conduttrice Valentina Spampinato. Shoek, riminese, cresciuto a San Patrignano, si definisce gospel-rapper. Presenta il brano “Nuova razza”. Oddio, sarà una roba da Casapound. Suprematismo. Shoek intanto sa come infiammare la platea: “ho-bisogno-che-tirate-su-le-mani”, partono i bassi e la saletta canonica comincia a ballare sulle note di  “Nuova razza”. Ma niente strofe suprematiste, mannaggia. “Non mi perdo mai il cammino/la verità. Cammini senza Dio / Vivi a metà! /  Nato per servire Dio / che mi bucavo che manco padre Pio / E’ bastato un brillio che mi è cambiata anche la bio”. Applausi fragorosi.  “Sono senza parole”, dice Venturi estasiato. “E’ chiaro che questi nostri artisti non hanno niente da invidiare a quelli dell’altro festival”, dice Venturi. Alcuni sono passati anche dal festival profano, come “Loide”, cantante di Reggio Emilia che aveva partecipato a Sanremo giovani. E’ rappresentata dalla “Hopeful music”, etichetta specializzata in “Christian music”, che organizza anche corsi di musica cristiana, produce abbigliamento col claim “indossa i tuoi valori”, e produce anche “J-Factor”, il primo talent musicale specializzato, “alternativa al fattore X”. Insomma, è un mondo, questo della musica cristiana, e si capisce che qui tra i tanti col pass al collo ci sono produttori, agenti, scout, in un brulicare che non ha niente di meno dell’Ariston

 

Fabrizio Venturi rende noto che il Festival sarà destinatario di un Premio Speciale da parte del circuito della Rete dei Festival, che raduna circa 100 festival e contest di tutta Italia. Il Premio Speciale permetterà al vincitore di potersi esibire al prossimo Mei – Meeting  delle Etichette indipendenti, che si terrà a Faenza,  dal 30 settembre al 2 ottobre. Provo a parlargli, a Venturi, ma si scosta, corre, “non posso”,  deve subito presentare un altro cantante. La lineup è fittissima. Il genovese Alex Cadili col brano “Per te Gesù”, poi Antonio Labate –  “Gli angeli”,   Beppe Bianco – “Nel tuo sorriso la speranza”, Carmela Iacono – “Preghiera dei vincenziani”; Cantammo a Gesù – “Tu sei l’eternità”;  Dino Santonico – “Amami come solo sai far tu”; Fra Vinicius – “Vale la pena”; Elisa De Marco –  “Libera di andare”; Marta Falcone – “Ho sentito parlare di te” ; Dajana e Erminio Sinni – “Padre nostro”, e tanti altri. Ieri avrebbe dovuto essere presente anche Vittorio Sgarbi, che doveva esporre una lezione critica sulla canzone cristiana, ma poi non è potuto venire. Ecco che Venturi annuncia “direttamente da Caltanissetta, fra Vinicius!”, e sale su il frate belloccio che avevo visto circondato dalle fans. Scopro da Internet che Vinicius, come il nome del suo illustre connazionale, è “26enne, ed è originario del Brasile, dal 2018 stato ‘adottato’ dalla comunità di Sant’Agata di Caltanissetta. Nato ‘dall’altra parte del mondo’ da una famiglia cristiana cattolica praticante, Vinicius ha iniziato fin da piccolo ad appassionarsi alla musica e alla parola del Signore”. Parte “Ne vale la pena”. Una voce un po’ acerba ma elegante, sembra un po’ il Luis Miguel degli inizi. Niente sonorità bossa nova ma arrangiamenti classici. “Una vita che valga la pena / Una storia che valga la pena / in un mondo pieno di stoltezza / seguire Dio è l’unica certezza…”. Fra Vinicius tira su più applausi pure di Shoek. 


Strategicamente, il Christian festival è una matinée, comincia alle due e mezza di pomeriggio e finisce prima di cena, in un’ideale staffetta col suo gemello più illustre. Rispetto al festival profano, poi, non chiedono i tamponi, non ci sono i micidiali controlli, e c’è perfino un buffet, sotto, nella canonica

Ma sopra, in consolle-regia c’è un prete in clergyman, lo fermo, insomma, cosa ne pensa del sacrilego festival all’Ariston, cerco di provocarlo. “Ma per carità. Io son toscano. Quando andavo alle assemblee del Pci sentivo una bestemmia ogni due parole”, dice don Gianni Paioletti, una vita da missionario, “Burkina Faso, Brasile, Madagascar, Togo”… E Mahmood? “A suo modo lui esprime quello che sente dentro, io sono stato missionario in Africa, in mezzo a tutte le fedi. Togo, Burkina Faso, Madagascar. Ad Abidjan avevo un amico imam…”. No, padre, ma Mahmood non è che professi l’Islam. “Ah”, riflette. “Lei si riferisce al falso battesimo, a quell’Achille Lauro... ah, sì”. Scandalo dunque? “Mah, io non mi permetterei mai di fare un testo che ferisce i miei fratelli musulmani”. Ma non è musulmano Achille Lauro. “No, no, lo so, ma se io sono cristiano, non offenderei un musulmano. Ecco, insomma, io non giudico, ma non mi permetterei di offendere”. Ma li capisco, loro non hanno avuto l’esperienza di Gesù, evidentemente”. E le polemiche per Zalone? “Ma le polemiche son fatte apposta, servono, per attirare l’attenzione. Avere un cuore buono vuol dire avere un cuore tollerante!”, dice,  “ma adesso devo andare a dire messa. Niente, impossibile scuotere questi religiosi.

Lei da quanto è qui? “Un anno e mezzo”. Dopo le missioni africane, è arrivato per evangelizzare Sanremo? “No, macché, è per motivi di salute, io tornerei tanto volentieri in Africa”. Adesso deve proprio andare, c’è la messa. Sul palco sale Letizia Centorbi direttamente da Canicattì, presenta “Tu sei tutto per me”, applausi. Insomma il Christian Festival è un po’ il Concilio Vaticano II della musica, sono tutti dialoganti e interrazziali, chi si aspettava veti e scomuniche e parole d’odio rimane molto deluso. Me ne vado un po’ deluso ma riconciliato anch’io, e soprattutto distrutto dalla scarpinata fatta per salire fino alla Rsa, forse metafora biblica. Il Christian festival ricomincia oggi per la serata, anzi, il pomeriggio, finale, e stasera sarà proclamato il vincitore. Intanto la sera, come una bomba, esplode la notizia che papa Francesco andrà da Fabio Fazio. Non si sa se vi sia una relazione col gesto d’Achille Lauro.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).