Quegli spasmi involontari e consapevoli slanci che erano entrati nelle nostre vite

Massimo Bernardini

Ezio Bosso, 48 anni, dagli “Statuto” alla grande musica colta

Ezio Bosso se ne è andato a 48 anni, ieri notte, nella sua casa di Bologna. Colpa del cancro con cui conviveva da anni, della malattia neurodegenerativa che prima l’aveva costretto in carrozzella e da settembre allontanato in pubblico anche dal suo pianoforte “speciale”, con la tastiera “pesata” sulla sua fragilità. Ma forse è stata soprattutto questa maledetta “galera” da coronavirus ad impedirgli l’unica terapia che da anni lo teneva in vita: fare musica per tutti. Da almeno un decennio il suo viso progressivamente segnato da spasmi involontari e consapevoli slanci, la sua chioma ventosa, la sua faccia di uomo bello e irregolare, sono entrati nel nostro immaginario grazie anche alla tv. Se Carlo Conti lo volle nel 2016 a Sanremo, è stato l’attuale direttore di Raiuno Stefano Coletta (musicista in segreto) a comprenderne il potenziale comunicativo affidandogli due prime serate su Raitre: l’ultima, del 2019, col titolo di “Che Storia è la Musica”. Serate di cosiddetta “divulgazione” musicale, ma serate soprattutto a misura di Bosso e della sua smisurata passione.

 

 

Musicista dai 4 anni d’età, fagottista all’inizio e poi contrabbassista, diceva di sé con bella sicurezza: “La musica mi ha scelto perché ne avevo più bisogno degli altri”. Torinese di Borgo San Donato, babbo bigliettaio sui tram e mamma alla Fiat, gente di radice “partigiana”, diceva, che credevano nell’emancipazione attraverso la cultura fino a “indebitarsi per i libri”. L’incontro decisivo è quello con Ludwig Streicher, contrabbassista dei Wiener Philharmoniker, che lo indirizza all’Accademia di Vienna dove Bosso studia contrabbasso, composizione e direzione d’orchestra. E come contrabassista suonerà poi in importanti formazioni, tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado, con cui nascerà una bella amicizia. Pianista compositore un po’ alla moda, poche strutture armoniche e molto allineamento al quel “sentiment” contemporaneo che va da Einaudi ad Allevi, è il suo catalogo di compositore colto a impressionare di più: cinque sinfonie, tre concerti per violino, un triplo concerto, molte composizioni per archi, per fiati, sonate per violino e violoncello con pianoforte, per strane formazioni col contrabbasso, trii dei più insoliti, ben sedici composizioni per quartetto d’archi, infinite invenzioni per i più diversi strumenti solisti, per non parlare della cospicua musica vocale, opere comprese, e dei quindici balletti commissionatigli un po’ da tutto il mondo. Poi musiche per il teatro, per il cinema, Salvatores in testa: l’ultima colonna sonora quella per “Il ragazzo invisibile”.

Un musicista vero, infaticabile, sempre al lavoro, con una sua orchestra, la Stradivari Festival Chamber Orchestra, poi ribattezzata Europe Philharmonic, e impegni praticamente con tutti i teatri italiani ed europei.

 

Il suo calvario inizia nel 2011, prima a causa di una grave neoplasia, poi con la malattia neurodegenerativa che in breve lo porterà sulla sedia a rotelle e poco alla volta lo obbligherà a far musica solo a prezzo di enormi difficoltà. Eppure con un’energia che metteva in scena con sempre più intensa… innaturalezza: un po’ come quel genio di Michel Petrucciani, che ha spezzato tutto il suo corpo pur di continuare a vivere affamato di musica e di vita. Con la musica tutto diventa dritto anche se sei “storto”: ma a prezzo di quale dolore davvero possiamo solo immaginarlo. In queste ore ho scoperto che da giovanissimo fu cantante degli Statuto, e per circa un anno e mezzo suonò con questo gruppo torinese con il nome molto “indi” di Xico, fin quando ne fu cacciato, diceva scherzando, “perché producevo troppe note”. Il gruppo, su Facebook, ha pubblicato una foto in cui un Bosso giovanissimo in stile “mod” indossa Ray-Ban e giacchetta come gli altri: “Oggi perdiamo un amico, un fratello, un pezzo di noi”, hanno scritto.

  

   

Ezio Bosso è stato una bella anomalia, in quest’Italia in cui la musica popolare e colta si tengono sempre a debita distanza. Ha saltato consapevolmente e furbescamente gli steccati, ha seguito le mode e ha seguito semplicemente il suo cuore, anzi il suo corpo. Quel corpo irregolare che gli è arrivato addosso a sorpresa e che ha saputo trasfigurare e mettere in scena con semplicità e sapienza. Viveva per la musica, nel senso letterale e causale del termine. Chissà se questo paese la ama davvero.

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