Fred Bongusto durante un concerto negli anni 80 (foto LaPresse)

Addio a Bongusto, la calda voce di un'Italia che sapeva sudare di passione

Camillo Langone

La canzone dell’innamoramento e la centralità del night

Fred Bongusto era la dimostrazione di quanto La Rochefoucauld abbia ragione: “Ci sono persone che non si sarebbero mai innamorate se non avessero mai sentito parlare dell’amore”. Io non sarei caduto nella romanticheria del “nostro disco”, la canzone-colonna sonora dell’innamoramento, se non avessi ascoltato “Una rotonda sul mare”. E nemmeno mi sarei commosso passando davanti alla rotonda di Senigallia (in seguito scoprii che il paroliere Migliacci si era ispirato a una rotonda sul lago, quella di Passignano sul Trasimeno, ma poco importa: la rotonda ormai è un archetipo, senza tempo e senza luogo). Fred Bongusto era la dimostrazione che una canzone popolare, senza la minima velleità culturale, può benissimo evocare Botticelli: “Brillanti sparsi sulla pelle bionda / tu esci come Venere da un’onda”. Questo è l’inizio di “Tre settimane da raccontare”, successo del 1973 che contiene il più completo lessico bongustiano: la vacanza (“tre settimane da raccontare / agli amici tornando dal mare”), l’attrazione (“sei bella che fai quasi rabbia”), la giovinezza (“ascolti e ridi coi tuoi occhi freschi”), la spiaggia (“ti butti sulla sabbia”), la solita musica galeotta (“la nostra canzone”) e infine la dolcezza (“asciugati che prendi un raffreddore”) che rappresenta, scusatemi l’ardire, la trasformazione dell’eros in agape così come magistralmente descritta da Papa Benedetto XVI nella “Deus caritas est” (“Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, nell’avvicinarsi poi all’altro cercherà sempre di più la felicità dell’altro”).

 

Fred Bongusto era il più grande molisano vivente. E adesso? A chi potrà appigliarsi la piccola e misconosciuta regione? Io avanzo la candidatura di Nicola Gardini che però non canta, è un letterato, e i letterati oggi li conoscono soltanto i letterati, e poi se ne sta a Oxford. Mica come Alfredo Buongusto (così, con la U, all’anagrafe di Campobasso) che era rimasto in zona sia dal punto di vista geografico (abitando a lungo a Ischia) sia da quello linguistico (cantando spesso in napoletano e poi in siciliano e una volta perfino in molisano stretto). Corregionali a parte, nessuno percepiva Bongusto come molisano, ma certamente chiunque lo percepiva come meridionale: nerissimi i suoi capelli, meridiano il suo eros, sudista il suo garbo, mediterraneo il suo mare.

 

Fred Bongusto non era Franco Califano e nemmeno Peppino Di Capri, con i quali pure ha collaborato: non aveva lo sguardo pericoloso, quasi criminale, del romano ma nemmeno quello innocuo, semplicemente amichevole, del caprese. Nel vecchio mondo del night rappresentava la centralità: se da una parte era evidente che alla cocaina preferisse il whisky, dall’altra era chiaro che la sua voce di velluto non potesse essere senza conseguenze.

 

Fred Bongusto era un uomo vero, in una canzone del ’72 racconta l’avventura con una straniera, forse americana: “Al tuo paese tu dirigi non so che / ma qui con me tu sei donna / e sei mia”. Ah, la virilità dei cantanti antichi! A un certo punto della carriera Bongusto arrivò a sfiorare il Battisti di “Donna tu sei mia” e, tenetevi forte, Serge Gainsbourg. Ora tutti parlano del cantante balneare ma esiste un lato dark, alcuni pezzi settantiani che ascoltati oggi mettono i brividi. Sotto il velo del testo in siciliano, “Malizia” (1973), oltre che uno dei suoi brani musicalmente migliori è uno dei più spinti (non a caso, la musa si chiamava Laura Antonelli). “La mia estate con te” (1976) risulta gainsbourghiana nel parlato e negli archi. “Carissimo maestro di Padova” (1978) non è lontanissima dall’efebofila “Histoire de Melody Nelson”: “Ma che rabbia mi fai / con quei sedici anni tuoi / che mi butti in faccia tu”. Sedici anni.

 

Fred Bongusto era la calda voce di un’Italia che sapeva sudare di passione, e che di notte non messaggiava, faceva: lui dopo i concerti giocava a tennis fino al mattino (a Trani lo ricordano sul campo del circolo Sporting) e nei concerti cantava “E’ finito l’acquazzone, andiamo via / facciamo l’alba io e te nel letto mio”.

  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).