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il foglio della moda

Ragioni per osservare la presa di potere dei buyer sul lusso

Paola Bulbarelli

Dopo anni di predominio del monomarca, le boutique multimarca tornano al centro della scena nella moda italiana, rispondendo al desiderio delle nuove generazioni di esperienze d’acquisto esclusive e servizi personalizzati

È meraviglioso che nell’ultimo anno tutti i grandi imprenditori della moda italiana si siano detti a favore del negozio multimarca, quando per due decenni buoni hanno perseguito la strategia opposta, cioè il monomarca e dunque il controllo diretto della distribuzione, oltre che dei tempi e dei modi dell’eventuale scontistica. Questa scelta ha segnato anche il progressivo tramonto dei department store, in particolare di quelli nord-americani che, per decenni, hanno stabilito in autonomia queste stesse strategie e con pochissime eccezioni, vedi La Rinascente. Dopo la pandemia e con il progressivo affievolirsi della passione per gli acquisti online (ormai nel lusso è rimasta solo una piattaforma di successo, Mytheresa, dove è appena stato nominato come ceo Francis Belin, mentre Michael Kliger ha assunto le deleghe sulla controllante LuxExperience, che guida anche Net-à-Porter e Yoox, mentre pare che non si trovino acquirenti per l’italiana Luisaviaroma), il multimarca con tutti i suoi servizi dedicati, dalla selezione dei brand alla cura del cliente alla presa in carico di molti costi che le piccole imprese non sono in grado di sostenere, sono tornati al centro dell’attenzione. Ne è prova la progressiva affermazione nelle stanze che contano di Maura Basili, presidente di Camera Buyer (fino a oggi, nemmeno i “bouticcari” che fatturano 30 milioni di euro all’anno si erano mai seduti a un qualunque Tavolo della Moda a Via Veneto accanto a Confindustria e a Camera della Moda, ci è riuscita lei), ma anche l’affollamento di grandi nomi del lusso alla serata romana per i venticinque anni dell’associazione, qualche settimana fa.

 

Fino al 2019, a Camera Buyer non sarebbe stato possibile ospitare decine di imprenditori come Alfonso Dolce e Brunello Cucinelli. Figurarsi ottenere dichiarazioni tipo "il multimarca è il vero guardiano del marchio”, che è quanto ha detto appunto Cucinelli durante il convegno che ha preceduto le celebrazioni, evocando anche la visione di Barney Pressman, fondatore di Barneys, negli anni Ottanta aprì le porte degli Stati Uniti alla sua azienda. “I buyer capiscono se un brand può avere successo, spesso anche prima che lo sappiano i brand stessi”, ha aggiunto, sottolineando di “nutrire molta fiducia in loro, purché prestino attenzione alla coerenza tra la presenza fisica e quella online". Dolce, ceo di Dolce&Gabbana, ha parlato del multimarca addirittura come di un luogo dove “commercio etico e intelligenza emozionale” si incontrano, mentre l’amministratore delegato di Kiton, Antonio de Matteis, ha ribadito l’importanza di “difendere la qualità del servizio e delle relazioni”, cioè i valori strategici che in questi anni di disaffezione nei riguardi del lusso sono diventati determinanti. Il recupero di stima nei riguardi delle boutique da parte dei brand arriva un po’ in extremis:  a oggi, dicembre 2025, il numero esatto di negozi di moda chiusi in Italia non è ancora definito, ma i dati indicano un'accelerazione con una media di diciotto negozi al giorno.

 

Questo numero, allarmante anche e in molti casi si trattava di boutique non specializzate, non di rado di franchising, altro fenomeno in declino nella moda, si somma a una tendenza di lungo periodo di chiusure, con 140mila negozi che hanno abbassato le serrande in via definitiva negli ultimi dodici anni. Eppure, e nonostante la progressiva diminuzione, le boutique multimarca rappresentano un’unicità italiana da preservare: nessun altro Paese al mondo può vantare una rete così capillare di negozi multimarca, distribuiti tra metropoli e piccoli centri. Spesso, si tratta di attività storiche, vere e proprie "officine" di ricerca e sperimentazione, dove la scoperta di nuovi brand si mescola a un’esperienza di acquisto intima e personale. Nel panorama in continua evoluzione del lusso, le preferenze di acquisto cambiano a seconda delle categorie di prodotto e, non meno importante, delle generazioni. “Il cliente, oggi, cerca esperienze, emozioni e significato”, afferma Maura Basili, presidente di Camera Buyer. "Per questo è necessario un nuovo spirito di squadra, inclusivo, visionario, capace di unire competenze e sensibilità diverse. È il momento di superare l’individualismo che troppo spesso ha frammentato il nostro settore”.

 

Se un tempo l’abbigliamento era il pilastro indiscusso del lusso, oggi si assiste a un fenomeno in cui accessori, scarpe e borse stanno guadagnando sempre più terreno, soprattutto tra i consumatori più giovani. La Consumer Survey 2025 di PwC Trends in Luxury Fashion offre uno spunto interessante per capire cosa e come acquistino gli italiani e le italiane, con un focus particolare sulle abitudini di acquisto per fascia d’età: il 71 per cento degli intervistati ha acquistato infatti articoli di lusso in boutique multimarca italiane, sia fisiche sia online. E questo è avvenuto principalmente per l’esclusività della selezione di prodotti, difficile da trovare altrove. I multimarca sono anche preferiti rispetto ai monomarca per la qualità del servizio e l’assistenza post-vendita. Ma la clientela non è un blocco uniforme: ogni fascia di età ha esigenze specifiche che i negozi devono riconoscere e soddisfare. Un dato sorprendente riguarda le generazioni più giovani, in particolare i Millennials (30-45 anni) e la Gen Z (28-23 anni), che risultano essere i maggiori appassionati di shopping multimarca. Queste generazioni, più attente al prezzo e sempre più orientate verso il mercato dell’usato e del noleggio, sono anche quelle che preferiscono i canali digitali per informarsi e comunicare.