Ansa
il foglio della moda
Lezioni di business da Adele Fendi
Abbiamo letto e commentato il libro biografico per aneddoti ed episodi che Maria Teresa Venturini Fendi ha dedicato alla nonna, nel centenario della fondazione della maison: volendo applicare oggi le sue strategie, si otterrebbe un risultato simile al suo
Fra poche settimane, la Carla Fendi Foundation che la nipote Maria Teresa Venturini Fendi presiede e guida dalla scomparsa della zia, nel 2017, si trasferirà nel suo grande appartamento a Palazzo Ruspoli, rimasto vuoto e intoccato con le pareti bianchissime (“snow white” le definì molti anni fa il mensile “AD” che lo fotografava per la prima volta, il particolare mi è rimasto impresso per la lirica gratitudine che sottintendeva). Per una di quelle energie centripete e di memorie dei luoghi che molto rivelano anche della famiglia di cui Maria Teresa fa parte e che descrive nel suo libro dedicato alla memoria della nonna, “Adele F.”, citazione del celebre film del 1975 di François Truffaut sulla vita travagliata della quinta figlia di Victor Hugo, entro qualche mese tornerà in zona anche l’atelier della maison, che è un ritorno alle origini, cioè lungo la via del Corso dove Adele Casagrande aprì il primo negozio, nel 1920, accanto all’hotel Plaza, già Albergo Splendido, e alla quale la nipote Maria Teresa dedica questo memoir di impianto narrativo inatteso e accattivante: una serie di ricordi in apparenza singoli che però vanno a tracciare, un capitolo dopo l’altro, un quadro completissimo dal quale tutte le figure e i personaggi, che pure chiunque si occupi di moda crede di conoscere, emergono stagliandosi con una forza nuova anche e soprattutto nei difetti. Dettagli che mai avrebbe potuto conoscere un ghostwriter, quelli che all’epoca di Alexandre Dumas che Maria Teresa, di cultura letteraria francofona, ammira quanto Victor Hugo, Vigny e Alfred de Musset, si chiamavano “nègres” e che sono all’origine dell’attuale messe di biografie sulle grandi figure del settore.
Nessuno avrebbe potuto raccogliere e rendere con la stessa vividezza ricordi che in realtà sono comuni con quelli di tutte le bambine della buona borghesia fra i Sessanta e i Settanta - le recite in casa a Natale, le mascherate, le visite dalla sarta, la nonna da accompagnare alle terme ogni estate e i lunghi pomeriggi estivi trascorsi a giocare da soli nei viali dell’albergo - ma che letti oggi, nel 2025, si trasformano in un amarcord tenero e inaspettato. “Raccoglievo e annotavo episodi da anni, per me”, dice. “Nel 2025, ricorreva il centenario della nascita di casa Fendi: mi sono detta, ora o mai più. Ho fatto molta ricerca, perché una cosa sono il lessico e la narrativa famigliare, un’altra un documento ufficiale come un libro. Ho cercato di non edulcorare niente”. Il racconto apre con l’episodio sull’adolescenza di Adele Casagrande che, rimasta chiusa fuori di casa, si cala dal lucernario mentre il portiere di sotto strilla terrorizzato (“dice mia madre che poi le venne la febbre per lo spavento, ma lì per lì non ci pensò”); prosegue con le prime esperienze di lavoro a Firenze, nella bottega di uno zio che proviene dalla “valle degli ombrellai” di Gignese, sulle alture di Stresa, quindi si concentra sul rapporto difficile con un fratello, giocatore accanito, con i primi successi e le prime astuzie commerciali, soffermandosi sul medico ebreo nascosto in casa nel 1943, gli ordini perentori impartiti alle figlie, delle quali Adele aveva intuito e sviluppato le capacità individuali, esortandole però a non separarsi mai, lungo quella metafora delle dita della mano alla quale Karl Lagerfeld aveva dedicato uno dei suoi celeberrimi disegni, “tracciati in pochi minuti, con un senso delle proporzioni perfetto, e discorrendo nel frattempo di viaggi, libri da leggere, film da vedere”. E c’è, appunto, molto anche di lei, Maria Teresa, figlia di Anna e sorella di Silvia, attuale presidente onorario della maison, che un giorno, ragazzina, trovandosi nei paraggi dello studio della nonna in hot pants, per non doverla incrociare e subirne le ire si chiude in bagno per ore e che, ancora giovanissima, sceglie di entrare in collegio a Losanna, dando finalmente un obiettivo e un indirizzo preciso all’energia che le ribolle dentro.
L’amore di Maria Teresa per l’arte (“specialmente quella moderna, che amo più della contemporanea”) e per la scienza “che credo sia una disciplina umanista, di cui mi affascina proprio il lato artistico, la scintilla che innesca grandi scoperte”), nascono in quegli anni, e l’hanno portata a interpretare entrambi questi universi culturali nei progetti che, ogni estate, affiancano e sostengono la programmazione del Festival dei Due Mondi di Spoleto: “In realtà” dice, “mi sono sempre interessata all’arte, all’ideazione di progetti culturali anche durante il mio percorso in azienda, prima al fianco di zia Carla e poi nell’ambito della linea moda giovane Fendissime. Ho anche lavorato come costumista per il cinema, il teatro e l’opera”. Fin da piccola, ha modo di seguire le produzioni di Luchino Visconti e Piero Tosi, incluso il “Gruppo di famiglia in un interno” alle quali sua madre e le zie dedicano notti intere, ma il suo è un approccio innovativo, sperimentale al costume almeno quanto quello del grande maestro è filologico. Uno di questi spettacoli, tratto dalla commedia buffa “le devin du village” di Jean Jacques Rousseau, è però così riuscito che Dino Trappetti, successore di Umberto Tirelli, la convoca per chiederle se voglia diventare costumista, intenzionato a proporle delle produzioni. Ma il richiamo della moda è più forte, e l’apertura di Fendi ai mercati internazionali, che data proprio a quegli anni, diventa determinante nella scelta definitiva: quando Maria Teresa racconta del grande armadio climatizzato che John Lennon e Yoko Ono si fanno costruire al Dakota building per conservarvi le “decine di pellicce multicolori”, si viene pervasi da quel genere di soddisfazione che solo le debolezze dei migliori suscitano. Dice Maria Teresa Venturini Fendi che trarre dalla vita di Adele Fendi episodi utili come sprone e monito, parola della settimana, per chi fa moda oggi, è molto difficile.
Ci abbiamo provato noi, scorrendo il libro pubblicato da Salani. L’estetica prima di tutto “Tutto deve essere al massimo livello”, sosteneva. Era ossessionata dalla più straordinaria qualità e superiorità estetica. Nel senso che, se doveva recarsi a messa, si poteva essere certi che avrebbe scelto la chiesa più bella”. Il desiderio è emulazione (nel suo primo negozio in via del Corso) “Adele, prima di andar via, con le sue mani confeziona eleganti, grandi scatole avvolte da nastri, in partenza verso indirizzi altisonanti: Grand Hotel, Hotel de Russie, Hotel Excelsior. Le appoggia una sull’altra, a forma di torre, sul bancone di rovere. Il giorno dopo i clienti vi sosteranno davanti, osservandole incuriositi. Lei sola sa che le scatole sono vuote e i biglietti intonsi”. Bisogna saper delegare “Adele possedeva la capacità rara – perché inaspettata in chi, da sempre, è abituato a prendere decisioni in prima persona – di saper delegare alle giovani figlie. Dogmatica, sentenziava: “Uno sbaglio si può fare, due no”. Messe alla prova, riponeva una grande fiducia in loro, lasciandole rischiare e compiere azzardi in momenti economici ancora non floridissimi. Adele firmò nel giro di due minuti per l’acquisto dello spazio di una boutique in via Borgognona al quale seguì quello del dismesso Teatro Bernini da riadattare in atelier, nella stessa, allora solitaria, strada che avrebbe ospitato poi i più grandi marchi”.
Allearsi sì, ma con i migliori “Il primo spazio acquistato venne riservato da Fendi alla vendita di altri marchi che le sorelle ammiravano. Inizialmente fu dedicato a Roberta di Camerino, storica designer di moda della generazione precedente, non ancora presente su Roma (…) Il secondo marchio che trovò casa a Roma presso Fendi fu Louis Vuitton, quasi una profezia visto che oggi Fendi fa parte dello stesso gruppo, Lvmh”. Il passato è passato “La nonna fu tra i primi imprenditori della moda ad aderire alla convenzione di Washington del 1973, ovvero il decreto per l’utilizzo delle specie di animali in via di estinzione. Molti anni prima che questa legge entrasse in vigore in Italia, rinunciando a lauti ricavi. (…) guardava già con gli occhi del futuro. Un futuro più responsabile nei confronti della natura. D’altronde, anche nelle piccole cose del quotidiano, Adele non assumeva mai atteggiamenti di stampo nostalgico. Non sentenziava, sospirando, sui tempi andati. Le vacanze non sono sacre “L’esperienza di queste collaborazioni (cinema e teatro, ndr) dava alle sorelle grande nutrimento. Nelle loro giovani menti, l’effettivo prestigio che ne conseguiva diventava secondario, perché motivate dall’ansia e dalla curiosità di sapere. Ricordo i laboratori aperti tutto agosto per realizzare sessantasette costumi per una “Carmen” diretta da Pierluigi Pizzi che andò in scena all’Arena di Verona (..) C’ero anch’io in quell’estate infuocata e andai a Verona per le prove. Del resto, le preparazioni delle cose interessanti accadevano puntualmente in agosto”.