Ansa
il foglio della moda
Che cosa non funziona nella moda di oggi
Secondo due fra i più grandi buyer mondiali, Hirofumi Kurino da Tokyo e Maurizio Purificato da Milano, c'è una ripetitività che sfiora il cosplay e la mancanza di una spinta creativa di vertice che innalzi anche la percezione dei prodotti di fascia media
Se la moda è da sempre una performance, cioè una narrazione di cui vestiamo, ammantiamo prodotti di cui non abbiamo bisogno ma che un linguaggio e immagini efficaci ci spingono a desiderare, è chiaro che la moda di oggi ripeta la stessa performance su un palcoscenico sovraffollato di attori che si limitano a cambiare l’intonazione del testo. Prendiamo il caso di McQueen, brand del gruppo Kering con un passato di rappresentazioni teatrali che hanno segnato un’epoca e definito lo zeitgeist (non solo modaiolo) degli Anni Novanta a oggi. I piani semi-ufficiali del nuovo ceo Luca De Meo, diffusi in modo surrettizio perché la sua estraneità al sistema lo rende particolarmente interessante al sistema stesso, un elemento di esotismo sul palcoscenico, dicono che il brand non sarà più venduto al migliore offerente (questa testata, un mese fa, argomentava sulle motivazioni che renderebbero opportuno addirittura a chiuderlo), ma rivoluzionato per renderlo appetibile ai più giovani e di nuovo profittevole in tre anni; immagino che questo significhi un ampliamento dei prodotti “core”, come le sneakers oversize e le sciarpe coi teschi, i best seller che negli ultimi anni hanno sostenuto il brand. Dunque, siamo passati dagli show come "The Widows of Culloden" dell'autunno-inverno 2006/07 con l'ologramma di Kate Moss o le creature quasi aliene di "Plato's Atlantis" della primavera-estate 2010 (sì, di McQueen erano evocativi e seducenti anche i titoli delle sfilate) a prodotti dall'appeal del “lusso”, dicono, sebbene posizionati a un livello di prezzo più basso. "Vi faccio un esempio", spiega Hirofumi Kurino, co-fondatore di United Arrows, grande realtà multibrand giapponese con decine di punti vendita, a sua volta icona di stile. "Le attività recenti del gruppo Comme des Garçons offrono una risposta convincente a questa dinamica: al vertice della piramide creativa si trovano CDG e CDG Homme Plus, seguiti da Junya Watanabe, Noir e Tao, e più in basso da CDG Homme, CDG Black e Play. L’accentuarsi della direzione radicale dei marchi superiori ha reso l’intero sistema più incisivo, trascinando verso l’alto tutti i livelli e generando risultati economici notevoli.
La buona creazione resta infatti la base di un buon business. Penso al caso Shein in Francia: più che concentrarsi sulle azioni legali (per rallentarne l’affermazione, in apparenza inarrestabile, ndr), sarebbe opportuno riaffermare il valore autentico della creatività e della qualità, evitando di competere sul prezzo e riportando l’attenzione sulla sostanza". Spiega Maurizio Purificato, cofondatore della boutique Antonia, indirizzo milanese dei desideri sia per i brand sia per i clienti, di tendere a “privilegiare capi speciali e capispalla particolari, anche a costo di sacrificare parte del risultato commerciale. In un mercato saturo”, aggiunge, “preferiamo combinare marchi affermati con brand di ricerca, per offrire al cliente una selezione esclusiva. Ciò che oggi manca è un’offerta con un equilibrio credibile tra fantasia, qualità e prezzo finale". Così, per spettacolarizzare quello che non riesce più a emozionare, i brand hanno orientato le strategie verso le celebrities, costruendo, non si sa quanto scientemente, momenti paradossali nei quali la stessa persona è stata vestita da due brand diversi per lo stesso evento, vedi Michelle Yeoh sponsorizzata da Balenciaga e Maison Margiela alla première di "Wicked", lo scorso 7 novembre. Il dialogo tra stilisti e attori, cantanti, artisti è sempre esistito, ma si trattava di una conversazione a due, creativa e scenica, e in genere produceva risultati memorabili: David Bowie e Kansai Yamamoto, Maurice Bejart e Gianni Versace, Merce Cunningham e Rei Kawakubo per Comme des Garçons.
Oggi la star protagonista della “collab”, “presented by”, diventa virale al massimo per un paio d'ore. Perché? Non (solo) per la moltiplicazione dei messaggi, ma perché non si tratta più di un incontro fra visioni diverse, ma di trattative condotte da stylist, publicist e agenti che utilizzano il personaggio come mascotte. Per questo tutto è dimenticabile e i look stessi, in genere, irrilevanti. "Viviamo in un’epoca in cui la velocità ha plasmato ogni aspetto dell’esistenza, trasformando anche cibo e abbigliamento in prodotti “fast” e generando una produzione su larga scala che ha portato ai conseguenti danni ambientali", sottolinea Kurino. "Nel mondo postmoderno cresce però una consapevolezza diversa, particolarmente evidente in Giappone, dove il Covid ha cambiato l’attitudine all’acquisto: la fragilità emersa durante la pandemia ha incrinato la leggerezza del consumo immediato. il "revenge shopping" occidentale post pandemico, dapprima si è rivelato uno sfogo al periodo buio, ma poi ha dato un esito negativo, alimentando inquietudine e solitudine. In Giappone, invece, questa nuova sensibilità ha messo in crisi il fast fashion, e anche l’arrivo di Shein, inizialmente accolto con curiosità, è stato rapidamente ridimensionato quando il pubblico ha compreso che quella corsa non produceva alcuna forma di felicità". Aggiunge Purificato: "La velocità post-Covid delle collezioni, invece di rallentare, è aumentata generando un flusso simultaneo di pre-collection, main, cruise, collaborazioni e altro ancora, che finisce per creare una confusione tale da banalizzare il messaggio ", aggiunge Purificato. Così, perde valore anche il lavoro dei designer, che devono pensare collezioni a ripetizione. Qui colpisce la strategia di De Meo che spinge ancora di più sull'acceleratore, mettendo il cliente al centro e riducendo sensibilmente l’influenza dei direttori creativi, cioè di coloro che generano il sogno. Potrebbe risultare incauto, ma lo dirà solo il tempo.
Nel frattempo, il Lyst Index, la temutissima graduatoria di gradimento stilata dalla più grande e ragionata piattaforma di shopping online Lyst, mostra che un brand come Cos, marchio prezioso del gruppo H&M, nel terzo trimestre dell’anno sta scalando i vertici della classifica grazie alla sua coerenza estetica, alla buona qualità e ai prezzi accessibili, a discapito di molti nomi blasonati. La stessa ricerca vede le Havaianas prime nella classifica dei prodotti più hot, seguite al terzo posto da un pullover girocollo, quadrato, di Cos e al quinto dal reggiseno con effetto piercing di Skims. Così, nuove generazioni, e non solo, rivolgono la spesa a questi capi singoli, specifici, e al mercato del vintage, in grande espansione. "I giovani giapponesi hanno progressivamente abbandonato il fast fashion più estremo, orientandosi verso l'usato e utilizzando con naturalezza piattaforme di rivendita come Mercari, che ha reso il pubblico più consapevole e selettivo. Una parte rilevante dei consumatori ha ormai preso le distanze dalla logica della velocità, percepita come eccessiva e autodistruttiva. Proprio per questo, in Giappone i marchi davvero creativi e di qualità, da Comme des Garçons a Yohji Yamamoto, Issey Miyake al recente Auralee, continuano a ottenere risultati eccellenti". Purificato specifica: "Il dilagare del second-hand, soprattutto online, si somma a un problema ancora più grave: il lusso sta perdendo fascino ed esclusività, che non derivano dal prezzo, ma dalla reale scarsità di prodotti unici, che è il vero tema da affrontare per riabilitarlo. La distribuzione eccessiva, tra monomarca, multimarca e piattaforme che scontano da inizio a fine stagione, ha compromesso la sua credibilità, dato che ormai tutto è reperibile online a prezzi ridotti nell'arco dell’anno". Una riflessione che, sommata alla produzione accelerata, amplifica il valore emotivo degli abiti di seconda mano: per le nuove generazioni hanno più anima (non sono la replica, ma l’originale), mentre per gli adulti contengono una componente di nostalgia emozionale. La dinamica influenza anche le nuove produzioni che spesso sono fortemente ispirate dal passato, fin troppo. Difficilmente si vedono glamour e magia senza che i look sembrino costumi oppure quasi la replica dei tempi in cui la moda faceva davvero moda. Così si recita una parte che racconta la decade o il designer di riferimento, ma senza trasmettere l'emozione e la cultura che gli originali hanno diffuso.