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Il foglio della moda

Leggende di stile al cinema. Meryl Streep e l'eterna seduzione della redazione “tossica”

Paola Jacobbi

L'attrice che ha interpretato la direttrice Miranda Priestley è stata filmata in prima fila da Dolce & Gabbana è stata una delle notizie dell’ultima Fashion Week milanese. E viene da chiedersi se il format sfilata non abbia concluso il suo ciclo storico

Nel 2006, “Il diavolo veste Prada” (il film) fu presentato alla Mostra del Cinema di Venezia fuori concorso. Piacque subito. Era una rom-com perfetta, una ventata d’aria fresca tratta da un omonimo romanzo a chiave di grande successo che cascava alla perfezione addosso a quell’inizio di millennio, molto prima che diventasse di moda definire “tossici” gli ambienti di lavoro. Ma era davvero così fetida l’atmosfera nella redazione di “Vogue America”, domandai all’autrice Lauren Weisberger, presente anche lei al Lido per promuovere il film. Rispose scostante, con durezza, come se avessi messo in dubbio la verità del suo memoir, benché romanzato, di assistente di Anna Wintour. Poco dopo, Meryl Streep, alias Miranda Priestley, la direttrice impossibile del romanzo, disse ridendo a una piccola tavola rotonda di giornalisti che lei, comunque, nonostante i suoi Oscar, sulla copertina di “Vogue America”, non l’avevano mai messa.

 

È successo in seguito, un bel po’ dopo, due volte: nel gennaio 2012 e nel novembre 2017. Insomma, vent’anni fa, quando uscì “Il diavolo veste Prada”, la moda aveva regole che la ragione dell’entertainment non conosceva. Oggi è tutto cambiato, al punto che Streep, nuovamente nel ruolo di una Wintour fittizia nel sequel, filmata in prima fila da Dolce & Gabbana è stata una delle notizie dell’ultima Fashion Week milanese. Più dei dettagli della collezione. Nel primo film, Miranda/Meryl, incontrava Valentino nel ruolo di sé stesso alle sfilate di Parigi: questa volta, il cameo del designer avrebbe dovuto essere quello di Giorgio Armani, mancato però il 4 settembre. Era prevista una scena alla Pinacoteca di Brera, durante la sfilata e l’inaugurazione della mostra dedicata al cinquantesimo compleanno della maison milanese. La sceneggiatura è stata modificata. Così Meryl Streep e Stanley Tucci, accompagnati da hostess impettite, si sono accomodati al quartier generale di Dolce & Gabbana che, tra l’altro, è un ex cinema, il Metropol. Che chiusura di cerchio. Il momento, ampiamente instagrammato da tutti i presenti, ha qualcosa di simbolico perché rappresenta lo zenit di quello che è successo negli ultimi vent’anni e che ha trasformato e inevitabilmente snaturato l’evento sfilata.

 

 

Ma non c’è stata solo l’epifania di Meryl in mezzo al popolo della moda. Proprio poche settimane prima delle sfilate milanesi, alla Mostra del cinema di Venezia sono arrivate delle anticipazioni delle collezioni, con attrici di fama mondiale che hanno indossato i pezzi di Jonathan Anderson per Dior e di Dario Vitale per Versace, ovvero due dei debutti più attesi di stagione. Viene da chiedersi se il format sfilata non abbia concluso il suo ciclo storico. A che cosa servono, ormai? Un tempo erano frequentate solo dagli addetti ai lavori e le clienti vedevano le collezioni a inizio stagione sulle riviste, con una tempistica che separava nettamente i due universi. Oggi, le sfilate le possiamo vedere tutti in diretta, da casa, mentre sul posto ci sono tutti gli altri, il contorno. Gli influencer, i divi del K Pop (ma quanti sono?) e le poche star del cinema che ancora seducono, oltre ai fotografi dello street style e le diverse caste di personaggi dello spettacolo che si distinguono in base ai diversi legami con le maison.

 

Al primo livello stanno i testimonial (pagati, e parecchio, sono quelli il cui volto photoshoppato compare nelle campagne pubblicitarie), al secondo i “brand ambassador” (pagati, ma meno, però la loro relazione con il brand può durare a lungo, perché hanno meno responsabilità e sono ugualmente trattati da star) e infine i semplici “amici del brand”, di solito non abbastanza desiderabili da ricevere grosse cifre ma sufficientemente cool per essere invitati, vestiti, coccolati. Si stenta a credere che vi siano stati anni nei quali le sfilate erano il cuore di tutto, l’alfa e l’omega per ogni designer. La fondamentale collezione di Christian Dior del 1947, tappa cruciale della storia della moda, non si chiamava "The New Look”. Non aveva nemmeno un nome: glielo trovò Carmel Snow, allora caporedattrice di “Harper’s Bazaar”. Lei, insieme con una manciata di altre giornaliste aveva la forza di decretare il successo o il fallimento di ogni maison e di influenzarne direttamente le vendite.

 

Anche sul potere (e il gusto e il talento) di gente come Carmel Snow e Richard Avedon, l’uomo che trasformò la fotografia di moda, era stato scritto un film: “Cenerentola a Parigi” (1957, “Funny Face” nell’originale). Ispirato vagamente al musical di George e Ira Gershwin, è pieno di quella energia multidimensionale della moda (la vedo, la sogno, me ne approprio indossandola) e non solo per gli abiti firmati Givenchy che ammiriamo addosso a Audrey Hepburn, la “funny face” del titolo, una ragazza che non vuole fare la modella ma lo diventa, mentre Fred Astaire sarebbe la versione danzante di Avedon. “Cenerentola a Parigi” è un pezzo di mitologia della moda, contiene tutto: la bellezza inconsapevole, la creazione di un’idea di eleganza, il carisma di poche donne che dirigono i giornali che consigliano alle altre come vestirsi. Miranda Priestley è ciò che resta di quella mitologia che, negli ultimi vent’anni, ha subito diversi colpi. Con l'avvento di Internet nei primi 2000, le sfilate hanno visto l'ascesa dei primi blogger. Nel 2009, proprio Dolce & Gabbana fu il primo marchio a farli sedere in prima fila, fornendo loro persino dei computer per documentare la sfilata in tempo reale.

 

La proliferazione degli smartphone e la nascita di Instagram nel 2010 hanno fatto il resto. Oggi, i brand non devono più passare attraverso la mediazione di riviste e buyer per raggiungere i clienti: basta esistere online e per esistere online basta uno scatto che fa il giro di Tik Tok. Oppure esserci in un film, le cui immagini arrivano, in anticipo sull’uscita, di nuovo online. Dei look del “Diavolo veste Prada 2” sappiamo già molto, anche troppo: durante le riprese a New York, e a Milano (perfino in metropolitana), Streep e le altre protagoniste, Anne Hathaway ed Emily Blunt, sono state catturate da centinaia di smartphone, con i loro abiti e accessori debitamente taggati. Il film arriverà in sala solo nella primavera del 2026. Nell’attesa, potete sempre mettervi comodi, liberare il cervello da brutti pensieri e guardare su Netflix la quinta stagione di “Emily in Paris”, la “Cenerentola a Parigi” che ci meritiamo.

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