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Zara non è più fast fashion: il colosso spagnolo riscrive le regole del lusso
Lo scivolone mediatico della campagna di Tim Walker ormai è alle spalle. Con il nuovo direttore creativo Zara cambia approccio e punta su una strategia da maison: produzione europea, qualità superiore, storytelling che racconta la tradizione e la famiglia. E ora la campagna per i 50 anni
A dicembre del 2023 ci fu l’incidente planetario della campagna scattata da Tim Walker con le statue spezzate e i cumuli di polvere nella quale, a milioni, videro un disturbante parallelismo con gli attacchi a Gaza, ma fu davvero l’unico errore che Zara e la sua capogruppo, Inditex, 38,6 miliardi di euro di fatturato nel 2024, abbiano commesso in questi ultimi anni. Pochi mesi dopo, infatti, Marta Ortega, figlia del fondatore Amancio, ex-allieva del prestigioso collegio svizzero Aiglon, presidente del colosso di famiglia, ingaggiava Stefano Pilati, ex direttore creativo di Saint Laurent post-Tom Ford, per una prima collezione di pezzi limitati che adesso si trova sul mercato secondario a prezzi da amatore. E da quel momento, mentre i grandi brand imboccavano sicuri la strada suicida dell’aumento dei prezzi per far fronte alla diminuzione delle vendite, Zara si avvicinava alla fascia medio-alta del mercato riportando in Europa e limitrofi la produzione (lo choc pandemico ha insegnato a tanti che la logistica a centomila chilometri dalla sede non è una scelta saggia), alzando la qualità dei materiali, ingaggiando operazioni di sostenibilità che può permettersi e soprattutto adottando la stessa strategia di comunicazione dei marchi provvisti di blasone. Cioè l’heritage. La tradizione. La storia. La famiglia. Lo chic.
La nuova campagna video per i 50 anni di Zara, uscita pochi giorni fa e diretta da Steven Meisel è la dimostrazione più evidente che Zara sia uscita dall’alveo del fast fashion non tanto di per sé, ma per il giro del fumo che adesso può permettersi: un fotografo leggendario e cinquanta top model che fino a due anni fa avrebbero risposto picche, un budget favoloso oggi impossibile per molti, e soprattutto un’allure che a poco a poco la equipara, appunto, a brand dai quali, si domandano in queste ore a milioni su Instagram, dopotutto, che cosa la differenzia? Gli atelier e la filiera? La maggior parte dei marchi si appoggia a terzi. La sostenibilità? Parliamone. La qualità? Entrate in un negozio vintage per osservare come gli stessi brand lavorassero solo dieci anni fa. Il re dei vestiti griffati è sempre più nudo. E state sicuri che, tempo un altro paio d'anni, troveremo Zara main sponsor del Met Gala.
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