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foglio della moda

Diecimila casse di velluto da Genova ad Anversa

Maria Giuseppina Muzzarelli

Dal libriccino "Andare per le vie italiane della seta", la riscoperta della storia della moda come motivo di viaggio e di presa di conoscenza di un territorio

La storia della moda come motivo per un viaggio, una gita, un mezzo di conoscenza del territorio. Attorno a questa idea si dipana nella nuova collana “Ritrovare l’Italia” della casa editrice il Mulino, di cui è da poco uscito anche il piacevole libriccino Andare per le vie italiane della seta (164 pagine, efficaci illustrazioni) della medievista Maria Giuseppina Muzzarelli. Un percorso colto, ma proposto con tono colloquiale (la cara prof ha appreso l’arte della divulgazione grazie alla lunga collaborazione con i programmi televisivi di Paolo Mieli) attorno al “lunghissimo filo di seta che collega idealmente, fin dall’XI secolo, il sud con il centro e il nord Italia, l’est con l’ovest, Bisanzio con Palermo e Catanzaro, Lucca con Genova e Venezia e poi con Bologna, Firenze e Milano. Si deve ai bizantini l’avvio della coltivazione del gelso e l’allevamento del baco in Calabria, attorno al Mille, e agli arabi la tessitura serica in Sicilia, da dove partì per Lucca, Milano, Genova.  Un viaggio meraviglioso, che si può compiere tuttora. Anche a tappe, naturalmente. Ne proponiamo un breve estratto sui luoghi serici della Liguria

 

A Zoagli nel Seicento quasi in ogni casa c’era un telaio. Prima di allora, nei secoli del basso Medioevo i mercanti genovesi si spingevano fino nel Catai e importavano seta dalla Persia, dall’India e dalla Cina, appunto, e rifornivano di seta greggia anche i lucchesi che già la lavoravano con maestria. Partite di seta cinese risultano consegnate da mercanti genovesi intorno alla metà del Duecento a un lucchese che agiva per conto di numerose società commerciali. Il legame fra Genova e Lucca risulta forte a fine Duecento e Lucca dipendeva da Genova per i rifornimenti, anche se non sappiamo con precisione se l’importazione genovese dalla Cina fosse diretta o mediata da mercanti orientali.

 

Che Genova agisse comunque da leader nel settore lo si ricava da un’informazione che ci fornisce Francesco Balducci Pegolotti nel suo La pratica della mercatura (scritto fra il 1335 e il 1343) là dove riferisce che tra il 1310 e il 1340 i pesi in uso nel Catai si ragguagliavano al sistema ponderale genovese. E da un ampio studio sui tessuti genovesi di Marzia Cataldi Gallo riusciamo a sapere che a Laiazzo in Armenia i genovesi disponevano di insediamenti stabili con fondaci e magazzini che consentivano loro traffici commerciali costanti con l’Oriente. Se nel XII e soprattutto nel XIII secolo il commercio della seta a Genova era piuttosto sviluppato e fiorente, la produzione invece rimase scarsa fino all’inizio del Trecento e prese avvio quando due mercanti lucchesi, a seguito della crisi attraversata dalla città in quel periodo, si stabilirono a Genova per tessere zendadi o meglio per insegnare a tesserli e per impiantare una manifattura locale.

 

Nel giro di un secolo i setieri diventarono ben ventitre, numero destinato a crescere ulteriormente nel Quattrocento. (...) Ma è il Cinquecento il secolo della svolta. Nella seconda metà del secolo, quando la repubblica contava circa 60mila abitanti, la produzione e il commercio della seta impegnavano più della metà degli abitanti. È interessante notare che il legame fra Lucca e Genova (…) trovò nuovi ambiti di collaborazione protratta nel tempo quando essi introdussero nuovi disegni. Da un documento si ricava, ad esempio, che tra il 1424 e il 1443 un artista lucchese si impegnava a fornire ben sessanta modelli all’anno «de lor broccati o velluti» ad alcuni setaioli genovesi. I prodotti dell’industria serica genovese si affermarono in tutta Europa e fuori d’Italia le stoffe genovesi venivano denominate «Jeane»: le ritroviamo elencate in importanti inventari come quello dei beni di Enrico VIII, che comprendeva damaschi e velluti di vari colori e disegni.

 

Erano tessuti usati soprattutto per tappezzare e arredare dimore. Fra il 1553 e il 1562 furono inviate da Genova ad Anversa 10mila casse di velluto. Tuttavia anche a Genova sopravvenne una crisi nel secondo Seicento per le stesse ragioni patite altrove, dalla diminuita capacità di acquisto dei mercati europei all’aumento del costo del lavoro. Qui, diversamente da altre piazze, la flessione si fece sentire meno perché la produzione era prevalentemente rivolta a quei beni di lusso che le classi più elevate continuavano a richiedere anche in tempi difficili. Tra i consumatori più abbienti vi erano anche le famiglie genovesi che si erano arricchite proprio grazie alla produzione e al commercio di panni serici: i Balbi, i Durazzo, i Brignole.

 

Sappiamo che l’abito indossato da Caterina Balbi Durazzo nel ritratto del 1624, che i Balbi, mercanti di tessuti ad Anversa, commissionarono ad Antoon Van Dyck da loro invitato a Genova, venne pagato 412 lire genovesi, mentre il pittore incassò per due ritratti 373 lire. Gli abiti che Anton Giulio e Paolina Adorno indossavano quando vennero ritratti sempre da Van Dyck (il dipinto è stato esposto fino a poche settimane fa alla mostra “Superbarocco” alle Scuderie del Quirinale, ndr) costarono rispettivamente all’incirca milla e 2mila lire. All’epoca 2mila lire corrispondevano a 11 anni e mezzo del salario di un muratore, a un veliero di 60 tonnellate, a circa 5 ettari di terreno o a una sessantina di buoi. (…) Il calo produttivo si fece più vistoso tra il 1565 e il 1700, quando arrivò all’80 per cento a causa della concorrenza lionese.

 

La fama dei velluti neri genovesi restò però irraggiungibile, come quella dei velluti con motivi a giardino, prodotti soprattutto a Genova ma anche a Torino e a Milano. La centralità di Zoagli, che merita una tappa, è dovuta all’ottima ragione che nel Seicento si verificò una progressiva emigrazione di artigiani genovesi verso centri minori della Riviera di Levante, dove la vita era meno cara. Genova pur tutelando la propria produzione non proibì la tessitura extraurbana, anzi dal Cinquecento iniziò un’avveduta collaborazione con Zoagli: i setaioli genovesi procuravano seta greggia e ritiravano tele di pregio. A Zoagli ci si specializzò infatti nella produzione di velluti, la tecnica più complessa. (…)

 

Lo sviluppo delle manifatture tessili extraurbane assunse nel giro di un secolo dimensioni davvero notevoli. (...) Dopo la prima guerra mondiale, nel 1922, venne fondata la Società anonima velluti Zoagli che si prefiggeva di unire la produzione artigianale a quella industriale. Una decina d’anni dopo Giuseppe Gaggioli rilevò l’azienda denominandola Tessitura Gaggioli (...). Oggi la terza generazione della famiglia realizza velluti e damaschi su originali telai ottocenteschi. A Zoagli opera anche la seteria Cordani, nata nel 1849, che continua a produrre  preziosi velluti in seta a un ritmo che fa capire l’impegno e ne giustifica l’alto costo: 50 centimetri al giorno per un tipo di velluto liscio prodotto solo in questo laboratorio.

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