Delphine Arnault arriva all'Eliseo per una cena con il presidente Emmanuel Macron (foto di Ansa)

il foglio della moda

La carica dei Lorenzo: futuri magnifici?

Ugo Bertone

Viaggio nelle casa d'alta moda per raccontare i (possibili) futuri eredi delle firme del lusso, da Loro Piana a Hermès, da Zegna a Prada

"Caro Alexandre sono contento che in ospedale sia andato tutto bene. Adesso, però, mettiti a studiare. Subito, perché con papà non si scherza”. È stato Alexandre Arnault a raccontare l’episodio, pubblicando su Instagram il biglietto del fratello maggiore Antoine nel giorno della sua nascita, poi diventato, oltre che un giocatore di poker di fama internazionale (i premi vanno in beneficenza) il numero uno della comunicazione del gruppo nonché presidente di Loro Piana. Ma ancora adesso Arnault père segue da vicino le gesta dei cinque eredi, a partire da quelle della prediletta Delphine, che gli sottopone per l’approvazione finale le borse di casa Lvmh o di Alexandre, alla testa di Tiffany. Il lusso, del resto, è spesso un mestiere di famiglia, che si tramanda tra le mura di casa. Vale soprattutto per le maison francesi, a partire dai Dumas, che amministrano i tesori di Hermès, fino a François Henri Pinault, che ha rilevato la gestione di Kering da papà François.

 

Vale anche per l’Italia, patria per eccellenza del capitalismo familiare, che però non sempre ha saputo assicurare agli eredi basi patrimoniali adeguate: un po’ per miopia, un po’ per l’assenza di partner finanziari all’altezza della sfida. Ma non mancano nemmeno in Italia gli esempi virtuosi, primo fra tutti la dinastia Zegna, che ha saputo sfruttare assieme ad Investindustrial il momento giusto per giocare la carta della quotazione a Wall Street nel 2021, nel momento di maggior fermento del mercato, affamato di matricole di qualità. Un colpo da maestro per Gildo e Paolo, terza generazione della casa piemontese. Ora, con la consueta prudenza di famiglia, stanno maturando le condizioni per la futura leadership della quarta generazione: Edoardo, primogenito di Gildo, è rientrato nella casa madre in qualità di capo del marketing e responsabile della sostenibilità. Prima, come impongono le regole non scritte della famiglia, ha ottenuto una laurea in un’università importante, la Georgetown University, e per cinque anni ha lavorato in Gap, un’azienda leader per capire i segreti del retail a stelle e strisce. Oggi è senz’altro lui, responsabile del digitale, il candidato ad assumere la guida della quarta generazione di un gruppo strategico per le sorti della moda nazionale.

 

Così come lo è l’azienda di un amico di Gildo: Patrizio Bertelli, il pirotecnico patron di Prada che ha comprato, a titolo personale, una piccola quota di Zegna al momento della quotazione e poi ha rilevato con lui la Filati Biagioli, mossa previdente per assicurarsi il rifornimento di materie prime. Dunque, Lorenzo Bertelli, uno dei due figli di Patrizio Bertelli e Miuccia Prada (l’altro è Giulio, 31 anni, velista, anche il progetto Luna Rossa ha un futuro). Dotato del physique du role (cosa che non guasta), classe 1988, laureato alla facoltà di Filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano con Massimo Cacciari ma anche pilota di rally, Lorenzo è in azienda dal 2017, dove si è occupato soprattutto di marketing e di comunicazione ma ha anche messo a segno un accordo con Adobe, un passaggio tecnologico chiave per il futuro della griffe quotata ad Hong Kong. Il padre ne parla negli incontri pubblici come del futuro ceo. Senza fretta (fonti interne all’azienda dicono che l’erede abbia idee molto chiare soprattutto sul retail digitale, e che non sempre il padre sia d’accordo con le strategie. Dinamiche sane, comunque, ndr). Il patron parla di un possibile passaggio di consegne fra tre-quattro anni, considerando l’apprendimento dell’amministratore delegato lungo e quotidiano.

 

E’ il percorso consigliato da Gianni Tamburi, il finanziere talent scout con Tip delle aziende dal made in Italy, tra cui la Moncler di Remo Ruffini, che ha una sua ricetta per educare i “figli di papà”: “La priorità del padre imprenditore”, dice, “è di insegnare ai figli a fare l’azionista, cioè a delegare e a dare gli indirizzi strategici piuttosto che pensare di saper o poter fare cose su cui altri hanno più competenze”. Chissà, probabilmente la ricerca di una palestra personale per crescere è alla base delle scelte dei figli di Ruffini: i figli del presidente di Moncler, Romeo e Pietro, hanno dato vita, sotto l’ombrello della holding di famiglia, ad Archive, una newco che punta ad acquisire quote di marchi dalla grandi potenzialità e farne decollare il business. Nel segmento moda, è stato scelto The Attico, il brand di super tendenza fondato dalle influencer Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini mentre sul fronte food, Pietro Ruffini ha il compito di far volare l’insegna Langosteria, di recente protagonista anche di un accordo a Parigi con Lvmh, da cui il “take over” del locale di Paraggi da parte di Dior, che ha già boutique a Portofino, cioè a un chilometro Anche la tribu’ di Renzo Rosso, ultimamente molto presente nelle occasioni istituzionali, cerca spazio nei recinti della holding Otb, che punta alla quotazione in Borsa nel 2024 e ieri ha nominato Eraldo Poletto global CEO. Dei suoi sette figli, tre sono già in azienda.

 

Andrea, il primogenito, ha esordito come direttore creativo del marchio 55DSL fondato dal padre nel 1994 (oggi integrato al marchio Diesel), quindi è diventato il direttore creativo di tutte le licenze Diesel e nel 2015 ha fondato l’innovativo progetto Myar. Stefano è entrato nella galassia di famiglia dal 2005 occupandosi di vari ruoli manageriali ed è ceo Nord America, mentre Alessia lavora nella squadra di marketing per Diesel America. L’uscita della famiglia Castiglioni da Marni, acquisita da Rosso dieci anni fa, non ha frenato lo spirito imprenditoriale di Carolina, figlia dell’erede del brand Consuelo che si è rimessa in gioco con Plan C. Una startup che però resta un family business. E’ un momento di grande riflessione per molte famiglie storiche del made in Italy: Ferragamo si è ormai imposta una divisione metta tra i ruoli apicali della spa quotata, che ha appena annunciato un impegnativo piano di investimenti a seguito dell’ingresso del nuovo ceo Marco Gobbetti e la presenza sempre attiva dei famigliari, tra cui spicca l’attivismo della vicepresidente Angelica Visconti.

 

Occhio poi al futuro  del gruppo Della Valle. Il primogenito di Diego, Emanuele, ha scelto di puntare sul digitale. Dopo aver lavorato nell’azienda di famiglia come direttore marketing di Hogan, oggi si occupa di Lifestylemirror, magazine online che permette di acquistare tutto ciò che presenta grazie al collegamento con i siti di e-commerce.  Al contrario, i cugini Filippo e Leonardo, studi al King’s college di Londra, sembrano avere i numeri per prendere le redini dell’azienda. Magari sotto lo sguardo di Arnault, già presente nel capitale e spesso evocato da Della Valle come figura di riferimento, al punto che con una certa regolarità si vocifera di un aumento delle quote.

 

In Brunello Cucinelli gli affari restano invece in famiglia: il fondatore ha scelto il marito della primogenita Camilla, Riccardo Stefanelli, come co-amministratore delegato, mentre  la secondogenita Carolina è il  suo co-presidente e braccio destro in consiglio. Intanto Enrico Moretti Polegato, il figlio di Mario proprietario di Geox, ha invece deciso di puntare ancora sulle calzature. Ma l’elenco dei figli d’arte è praticamente sterminato. Da segnalare il caso di Efisio Marras, figlio di un visionario di talento ma che a meno di trent’anni ha riversato il suo genio creativo alla guida di i’m Isola Marras, la collezione giovane della maison di famiglia.  Oppure il dinamismo dei gemelli Walter e Mariano De Matteis, napoletani, ultima generazione della dinastia sartoriale di Kiton, sempre più indaffarati da quando, terminati gli studi, sono entrati in azienda al fianco del padre e lo hanno convinto a lanciarsi nell’impresa di lanciare Knt , il “laboratorio sperimentale” e così insegnare ai loro coetanei, i millennial, a vestire sartoriale. Quel che però continua a mancare, è quel collegamento organico tra finanza ed industria della moda che resta l’anello mancante dell’evoluzione del made in Italy. Forse perché, alla fin del secolo scorso Mediobanca (vi ricordate Hdp?) non si rivelò all’altezza di Rothschild. E di un nuovo Arnault non v’è traccia.

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