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il foglio della moda

“La manifattura è innovazione”. Parla Serge Brunschwig

Fabiana Giacomotti

Abbiamo perso la partita della multinazionalità del lusso nella moda. Possiamo però creare eccellenza attraverso una rieducazione artigiana. Come spiega il ceo di Fendi

“Iprogetti di formazione nell’alto artigianato sono un veicolo molto importante per attrarre e scoprire nuovi talenti. Dobbiamo rendere questi lavori attraenti per i giovani, per trasmettere l'idea che non riguardino solo la conservazione di antiche conoscenze, ma che sono anche ricchi nella ricerca e nell’ innovazione”. Serge Brunschwig, presidente e amministratore delegato di Fendi sa, come chiunque altro nell’industria del lusso, che la forza della moda italiana non risiede tanto o non solo nelle pochissime imprese che hanno saputo trasformarsi in grandi gruppi industriali mantenendo la proprietà (ve li elenchiamo: Giorgio Armani, Prada, Zegna, OTB di Renzo Rosso, Tod’s Group, gli altri sono tutti ben sotto il miliardo di euro di fatturato), ma nell’immenso tessuto di micro-realtà di eccellenza artigiana che ha resistito alle guerre, alle svalutazioni, alle pandemie.

Si dice che l’Italia rischi di perdere ogni anno decine di migliaia, di queste eccellenze, e che debba correre ai ripari, ma si tratta di una di quelle locuzioni che tutti pratichiamo di continuo senza riuscire però mai ad afferrare l’essenza della questione, e cioè che qualcuno debba davvero sceglierle, le attività da cui l’Italia ha tentato a lungo di affrancarsi per indirizzarsi, in massa, verso le professioni liberali. E che no, non dobbiamo vergognarci se nessuno interpella nostro figlio con l’appellativo rassicurante di “avvocato”, ma che anzi dobbiamo rallegrarci se il nostro avvocato decide di abbandonare le corvée da stagista sottopagato nel grande studio internazionale per darsi alla manifattura di borse o di maglieria.

Però, perché questo avvenga senza acquistare l’amaro sapore della sconfitta, è necessario che cambi anche l’immaginario che riguarda questi mestieri. E cioè che lavorare con le mani su prodotti di eccellenza diventi socialmente qualificante. E questo non può avvenire se non con il supporto di chi possiede già questi requisiti. Cioè, i grandi brand. “L'artigianato dovrebbe essere visto come moderno e dirompente per attrarre le generazioni più giovani”, aggiunge Brunschwig. “La vita sta cambiando rapidamente e dobbiamo rendere la nostra maestria parte di questo costante cambiamento. I giovani vogliono lo spirito, l'originalità e la bellezza di un marchio, ma lo vogliono in un modo che corrisponda al loro stile di vita. È dunque è nostra responsabilità assicurarci che questi posti di lavoro esistano ancora tra vent'anni”. Benché il bilancio del comparto luxury goods del gruppo Lvmh sia complessivo e non diviso per singoli marchi, nelle note sui dati di chiusura dell’anno 2021, Bernard Arnault ha tenuto a sottolineare “la performance exceptionnelle” di Fendi. Dunque, quelle mani d’oro sono sempre più necessarie, e la maison ha i mezzi, e la volontà, per procurarsele. Brunschwig conta di poter aprire “entro quest’anno” la nuova fabbrica Fendi a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze, e aggiunge che “sarà un polo di eccellenza, in grado di abbracciare tutte le attività, compresa la creazione, lo sviluppo, l'innovazione, la formazione, la logistica e la produzione”. Spiega: “Abbiamo voluto aumentare la nostra produzione interna, a seguito dell'aumento delle vendite, creando al contempo una scuola strutturata di formazione che possa lavorare su processi innovativi nello sviluppo delle collezioni”.

 

Nel Seicento, i viaggiatori che affrontavano i primi Grand Tour dell’Italia, si fermavano nelle botteghe artigiane alla ricerca di qualche oggetto, oppure di un’opera d’arte, che emulasse le straordinarie collezioni dei loro sovrani o dei loro aristocratici, di cui non di rado facevano parte. Fra le lettere che venivano inviate ai genitori o ai fratelli rimasti a casa non mancavano le descrizioni degli acquisti fatti anche nell’abbigliamento, in particolare di scarpe, per le quali già all’epoca l’Italia andava nota, nonostante i tedeschi tendessero a deplorare l’estrema delicatezza dei modelli italiani, impossibili da portare lungo le strade fangose del nord se non con le opportune sopra-elevazioni in metallo. Più che l’industria, in quelle missive e in quei diari si sottolineava l’abilità artigianale italiana: sono trascorsi più di quattro secoli e, in via generale, la percezione degli stranieri non è cambiata. Gli italiani vengono visti come ottimi manifatturieri, ma raramente come grandi imprenditori. Nella maggior parte dei casi, va riconosciuto, i nostri artigiani di eccellenza non hanno né le forze, né la cultura imprenditoriale, né un supporto istituzionale coerente, per portare all’attenzione del grande pubblico la propria abilità nel creare e di conseguenza gettare le basi per una crescita organica. Devono affidarsi alle istituzioni come l’ICE. Oppure, agli organismi terzi come Altagamma, l’associazione delle imprese del lusso, che ha come logico tutto l’interesse a valorizzare il coté artigianale dei propri façonisti.

 

Non è un caso che Fendi abbia sottoscritto, come ogni altro socio ma senza perdere tempo, il progetto di “adozione” di una scuola professionale, lanciato in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione: “La collaborazione con l'Istituto Ostilio Ricci di Fermo è un'iniziativa molto importante per Fendi. La nuova Master Class è un'occasione unica per promuovere e mostrare alle nuove generazioni che la professione artigiana nel settore del lusso rappresenta una vera opportunità”. Va detto che Fendi, come ogni altra maison del gruppo Lvmh e in generale ogni grande gruppo del lusso, è impegnata non solo in Italia in iniziative come questa. Lo scorso luglio, ha lanciato per esempio il programma “WE for ME” per la preservazione e lo sviluppo di quelli che identifica come i duecento “mestieri d’ eccellenza”, dalla creazione all’artigianato all’esperienza di vendita. La creazione del primo Institut des Métiers d’Excellence Lvmh data il 2014: da allora, in Francia, Svizzera, Italia e Giappone, ha “formato più di mille giovani”. Adesso, l’obiettivo è di “far conoscere questi lavori a un pubblico più vasto, assicurando un futuro e mettendo in risalto le persone che li svolgono.

Dice spesso Arnault che non “esiste un settore del lusso durevole senza un savoir faire d’eccezione”, e Brunschwig aggiunge come in Italia la capacità dell’artigianato di tramandarsi di generazione in generazione, ancorché rallentata in questi ultimi anni, sia “una vera forza produttiva”. Che artigianato equivalga a prodotto unico, non perfettamente riproducibile, a fronte di clienti dell’est asiatico che richiedono con ogni mezzo l’assoluta perfezione e uguaglianza fra un oggetto e un altro è un problema che, secondo il ceo di Fendi è stato superato: “Il lusso è emozione e narrazione. Dal 2020 abbiamo invitato un gruppo eterogeneo di atelier e laboratori, uno per ogni regione italiana, a interpretare la borsa Baguette applicando l'artigianato locale”. L’ultima edizione del progetto, esposto in sede a Roma, ha totalizzato 13mila visitatori. “Alla gente piace sentirsi parte di una storia e di una famiglia. Non vogliono solo possedere un capo”.

 

Da due anni, il Palazzo della Civiltà Italiana di Roma, sede di Fendi, ospita ad ottobre il progetto sviluppato con venti artigiani di altrettante regioni italiane attorno al modello di borsa Baguette. Sotto, la creazione dei maestri siciliani

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