Anche il lusso piange (e sciopera)

Fabiana Giacomotti

In Francia scendono in piazza i lavoratori di Louis Vuitton: “Mestiere formidabile, salario miserabile”. Un evento eccezionale in un settore poco pugnace sul fronte sindacale. A settembre protestavano i dipendenti di Moët et Chandon, a ottobre quelli di Sephora

Anche il lusso piange miseria e, bisogna dire, con una certa dose di ragione. Mentre qui in Italia, nel week end, ci impegnavamo a fondo con la dissoluzione dei Cinquestelle e con i venti di guerra in Ucraina, in Francia i lavoratori di cinque delle diciotto (sic) fabbriche Louis Vuitton scendevano in sciopero con uno slogan che, scusate la nostra infinita snobberia, meriterebbe da solo l’aumento di retribuzione richiesta. “Métier formidable, salaire misérable”, nessuna tradizione necessaria, fa il paio con la “force tranquille” di Jacques Séguéla che negli Anni Ottanta fece vincere le presidenziali a François Mitterrand e il “labour doesn’t work” che nel 1978 riportò i Tory al governo, con la differenza che in questi casi si pagarono milioni a fior di agenzie pubblicitarie, e in questo caso parliamo di rime e figure retoriche spontanee.

 

Insomma, i dipendenti di Vuitton, prezzo base della classica Neverfull al pubblico 1.250 euro, si dicono abbastanza stanchi di essere pagati 14 euro all’ora (salario medio con quindici anni di anzianità) e puntano non solo a un aumento, ma anche a una migliore distribuzione del lavoro che impone limiti al ricorso dello straordinario settimanale nei periodi dell’anno in cui si concentrano i picchi di produzione (ah, non vi eravate ancora resi conto che il lusso ha le tempistiche di lavoro dei produttori di panettoni e pandori?).

  

Si tratta di un evento di portata eccezionale in un settore poco pugnace sul fronte sindacale dai tempi in cui Eleanor Marx organizzava le proteste fuori dai filatoi britannici, ma a cui crediamo abbiano contribuito parecchio gli eccezionali dati di bilancio (ricavi per 64,2 miliardi di euro, in aumento del 44 per cento rispetto all’esercizio precedente, profitti schizzati a +156 per cento) diffusi due settimane fa dal patron di Lvmh Bernard Arnault. Dati che hanno indotto le organizzazioni sindacali Cgt e Cfdt a consigliare lo sciopero al team produttivo della maison, a partire da quelli dell’insediamento originario di Asnières, nell’Hauts-de-Seine, dove qualche membro della famiglia Vuitton vi accoglierebbe, facendovi da guida, se mai riusciste a prenotarla. I dipendenti Vuitton, fra l’altro, non sono i primi della galassia Lvmh a scendere in piazza con i cartelli: a settembre avevano protestato i dipendenti della sigla M dell’acronimo Lvmh, cioè lo champagne Moët et Chandon, chiedendo il pagamento del cosiddetto ‘bonus Macron’, e ai primi di ottobre erano stati i dipendenti della catena di negozi beauty Sephora.

  

I vertici di Louis Vuitton hanno dichiarato a Le Monde di aver proposto agli scioperanti un aumento medio di 150 euro al mese, parallelamente a una riduzione dell’orario di lavoro da 35 a 33 ore settimanali e dichiarandosi disponibile a migliorare il rapporto vita privata-vita lavorativa dei dipendenti; proposta alla quale la Cgt ha risposto picche, chiedendo un aumento mensile di 350 euro e diversi bonus. In Italia, lo stipendio per i lavoratori inquadrati al sesto livello, il più elevato, nell’ambito del contratto nazionale per il settore pelli e cuoio, è pari a 2.136,94 euro; lo stipendio base (ai più recenti dati Aimpes) di un macchinista pelletteria è di 1.102 euro al mese. Decisamente inferiore a quello francese. Considerando il numero di pelletterie e calzaturifici di lusso che i gruppi della moda vanno acquisendo o aprendo in Italia (il prossimo sarà Fendi, alle porte di Firenze), resta da capire che cosa faranno gli addetti locali.

Di più su questi argomenti: