The naked truth”. Alcuni scatti del progetto fotografico-sociale di Christian Boaro 

Davvero credete che la fluidità sia una cosa moderna?

Riflessione a tre voci

Antonio Mancinelli

Lo stilista del momento, ex drag queen. L’ex direttore internazionale, oggi artista, disabile dalla nascita. Lo scrittore di sempre ottime realtà: chiacchierata senza freni sulle inquietudini narcisiste del maschio di oggi. Da cui le minoranze hanno però saputo cogliere la capacità migliore. O peggiore, vedete voi: fare branco

Rubare il titolo di quel piccolo, delizioso capolavoro di Stefano Benni che è il romanzo Comici spaventati guerrieri, rappresenta una forte tentazione per sintetizzare la condizione dei maschi caucasici etero. Però, per “guerrieri” non immaginatevi pugnaci cavalieri o eroi in trincea, ma al massimo pallide imitazioni di Don Chisciotte intenti a difendere i privilegi di una cultura che, forse, non piace più neanche a loro. Almeno così la pensa una giuria di tre maschi caucasici gay che li osserva benevolmente e con un filo di condiscendenza.

 

È composta da Fabrizio Sclavi, senese della contrada della Lupa, “un po’ stronzo” per sua definizione, classe 1947, fortemente disabile, tra i più celebri giornalisti di moda internazionali: dopo aver diretto Mondo Uomo, Männer Vogue, Amica, Vogue Homme International, oggi è un artista e scrittore che ha raccontato la sua avventurosa vita comprensiva di genio (molto) e sregolatezze (moltissime) nel memoir “I pesci rossi nascono sulle stelle”, edito da Mondadori. Spesso concede i suoi fantastici disegni al Foglio della Moda.

Il secondo è Christian Boaro, nato nel 1981 a Bassano del Grappa. Arrivato ragazzo a Milano, la notte si trasformava in una fulgida creatura ibrida nel mitico locale Plastic - “la Boara” era il suo nome da drag - “ma tanto gli adolescenti adesso si travestono tutti, senza pensare a chi ha aperto loro la strada" - mentre di giorno si faceva le ossa negli uffici stile di prestigiosi brand italici, da Versace a Dolce&Gabbana a Msgm. Nel 2020 ha lanciato la collezione CHB, una demi-couture senza età, senza sesso, senza taglie ma di solenne e moderna eleganza, preceduta da The Naked Truth, mostra di sue Polaroid di nudi.

 

E infine lo scrivente, romano del 1963, milanese dentro da sempre e fisicamente meneghino da trentadue anni, giornalista e scrittore (ndr: il suo nuovo libro è “L’arte dello styling”, Vallardi, in uscita a giorni).

 

Abbiamo tutti e tre esperienze di cui non amiamo parlare perché detestiamo la lagna - Boaro parla di “corazza costruita negli anni”, Sclavi di “momenti della mia vita in cui non sapevo se il mio peggior svantaggio fosse essere disabile o gay” - io sono stato vittima di episodi di bullismo. Situazioni che, come sostiene Brett Easton Ellis, celebre scrittore gay, nel libro “Bianco”, pur nella spiacevolezza sono state anche occasioni di crescita, di coltivazione dell’ironia, di svezzamento dello humour e di uno sgamato uso di mondo. Risultati ottenuti comunque senza correre da mammà per piangerle in grembo.

     

Spoiler: l’etero maschio è scombussolato, smarrito, spodestato da un potere che si è visto sfilare da femmine etero e minoranze di variegato orientamento sessuale, che gli hanno copiato, in caso di necessità, il meccanismo del branco: far fronte comune davanti al nemico, per poi tornare a guardarsi sospettosamente all’interno della propria “categoria”. Quest’ultima è definizione che disapproviamo cordialmente tutti: “Non sopporto le etichette, le categorie e le suddivisioni. Detesto le definizioni: nel mio caso, poi, catalogarmi come “disabile e gay” porta via anche troppo spazio” tuona Sclavi. “Gli incasellamenti fanno innervosire anche me”, gli fa eco Boaro. A chi scrive il mondo è sempre apparso diviso in due: persone stupide e no.

 

Visto che ci occupiamo tutti di moda, che cosa ne pensate di Fedez che lancia la linea di smalti, Achille Lauro che si trucca, Damiano dei Måneskin in borsetta Jackie di Gucci? Mi sembra che una certa equality sia stata raggiunta…

Fabrizio Sclavi. Il discorso sul genderless mi fa ridere: C’è sempre stato! Come è una costante, nella cultura occidentale, la maggiore vanità degli uomini rispetto alle donne. Una condizione direi genetica, su cui però ha gravato il terrore di essere considerati gay. Quella sì, è sempre stata l’onta massima.

C. B. Se vado su YouTube ad ammirare video di David Bowie o di Renato Zero, che si esibiva della cattolicissima tv di stato italiana dei Settanta, in effetti il fenomeno della femminilizzazione maschile mi sembra ci sia da sempre.

 

Un momento, però. Stiamo parlando di personaggi che poi fanno di tutto per ribadire la loro eterosessualità, facendosi fotografare come papà felice, o avviluppato alla moglie o fidanzata. Insomma, nella moda qualcosa da uomo dev’essere cambiato, rispetto agli Ottanta e ai Novanta…

F. B. Quando ho iniziato, nel 1980, a lavorare per “Mondo Uomo”, la moda maschile semplicemente non esisteva. Gli uomini si vergognavano di comprare le riviste di stile maschile: una volta, in treno - ero appena stato nominato direttore - vidi un signore che leggeva la mia rivista. Tutto orgoglioso, gli chiesi se gli piacesse. Mi rispose che l’aveva dimenticato lì sua moglie... Quando, invece, la moda esisteva, era composta da oggetti che andavano messi insieme: andavo a Pitti - ne avrò visti un centinaio - e sceglievo tutte le cravatte, tutte le camicie che poi avrei pubblicato abbinate secondo il mio gusto. Era il tentativo di formare una sensibilità al bello, quella sensibilità che fino ad allora era stata delegata alle consorti o alle amanti. Ovvero a chi era incaricato di fare acquisti anche per i partner.

C. B. Quando ho iniziato io, lo stile era molto didascalico. C’erano già gli stilisti importanti, ma chi avesse voluto essere “alla moda” era costretto al total look: tutto, dalle mutande all’abito, dalle scarpe agli occhiali, doveva avere la stessa firma. Era più una questione di status symbol, che di estetica personale. E comunque gli uomini erano ancora reticenti ad andare da soli nelle boutique, anche se prestigiose.

F. S. Diciamo che la situazione è cambiata nei Novanta, quando il mix ‘n’match, la possibilità di indossare capi diversi per costo o di origine differenti, è diventata una regola per uomini e donne. Con le nostre riviste, abbiamo insegnato agli uomini a vestirsi. E a trovare un loro lessico nel linguaggio dell’apparenza.

 

Però il tatuato di oggi, con le unghie laccate, le sopracciglia depilate, il corpo sagomato dalla palestra e dai jeans strappati ad arte è lo stesso che urla “finocchio!” al giovane che passeggia mano nella mano col fidanzato…

C. S. È lì il nodo della crisi dell’etero. È poco in pace con sé stesso e con gli umani di orientamento sessuale diverso dal suo. Di fondo, siamo sempre immersi, specialmente in Italia, in una civiltà machista. Il fatto che uno possa andare da un visagista, da un chirurgo plastico oggi è sdoganato come fenomeno sociale, ma non culturale: si fa ma non si dice. Si va in palestra e ci si tasta i muscoli a vicenda mentre ci si racconta barzellette omofobe. La frase che più mi fa infuriare è: “Ho molti amici gay...”, come se fossimo delle specie esotiche, per cui ribatto sempre: “Sapete, ho molti amici etero...”. In superficie, l’uomo etero è risolto, indipendente, ma si tratta di una vernice che, sotto le crepe, nasconde la paura di prima. Questo, senza contare le ipocrisie sui presunti canoni estetici dell’effeminatezza: per me, è assurdo osservare ragazzi etero depilati come polli spiumati, con le sopracciglia ad ala di gabbiano, magari un velo di cipria o una passata di rimmel, mentre i gay sfoggiano camicie a quadri da boscaiolo canadese, pettorali villosi, barbe folte… Vedo su Instagram account di maschi belli come statue, glassati d’olio, con indosso un tanga stile filo interdentale. Si definiscono “trainer” ed “esperti di sana alimentazione”: tra gli etero, c’è un narcisismo patologico.

 

Ecco: non esiste, secondo voi, un grande rimosso nella cultura occidentale, ovvero la rivalità tra uomini etero proprio sull’aspetto fisico, per non parlare di altre appendici? Non se ne parla, ma secondo me c’è eccome: Berlusconi dava del “bel giovanotto abbronzato” a Obama, per esempio…Un rosicone.

C. S. Sicuramente. L’invidia per l’altrui giovinezza, tonicità, resistenza e fascino è potentissima tra i maschi, etero e gay. Siamo tutti maschi rosiconi. Con la sola differenza del genere di persone che ti porti a letto. O di cui ti innamori.

F. S. Non è che siccome uno ama persone del suo stesso sesso, ciò lo renda per forza “migliore”: c’è molta omofobia interiorizzata anche tra gay. Alla sfilata di un celeberrimo stilista italiano, nei primi Ottanta, indossai una giacca fucsia di Comme des Garçons, un marchio che amo molto: beh, arrivò una telefonata del medesimo stilista al direttore per raccomandargli di farmi vestire in modo più sobrio… Naturalmente, comprai un intero guardaroba di Comme des Garçons. E il direttore, Flavio Lucchini, mi spinse a esagerare: lui, del resto, negli anni Ottanta andava in giro con una lunghissima pelliccia di visone bianco sulle Superga e nessuno ha mai dubitato della sua eterosessualità. Nel mondo della moda mi è stata “perdonata” più facilmente la mia disabilità, che non il fatto di accompagnarmi ad amici bellissimi, come Miguel Bosé, con cui non ero fidanzato ma erano tutti sicuri del contrario.

 

Capita anche a voi di avere uomini etero che vi confidano le loro pene d’amore? Io mi ritrovo messo peggio di Donna Letizia, a dispensar consigli…

C. S. Eccome! Poiché resiste il cliché dei gay amici delle donne – il che è vero, ma fino a un certo punto, perché con le ragazze alla fine ci si trova di fronte a una mancanza comune, diciamo - ti ritrovi a raccogliere rivelazioni che ti fanno cadere le braccia su come siano messi i maschi etero in una situazione relazionale.

F. S. I rapporti dei gay con gli etero sono sempre stati forti: specialmente le donne ci amano, sono attratte da noi, ma alla lunga si schiudono differenze di vedute. Possiamo essere loro complici, non sovrapporci alla loro visione.

C. S. Esatto. Non siamo creature ibride. Posso lanciare una piccola provocazione?

 

Siamo qui per questo…

C. S. Direi che, a non sentirsi a proprio agio, in questo momento siano tutti: etero, gay, trans, fluidi… Le donne sono sfiduciate da una figura maschile che vuole sembrare moderna ma in realtà non è cambiata affatto. Gli uomini hanno timore delle donne, perché le vedono più libere, più sicure, più emancipate, sebbene spesso anche la loro sia solo una maschera, sotto la quale si mescolano aggressività e insicurezza. Per quanto mi riguarda, oltre al ruolo di confidente dell’uno e dell’altra, rivendico la mia differenza in quanto persona, prima ancora che come uomo. Anche gli uomini e le donne gay non fanno parte di una comunità compatta. Sto cercando di buttarla un po’ sul ridere, ma tutto questo causa dei cortocircuiti che possono sfociare in tragedie.

 

Alludete alla violenza contro le donne?

F. S. Credo che, nella piaga dei femminicidi, l’invidia che i maschi etero provano per le donne di oggi, per la prova quotidiana delle loro capacità, sia una componente fondamentale della violenza. L’astio per un confronto spesso impari unito a un senso di possesso, di dominio, che viene instillato loro fin da piccoli, e che dunque e purtroppo dipende dall’educazione familiare, di cui le stesse donne sono responsabili. È difficile stare con una persona che senti superiore, semplicemente perché lo è e non vuole essere più remissiva, né più accomodante come una volta o come lo erano le loro madri. E ritengo che una sfumatura della stessa invidia sia quella che porta a comportamenti omofobici: da un lato, gli etero disprezzano i gay; dall’altro, provano un rancore sordo nei confronti della libertà con cui vivono la sessualità, molto più libera e, come dire, creativa. Le sovrastrutture del patriarcato tendono a ingabbiare i maschi etero entro le loro stesse sbarre.

 

La schwa, i pronomi impersonali, ogni lettera che si aggiunge via via all’acronimo LGBTQIA+… Penso come Nanni Moretti che “le parole sono importanti”, ma ho dei dubbi che questo tutelerà le minoranze sessuali…

C. S. No, ma non tutelerà neanche le maggioranze. Questi sono ipocriti orpelli che non cambiano la sostanza di una virgola, anzi tendono ad occultarla. Parliamo di donne: numericamente sono più degli uomini, in tutto il mondo. Eppure, tutta questa sbandierata libertà conquistata dal mondo femminile, a ben guardare, dov’è? Quante di loro sono a capo di atenei, di quotidiani, di aziende, anche nella moda? Le conti sulle dita di una mano. Bisognerebbe insegnare a fare l’arrosto dove c’è tanto fumo.

 

Sei d’accordo, Fabrizio?

F. S. Per esempio, adesso a capo delle pochissime riviste femminili che sono rimaste, trovi soprattutto uomini, naturalmente etero e padri di famiglia. O almeno: così dicono loro.

 


In copertina, “The naked truth”. Alcuni scatti del progetto fotografico-sociale di Christian Boaro, giunto al secondo anno. Gli scatti, tutti realizzati con Polaroid, indagano volti, corpi e personalità di soggetti diversi e unici, a metà fra reportage e ritratto. Designer poliedrico, Boaro ritiene che i vestiti servano per spesso più per occultare che per rivelare: questo progetto rappresenta “un viaggio introspettivo tanto per i soggetti quanto per me”. Parte delle foto è stata in mostra al PlasMA (Plastic Modern Art, la galleria attigua al Plastic Palace di Via Gargano)