Pettinatura dei conigli d'angora nella fabbrica di Luisa Spagnoli, 1939

il foglio della moda

Un lungo filo d'angora

Fabiana Giacomotti

Chiacchierata con Nicoletta Spagnoli, quarta generazione della famiglia fondata dalla prima imprenditrice italiana, per farsi ribadire che l’italianità è un valore importante e che no, non si vende

Quanto tempo ci vuole per rovinare tutto?”. È il 1986 quando la trentenne Nicoletta Spagnoli si rivolge sgomenta al segretario del padre Lino, morto all’improvviso dopo aver dato all’azienda Luisa Spagnoli l’organizzazione che ha tuttora: un nucleo fortissimo nella prototipia, molti laboratori locali. È il modello della façon all’italiana che dura tuttora e che crea un esempio per la futura, attuale, maglieria d’eccellenza umbra.

Nicoletta Spagnoli è laureata in farmacia, ha accarezzato l’idea di diventare ricercatrice negli Stati Uniti, ma è rientrata a Perugia su pressioni del padre che, facendo leva sul suo amore per il disegno, vuole iniziare lei e il fratello Mario alla gestione. Non c’è stato però il tempo per un vero passaggio, una “crescita interna”, come Nicoletta Spagnoli la chiama adesso che l’azienda continua ad essere orgogliosissimamente italiana e che suo figlio Nicola Barbarani, ventisei anni, ha iniziato da poco quel processo di apprendimento e di messa alla prova delle proprie capacità che a lei è mancato. Altissimo, lo stesso sguardo diretto della celeberrima trisavola Luisa a cui Raiuno dedicò poco prima dello scoppio della pandemia una miniserie che ha reso un minimo di giustizia celebrativa a un’imprenditrice per la quale la commissione cultural change del W20 si prefigge di portare sui libri di scuola il nome e la storia al pari di quella di Adriano Olivetti, al momento Nicola si occupa dell’e-commerce, che funziona abbastanza da fargli ipotizzare una prossima gestione diretta anche di questo canale distributivo.

 

Esplorare il tema della successione in casa Spagnoli significa discutere esclusivamente di gestione autonoma, di passaggio di consegne di padre in figli (la fondazione per opera di una donna non ha mai, per fortuna, creato quelle distinzioni di genere così evidenti in altri casi), di crescita entro la misura delle proprie capacità. Vendere o aprire il capitale è fuori discussione, tanto meno a un fondo: «Non che ci siano mancate le offerte, ma per noi sarebbe una sconfitta – dice l’amministratrice delegata – Questo lavoro per noi è una passione, prima ancora che un impegno e una responsabilità. Ogni volta che leggo di un passaggio di proprietà, penso che sia una resa per il Paese».

Sull’eventualità di fare ricorso a finanziamenti, magari sull’onda delle aperture del governo Draghi e in particolare del ministro Giancarlo Giorgetti a favore delle fusioni e dei network di impresa, tallone d’Achille dell’Italia delle mille microaziende, si vedrà: «Abbiamo un buon flusso di cassa, le riaperture stanno portando a risultati perfino superiori a quelli del 2019, e in particolare nelle proposte più eleganti, da cerimonia o da sera: c’è voglia di tornare a vivere e ad incontrarsi». Il fatturato, che nel 2019 era superiore ai 130 milioni di euro, ha risentito inevitabilmente dello stop forzato dell’anno scorso. Spagnoli insiste appunto sul grande recupero di queste ultime settimane, che lascia ben sperare per il futuro. Nonostante l’espansione progressiva nelle ex repubbliche sovietiche e ottimi risultati in diverse nazioni europee, prima di tutte la Spagna, Luisa Spagnoli è un’azienda ancora fortemente sbilanciata sul mercato interno e dunque sì, guarda allo sviluppo, anche nel sud est asiatico: il mondo delle donne impegnate ma “femminili” a cui si rivolge è notoriamente molto vasto, sembra apprezzare la recente svolta nel total look, forse è arrivato il momento di recuperare il tempo perso nel 2020.

Ogni generazione un passo in più, anche nel rapporto con i dipendenti. Se Luisa Spagnoli (che peraltro considerava l’azienda di maglieria un “divertissement”, essendo molto concentrata sulla fabbrica di cioccolato, la Perugina), creò il primo asilo nido per le dipendenti, con orari dedicati e pagati per l’allattamento, suo figlio Mario fece costruire la “città dell’angora”, quartiere autosufficiente di casette monofamiliari e botteghe artigiane per gli operai, molto simile all’ottocentesco villaggio Crespi lombardo ma provvisto di piscina e spazi ricreativi, chiamando inoltre a decorare gli spazi comuni uno dei firmatari del manifesto sull’Aeropittura, Gerardo Dottori: era “convinto che l’arte avrebbe concorso a creare un ambiente di lavoro stimolante”. Il ciclo murale, ricco di paesaggi, volti luminosi, colori sorprendenti, e una incantevole Madonna in trono, venne realizzato nel 1947, e coinvolse altri importanti pittori perugini, la cui opera è andata perduta. Nel tempo, quello straordinario lavoro, così perfetamente in linea era finito nascosto dopo uno strato di calce. Nicoletta Spagnoli l’ha riportato alla luce tre anni fa, grazie alla collaborazione della storica dell’arte Francesca Duranti. Della bisnonna, dice che i nipoti si recavano a trovarla, o meglio ad omaggiarla, in fila indiana. “Era caparbia, difendeva appassionatamente le donne”.

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