Lo sguardo di Bvlgari su Roma. Chiacchiere con il ceo Babin

“La capitale d'Italia ha una densità di bellezze troppo elevata. Contribuire, per un privato di successo è un dovere”, dice l'amministratore delegato della maison, che mette in mostra la sua storia ultracentenaria

Fabiana Giacomotti

Considerando quanta parte della nuova e strepitosa mostra di Bvlgari che apre domani nella doppia sede di Castel sant’Angelo e Palazzo Venezia è dedicata alla Dolce Vita, ci pareva indispensabile che il ceo della maison del gruppo LVMH, Jean Christophe Babin, desse un suo giudizio sulla Roma di oggi, oltre alle Ginelollobrigide, le sophieloren, Audrey Hepburn sposata Dotti, la Roma sul Tevere, gli smeraldi di Liz Taylor, quel disgraziatissimo abito da sposa di Linda Christian delle sorelle Fontana che spunta ogni volta con i suoi cinque metri di strascico e la nascita del made in Italy “nella residenza di Giovan Battista Giorgini in via de’ Serragli”, inquadratura sul cancello di villa Torrigiani che molte volte abbiamo visto e altrettante usato.

 

Non immaginavamo di certo che monsieur Babin desse un giudizio sulle buche, sulla monnezza che in questi giorni di “piena turistica” ha raggiunto i livelli di guardia, sullo sciopero dei mezzi che, proprio nel giorno dell’inaugurazione, ha fatto sì che il team di Bulgari mettesse a disposizione degli ospiti un servizio di navetta (auto blu, ça va sans dire) fra le due sedi espositive, perché nessuno dei gentili ospiti soffocasse per il caldo e la puzza. Era difficile attendersi anche un giudizio sull’attuale amministrazione di Roma, città che infatti trova omogenea “e questo è incroyable, paradossale se si considera che ha ventisette secoli di vita; eppure, la osservi da uno dei colli ed è bellissima, coesa”. Perfino cosmopolita, ha detto, portando pure un esempio di quotidiano buon senso: “I romani parlano tutti inglese, i francesi in questo sono molto più arretrati”.

 

Abbiamo dunque parlato dell’amenità di questa città degradata con levità salottiera per cinque minuti. Dapprincipio, credevamo che monsieur Babin volesse evitare le buche metaforiche di un giudizio magari poco politico sulla giunta Raggi. Poi, abbiamo capito. Il ceo di Bulgari, che osserva la città dall’ultimo piano di uno dei palazzi Federici sul Lungotevere, la vede bellissima come in effetti è da quella altezza. Non ha alcun problema con questa amministrazione e neanche ne ha avuti con quella precedente perché da anni Bvlgari, V ormai d’obbligo al posto della U con cui il fondatore Sotirio sbarcò a Napoli dall’Epiro, offre alla città di Roma parte dei contributi che, insieme con quelli di Fendi e di Gucci, le permettono di restaurare fontane, monumenti e perfino la Rupe Tarpea.

 

Lo scorso febbraio, la giunta Raggi ha annunciato che Bvlgari sarebbe tornata a “finanziare la capitale” dopo la riqualificazione della scalinata di piazza di Spagna garantendo un contributo di poco inferiore al milione di euro per rendere l’area sacra di largo Argentina accessibile e visitabile, preservando perfino “la storica colonia felina che da anni abita il sito archeologico”. Perché mai dovrebbe avere problemi il gioiello della corona di Bernard Arnault a trattare con i sindaci di Roma? Perché mai dovrebbe sentirsi dire di no, quando i progetti che propone sono comunque interessanti, aperti alla città per mesi (la mostra che apre domani chiuderà a novembre) e molto ben curati? La prospettiva da cui guarda il mondo Bvlgari, che restaura anche vecchi laboratori nelle campagne di Alessandria e li trasforma in centri d’eccellenza orafi mondiali, non è certo quella dei turisti accaldati che oggi aspettano invano l’autobus di fronte all’ingresso di palazzo Venezia, luogo ordinato di frescura e arte meravigliosa: “Abbiamo ottenuto permessi che sono eccezionali, se pensa alla scalinata di piazza di Spagna privatizzata in un paio di occasioni per noi, alla disponibilità di palazzo Braschi, a Caracalla, adesso a largo di Torre Argentina", osserva Babin, aggiungendo:"Siamo i primi a riconoscere che in una città ricca come questa l’amministrazione non possa occuparsi di tutti i restauri. Roma ha una densità di bellezze troppo elevata. Contribuire, per un privato di successo è un dovere”.

 

Adora dunque la Nuvola di Fuksas, “prosecuzione dello spirito di magnificenza che permea questa città”, e il pensiero internazionale che esprime. Vede solo questo, di Roma, e questo ha voluto, appoggiandosi al Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, che ha fatto del rigore scientifico la cifra da apporre (o opporre) alla controriforma in atto nel Mibac. La mostra, in realtà, è bella proprio per le due anime che esprime: aggira abilmente le pesantezze che sarebbero derivate da uno sguardo troppo italiano e troppo propedeutico mostrando per la prima volta, accanto alla collezione di Anna Magnani acquistata di recente e ad altre meraviglie inedite come una incredibile selezione di sautoir degli Anni Settanta, la grandiosa collezione di abiti di Cecilia Lavarini Matteucci, icona fashion di caratura internazionale, amica personale di Paolo Bulgari. Vedere una selezione di capi di saint Laurent e di Norman Hartnell, sarto della regina Elisabetta e della famiglia Windsor “perfida Albione” nella sala del Mappamondo, accanto al balcone fatale, ci ha dato una soddisfazione incredibile.