Il Foglio Weekend

Colloquio con Léon Krier, gran consigliere di Carlo e terrore degli archistar

Michele Masneri

Nella sua battaglia contro la modernità, il re ha un formidabile alleato. Parla l'architetto (scapestrato) del sovrano

Léon Krier è l’architetto di re Carlo d’Inghilterra. Autore di fama internazionale, è diventato il consulente ufficiale di Carlo nella sua impari lotta al moderno, per non parlare del post.

  

Professore, sta andando all’incoronazione  a Westminster? “Certo”, mi dice su Zoom da quella che sembra una casa al mare. Sta sempre in Provenza? “No, da un po’ di tempo  sto a Maiorca, per via delle tasse”. Si risparmia? No, ma almeno scappo dai francesi. I francesi ti perseguitano col fisco”. Però la Francia è il paese ideale per un architetto. Mitterrand non era un re, ma il committente da sogno. “Ma per niente, era un cafone, una volta lo interrogarono su qual era il singolo pezzo di architettura che preferiva e disse: la cupola dorata degli Invalides! Ma si può”. Krier non è solo l’architetto di re Carlo e uno splendido reazionario: è anche una specie di Barney Panofsky della progettazione. Nato in Lussemburgo nel 1946, ha cominciato con i numi tutelari del modernismo: Koolhaas, e Nouvel, e Eisenman. Ha fatto la Harvard degli architetti, la AA, ha insegnato a Yale, ha tenuto sulle ginocchia (metaforicamente) Zaha Hadid.

 

Poi ha dirazzato. Se i suoi amici e maestri si lanciano in grattacieli sempre più avveniristici, lui sogna un’architettura di una volta, dove i borghi abbiano quello che hanno sempre avuto, una chiesa, una torre, e una piazza. “Ah, le torri”, dice, scuotendo il capoccione di capelli candidi, con l’accento un po’ tetesco. “Cercavano di farmele togliere tutte a Poundbury”. Poundbury è il villaggio che ha fatto scalpore e scandalo in Inghilterra, villaggio appunto neotradizionale costruito nel Dorset in un feudo di Carlo, subito definito sul Guardian una “Disneyland feudale” per il suo aspetto kitsch. Qualcuno la paragona a un outlet, ma Poundbury non è solo il manifesto del New Urbanism – tendenza urbanistica perlopiù americana volta alla limitazione delle automobili - ma ospita attività produttive biologiche e perfino una fabbrica di componenti aeronavali. In ogni caso è un esperimento sociale che sta andando alla grande, si è rivalutato di brutto, “non sanno neanche loro quanto gli ho fatto guadagnare!”, dice Krier.

   

Non a tutti capita di incontrare il Sovrano committente… un Bernini che incontra Scipione Borghese, un Brunelleschi che incontra il suo Medici. Lei come l’ha incontrato il suo Carlo? “A una mostra di architettura da lui inaugurata nel 1987, e lì mi ha fatto capire che conosceva benissimo il mio lavoro, e mi ha chiesto di diventare suo consulente. Poi abbiamo cominciato a vederci, come carbonari, appuntamenti alle due di notte in case di amici comuni, poi mi ha chiesto di scrivergli dei testi su edifici, spazi pubblici, e quei testi poi sono diventati Architettura. Scelta o fatalità, il libro pubblicato anche in Italia da Laterza con la prefazione di Paolo Portoghesi nel 1995.   Lavorare per il principe non è facile. “Tutti i miei amici mi si sono rivoltati contro! Anche Jim (Jim è James Stirling, colosso dell’architettura inglese, vincitore del Pritzker Prize, con cui Krier aveva cominciato). “Lavori con Charlie Long Ears! Charlie l’orecchione, mi ha detto. Devi dare subito le dimissioni!. Gli intellettuali lo odiavano! Perché si davano tutti arie da progressisti, anche il mio amico Stirling, anche se so per certo che segretamente votava conservatore. Che poi era un po’ fuori, poverino, era stato paracadutato in Normandia durante la guerra, ferito gravemente, poi mandato in ospedale sei mesi in Scozia, poi ferito di nuovo, lasciamo perdere. Ma tutti me lo dicevano: non puoi lavorare per Charlie l’orecchione!”. 

 

Ha fatto anche dei progetti per le case del principe? “Ho disegnato l’arredo da giardino per Highrove, la sua tenuta di campagna, sì. Piuttosto pesanti, se devo dire. Io volevo farli costruire come sempre dalla ditta con cui collaboro, l’italiana Giorgetti, ma col fatto che è il principe abbiamo dovuto farli fare a una ditta inglese”. E a Highgrove ci va? “Sempre. Ci facciamo molte riunioni anche, con politici, filosofi, intellettuali”. E che fate? discutete di ordine mondiale? No, macché, io cerco di tenerlo lontano da quei dementi di Davos, quelli lì che puntano al grande reset…”. Ma professore, che dice. “Ma sì, sono dei dementi. Piuttosto, parliamo di cose pratiche: per esempio, ha mai notato che nei villaggi inglesi i primi piani sopra le botteghe erano sempre disabitati?”. No, veramente no, mi sarà sfuggito. “Ecco, col principe abbiamo scoperto che è un problema di assicurazione, l’assicurazione non paga i danni, né risarcisce i furti negli appartamenti sopra i negozi. Così abbiamo convocato i più importanti assicuratori d’Inghilterra e adesso, se guarda, le main street sono tutte ripopolate”.

 

Sembra di vederlo, il consigliere del principe col suo testone di capelli e il cappellaccio, e l’accento di Germania, nelle umide sere a Highgrove. Sembra di immaginare anche Diana, mentre si svolgevano i conciliaboli, su temi come l’altezza di un campanile e l’assicurazione delle botteghe, che si voleva giustamente buttare dalle scale, di sopra. Lei l’ha conosciuta? “Oh, no, quando ho cominciato a frequentare Carlo facevano già vite separate”. E Camilla? “Sì, l’ho conosciuta ma non benissimo”.  Comunque a Corte non si parla solo di botteghe. “Io cerco di organizzare dei simposi, per portargli degli intellettuali, per esempio Alain Finkielkraut dalla Francia, il filosofo, e direttori di giornali... già non è facile mettere insieme tutte le agende, è gente impegnata, ma il giorno prima il principe mi dice: ah, mi piacerebbe piuttosto discutere di musica! Ma come! Sir, ma come faccio!. E lì capisco che si è messo di mezzo il Palazzo, contro il Palazzo non puoi fare niente.  Il Palazzo è sempre stato contro il suo interesse. I primi anni ci mettevano sempre i bastoni tra le ruote. Per esempio nessuno voleva le torri, che invece piacevano un sacco a Carlo. Allora ho fatto con Photoshop una serie di finte slide in cui si vedevano storici villaggi dell’Inghilterra pieni di torri, allora gli uomini del Palazzo si son convinti. Bisogna fare così con questi!”. 

 

Poundbury è stata un’avventura incredibile. Impostata come una città tradizionale inglese di due o tre secoli fa, un pastiche di stile georgiano e vittoriano, costruita però con materiali modernissimi e volta a reprimere il traffico automobilistico con strade tortuose prive di segnaletica. Tra Milano 3 e il Trono di Spade. Anche per i suoi nuovi progetti Krier punta a creare città che non siano periferie o dormitori, ma centri alternativi, che non comportino ulteriore pressione sui centri esistenti. Krier è autore in Italia del piano per il quartiere fiorentino di Novoli e di altre piazze dal gusto rétro ad Alessandria e Valenza Po, ricche di archi, colonne, timpani e sculture ornamentali come se nulla fosse successo dai tempi di Piacentini e anzi ancor prima. 

 

A Poundbury con Carlo “abbiamo dovuto ricostruire da zero le competenze di muratori: come costruire un camino, per esempio, di mattoni. Nessuno sapeva più farlo. E ci guardavano tutti malissimo. Poi dopo però si è creata una generazione di artigiani pazzeschi, che hanno ricominciato a costruire in maniera tradizionale, ormai se giri per l’Inghilterra vedi delle costruzioni fatte bene, e c’è da scommettere che qualcuno ha lavorato a Poundbury”. Avete mai pensato di replicarlo altrove? “Oh, sì, a un certo punto mi cercarono per un altro progetto simile dei costruttori, ma erano corrottissimi, proprio dei farabutti, mi sono dimesso dopo pochi giorni. E poi pretendevano di farmi lavorare d’estate, una cosa inaccettabile!".

 

Krier ha dato man forte a Carlo nella sua battaglia anche teorica contro grattacieli e affini. Di sicuro c’è il suo zampino dietro il libro dell’allora principe di  Galles, Uno sguardo sulla Gran Bretagna. La mia concezione dell’architettura, 1989, tradotto in italiano da Frassinelli. È lì che il futuro Re ha messo nero su bianco tutte le sue critiche alla modernità architettonica e fissato dieci comandamenti per una rivoluzione conservatrice. A suo dire l’architettura dell’International Style del dopoguerra è stata peggio di Hitler. “Non si può negare che quando la Luftwaffe abbatteva uno dei nostri edifici, almeno non lo rimpiazzava con qualcosa di più offensivo delle macerie”, sostiene il Re. “Ha perfettamente ragione”, dice Krier. “A Londra hanno fatto più danni le archistar delle bombe naziste!”. E se Carlo voleva demolire i grattacieli, gli architetti volevano demolire lui. Richard Rogers scrisse in un articolo proprio intitolato “Tearing down the Prince”, tirar giù il principe, sul Times: “Non credo che il principe del Galles capisca qualcosa di architettura. per lui l’architettura è qualcosa di immobile, ferma in un certo punto del passato (nel suo caso il classicismo, una scelta bizzarra dal momento che è uno stile poco presente in Inghilterra)”.

 

Carlo scatenato se la prese pure con  un ampliamento della National Gallery a opera di un altro architetto intriso di contemporaneità.  “Un mostruoso brufolo posto sul volto di un amico amato ed elegante”.  Però alla fine Rogers l’hanno fatto Lord, e pure l’altro grattacielista, Norman Foster, pari del Regno, e lei niente. “E’ vero, ma perché non sono nato in Inghilterra”, scherza Krier. “Bisogna essere inglesi. Mi hanno dato però l’ordine della regina Vittoria, una fascia stupenda”.  La danno per "i servigi resi al sovrano". La metterà all’inaugurazione? “Mia moglie vorrebbe, io non credo, non so”. E quando le ricapita. Viene in mente la Regina Elisabetta in una celebre visita a Roma, e Mario Praz, un altro originale, le disse: “Vostra  Maestà mi dette una  bellissima onorificenza ma non so mai quando metterla”. E Sua Maestà: “venga a Londra! La metta lì”. 

 

Ma lei è monarchico a proposito, professore? “Ma no, ma cosa vuole, non mi interessa questa roba della monarchia, poi io sono del Lussemburgo, noi abbiamo un magnifico Granduca lì”. Ma insomma com’è lavorare per un Re? Pare complicato. Krier racconta di una serie di difficoltà, con il “Prince’s council” che mette in continuazione i bastoni tra le ruote. “Dopo Poundbury c’era un progetto per fare Spitalfields, un’altra cittadina, ed eravamo tutti entusiasti, poi arriva questa sfilata di uomini in grigio, sulle loro Rolls-Royce nere: ‘ma non si potrebbe aggiungere qualche piano, architetto?’”


Ma come ci si relaziona col principe? La chiama un segretario? “No, ci siamo sempre mandati fax coi disegni, con lui personalmente”. E ce l’avete ancora il fax? “No, oggi facciamo tutto per email”. Poi c’è appunto il Prince’s Council, “ventuno consiglieri micidiali, nei loro gessati di Savile Row, forse ce n’era uno di tutti loro capiva qualcosa di architettura. Continuavano a dirmi che avrei buttato i loro soldi, che il progetto non avrebbe fatto utili. Ho provato a spiegargli che l’architettura non deve fare profitti, che un buon edificio non è una macchina da soldi, e poi non capivano niente, calcolavano fontane e piazze nelle cubature”. Ma lavorare con tutte queste commissioni reali pare defatigante. “Una delle prime volte  arrivarono tutti questi in Rolls-Royce e uno mi disse: qua tu non sopravvivi a lungo. Non si capisce se sei tedesco, o cosa. Con questo strano nome e accento che hai penseranno che sei ebreo. Han tentato di farmi fuori in tutti i modi. Anche l’architetto capo del Dorset venne fatto fuori”. Insomma, ci sono più complotti che in The Crown. A proposito, la guarda? “Ne ho visto solo due o tre puntate poi mi son stufato,  cambiano in continuazione gli attori, non lo reggo”.

 

Lavorerà ancora col Re? E’ complicato, quando ci mettiamo insieme sembriamo la strana coppia, siamo il bersaglio perfetto di tutti, stampa, politica. L’antisemita e il Re!”. Antisemita? Ma non le davano dell’ebreo? “Tutte e due. Antisemita dopo che ho pubblicato il libro su Albert Speer” (l’architetto di Hitler, nda) nel 2013. Albert Speer: Architecture 1932-1942; testo fondamentale che poneva una profonda analisi: può un criminale di guerra essere un grande artista? Per la prima volta pubblicato nel 1985, poi diventato un classico, molto controverso. “Ci furono su di me delle accuse talmente allucinanti! Che ero appunto antisemita, che ero fascista, e pure nazista! E l’università gli dava retta. Ma che c’entra l’architettura con l’antisemitismo? Quindi me ne sono venuto a Roma per qualche mese”, Ah, sì, fanno tutti così, a Roma la cancel culture, il pos e Uber non li abbiamo mai fatti entrare. 

 

A Roma poi avete fatto il famoso progetto per Tor Bella Monaca. “Sì, nel 2010, agli Stati Generali della Città promossi dall’allora sindaco Gianni Alemanno, che era entusiasta”. L’idea, radere al suolo il quartiere e ricostruire una parte di città, 700 mila metri quadri di palazzine romane. Non se ne è più fatto nulla. Ma la palazzina romana rimane la sua passione. “La palazzina è un genere perfetto, umano, la gente parla coi vicini dalla finestra. Si trova in varie parti del mondo, ad Atene, in Guatemala. Ma le più perfette sono a Roma”. Ah, i Parioli, ah, la Garbatella. La Garbatella è magnifica”. “Eravamo andati avanti, sembrava tutto a posto, erano tutti molto entusiasti”. Il progetto è ambizioso, palazzine basse, circondate da giardini e piazze. Riqualificazione totale del quartiere. “Ma poi non si fermò tutto. Arrivò a un certo punto un costruttore, molto arrogante, che disse (qui Krier fa una imitazione del romano): architetto Krier, qui a Roma non sono gli architetti che comandano, siamo noi!”.

 

Sa che anche il primo ministro italiano è della Garbatella? “L’ho sentita parlare, non mi pare male”. L’unica cosa che non capisco è…”. Dica. “Perché appoggia così tanto quel manigoldo di quel Zelensky”. No! Professore, cosa dice. Torniamo alla palazzina. “La palazzina è la costruzione perfetta: è una torre, a tre piani, con terrazzi. Ma la palazzina non piace ai costruttori”. Che poi si chiamerebbero palazzinari, vabbè. “I costruttori vogliono i grattacieli. Quelli son perfetti, fatti solo per far più soldi, perché a parità di superficie i costruttori guadagnano dieci volte”. Dei grattacieli nuovi di Milano che pensa? “Ah, che idea stupida. Poi adesso li definiscono sostenibili. Ci mettono un po’ di fiori sopra e sono sostenibili! Che idea idiota. Un grattacielo sostenibile è come dire bombardare per la pace!”. Rem Koolhaas? “Siamo cresciuti insieme, non riesco a capire come abbia avuto tanto successo”. "Ma mi spiega piuttosto perché anche Rampelli è così pro Ucraina?”. Ma conosce pure Rampelli? “Sì, certo, l’ho incontrato varie volte, a un tavolo di lavoro per l’Eur, l’ho visto pure l’estate scorsa, all’Esquilino, a una riunione”. Guardi che ora è diventato un pezzo grosso. “Sì, certo, vicepresidente della Camera. Era seduto vicino a me, mi ricordo che era anche lui per Zelensky!”.  Be’ sì. “Poi si irrigidì molto e non mi ha più rivolto la parola”. Ma professore, lei non sarà pro Russia! “Io non sono pro nessuno. Suono ogni giorno musica russa al piano, se è per questo, ma cosa vuol dire. E in Ucraina vendevo i miei bellissimi mobili. Ho fatto un sacco di soldi”. “Ma non capisco se Rampelli si è irrigidito per Zelensky o perché nominavo Alemanno: penso che si odino”. Ha mai sentito parlare del progetto di Rampelli di ricostruire l’arco di trionfo mussoliniano all’Eur? “Ah, sì, qualcosa mi ricordo!”.Ma l’Eur è troppo moderno per Krier (“Non capisco perché Piacentini non si sia dedicato piuttosto alle palazzine”). 

 

Altri progetti futuri, professore? “Una roba enorme in Texas, un progetto per una nuova università sul Colorado River, finanziata da Elon Musk e Peter Thiel, tutti questi capoccioni della Silicon Valley. Che poi perché questi che vanno sulla luna poi si rivolgano proprio a me per avere un edificio tradizionale, non lo riesco a capire. Poi tra loro c’è pure un altro che è pazzo per la monarchia inglese, mi fa diventare matto con le domande su Carlo, e verrà pure lui all'incoronazione”. Farà altri progetti col Re? “Non lo so, ogni volta che ci mettiamo insieme scateniamo delle reazioni talmente violente che è meglio lasciar perdere, io il nazista, col Re, ci manca solo questa”. Ci prometta una cosa, porterà Re Carlo alla Garbatella? “Io ci provo, ma non garantisco niente”.  

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).