“Sotto il sole di Riccione”, scritto da Enrico Vanzina con Caterina Salvadori e Ciro Zecca per la regia degli YouNuts!, è uscito la scorsa estate 

Romagna, oh cara

Michele Masneri

Rimini e Riccione spopolano nell’estate autarchica, tra serie tv Netflix, Pier Vittorio Tondelli, il ballo liscio,  Ghirri, e tanta nostalgia

Mentre tra green pass e varianti Delta davvero “non ci si capisce più niente”, soprattutto l’organizzazione della vacanza, signora mia, è diventata un dramma. La pandemia ha impattato, come si dice, sulle mode balneari, ed ecco tanti rimescolamenti e riposizionamenti in questa estate, la seconda, dell’era autarchica.

 

Filicudi o Alicudi, “tutti nudi a mangiare i pesci crudi”, come cantava Stefano Benni, e ri-cantano Colapesce e Di Martino novelli toy boy con Ornella Vanoni che si sottrae all’aliscafo. E su che spiagge esibire “labbra rosso Coca-Cola”, magari in colori simil-Ghirri? E’ chiaro che di questi tempi, dopo mesi di “languishing” su divani e in smart working, stremati dal superlavoro e dalla superansia, il sentimento più forte di tutti è quello della nostalgia. Quelli del marketing, algoritmi e umani, lo sanno benissimo, e dunque puntano sulla nostalgia più potente di tutti: gli anni Ottanta. Così, eccoci tutti a dirottare su posti con grandiosi passati che rimandano a quegli anni. 


E dunque, via, verso la riviera romagnola. Se  Bellaria ha annunciato che intitolerà il suo lungomare a Raffaella Carrà, Netflix, imprescindibile medium (anche in senso paranormale) di consumi culturali, ha fatto prima il film e poi la serie. “Sotto il sole di Riccione”, girato dai “giovani” Younuts, ma scritto e prodotto da Enrico Vanzina,  vede soprattutto Andrea Roncato nella parte del bagnino in disarmo. Un’operazione alla Pupi Avati in cui il protagonista di pellicole micidiali ma innocenti, di intrighi balneari tra cabine e pensioncine, “Rimini Rimini”, uno e due, “Acapulco prima spiaggia a sinistra”, film con Anna Kanakis e Serena Grandi tra yacht Ferretti e pensioni Miramare, fa autocritica (e funziona) interpretando questo playboy ormai in pensione che mette in affitto una stanza su Airbnb e tenta di istruire nuove giovani leve sulla più antica cultura del rimorchio da spiaggia. Salvo poi confessare i turbamenti, e i fallimenti, del cuore. 

 

Poi c’è  Isabella Ferrari in una specie di mise en abyme: fa  il ruolo della sua rivale milf Virna Lisi in “Sapore di mare”, con le differenze del caso. Là la quarantenne rifiutava le avance di un toy boy, il fidanzato dell’allora giovanissima Selvaggia, ma all’epoca quarant’anni sembravano un’età in cui ritirarsi definitivamente dalle scene, e oggi si sa che invece ci si è appena affacciati alla vita, e dunque in “Sotto il sole di Riccione”, “tardona dillo a tua sorella”, dirà, lei, offesa, anche se ben più in là dei quaranta, a un buttafuori che la corteggia, e, a cui, a differenza della sua omologa antica, si concede prontamente in una storia d’amore forse non solo estiva. 

 

“Andrea Roncato secondo me ha fatto il più bel ruolo della sua vita. Tenero, malinconico”, dice al Foglio Vanzina. Che per una volta ha cambiato spiaggia, rispetto a quelle epiche della Versilia. "A Forte dei Marmi si sono molto arrabbiati quando hanno visto che giravo questo film a Riccione. Ma non dovrebbero. Certo sono due realtà diverse, una più esclusiva e una più popolare, ma in fondo sono esattamente speculari, alla stessa altezza sulla cartina, su due mari diversi. Fanno entrambe la guardia a qualcosa di molto italiano. E poi non dimentichiamoci che il primo "Sapore di mare" lo facemmo perché ispirati da "L’Ombrellone", il film di Dino Risi del 1965. Girato proprio a Riccione: così quando sono arrivato sul set, la prima cosa che ho fatto è stata andare in pellegrinaggio all’hotel dove stava Enrico Maria Salerno nel film”.  

 

La serie “Summertime”, sempre Netflix, sempre qui ambientata, apparentemente punta più sulla contemporaneità, con personaggi gay e di colore, ma in realtà gioca ancor più con la nostalgia. Il protagonista, impersonato da Ludovico Tersigni, è una specie di Valentino Rossi figlio d’arte, con papà fallito motociclista e dunque nevrotico allenatore; la mamma fa la direttrice di un albergo. Anche lì, nostalgia a pacchi, e astutamente, vasto uso di canzoni antiche, da Jimmy Fontana a Gino Paoli, per piacere ai genitori (che poi pagheranno i 16,99 di abbonamento alla piattaforma). Anche lì, autocritica romagnola, anche lì c’è un papà playboy con un figlio che però rimane vittima amorosa di una turista seriale senza cuore, in una nemesi del catcalling italico. I modelli si aggiornano, insomma, però il set rimane improntato alla nostalgia visuale più oleografica.

 

Inquadrature di massima tecnologia coi più moderni droni ma su insegne di hotel, gelati, biciclette, sabbie solitarie: una nostalgia molto Ghirri, il fotografo-poeta di Scandiano che immortalò anche la riviera, oggi massimamente celebrato e istituzionalizzato al Jeu de Paumes e al Moma. Ma anche  “labbra rosse Coca-Cola” nel product placement della nostalgia di Orietta Berti, da Cavriago, Reggio Emilia, anno di nascita 1943, tutto come Ghirri. E anche Vasco Brondi, cantautore rilevante,  ha scelto una sua foto per il suo nuovo album, in cui canta una “Italia sotto cieli struggenti / Tra ristoranti e cuori sempre aperti”.  E per il distretto della nostalgia “Si prospetta una buona stagione, daremo il meglio” ha detto al “Resto del Carlino” il capo dei bagnini di Romagna – categoria che per la Romagna equivale ai bramini - Diego Casadei:  “Tanti italiani che preferivano la vacanza in un Paese estero, quest’anno scelgono noi”.

 

La Romagna partecipa anche allo speciale campionato degli spot delle regioni, tema che meriterebbe spazio a parte: ci sono le Marche con Mancini, c’è il Veneto col claim “Land of Venice”, c’è la Sicilia di “your happy island”, tutte cercano di acchiappare turisti a più non posso nell’epoca in cui l’estero è rischioso. La Romagna mette in campo  uno spot “da un milione di euro”, con "Musica leggerissima" sotto, che mostra spiagge, corpi, discoteche (che però saranno ancora chiuse). Ma anche, arcobaleni Lgbt e yoga in spiaggia, perché ci sono gli aggiornamenti all’oggi. Così per esempio il comune di Riccione ha appena incaricato la massima archistar milanese, Stefano Boeri, di risistemare il piano urbano, anzi il “Ceccarini distretto verde”, aggiornandolo  ai tempi ecologici e carbon free, e creando “il primo quartiere energeticamente autosufficiente d’Italia”, puntando a un posto in cui vivere tutto l’anno. Cosa che in molti si son trovati a fare.

 

“Come Diego Abatantuono, che ci ha vissuto per anni”, dice sempre Vanzina. “Questa parte d’Italia e l’Adriatico son stati per anni un po’ ignorati dai grandi architetti. Ma qui c’è una colonia disegnata negli anni Sessanta da Giancarlo De Carlo, che è stato uno dei miei maestri”, ha detto Boeri. "Quel luogo andrebbe recuperato”.  Altre memorie: a Riccione andava e continua ad andare Francesco Vezzoli, il nostro artista più intelligente. “Negli Ottanta e nei Novanta, con mamma e zie, ricordo l’incredibile boutique Papete che vendeva Comme des Garçons come panini”, ricorda col Foglio. E lì, in quel luogo, da non confondere con il lido caro ai leghisti, “ricordo la visione di una giovane e sfolgorante Stefania Orlando”, già signora Roncato. La vicinanza col distretto emiliano della maglieria  fu, secondo Vezzoli, anche la ragione della nascita del clubbing. Le discoteche, i primi club gay, un ecosistema comunque unico in Italia.  “A un certo punto, per disegnare le loro collezioni, queste aziende che stavano nella vicina Carpi cominciarono a chiamare i vari Jean Paul Gaultier. Designer internazionali che venivano per lavorare e chiedevano di rimanere il weekend. E si tiravano dietro dj di un certo tipo, e persone di un certo tipo. La club culture vera di stampo londinese. Quella mitologia nasce così”.

 

“A Karpi, a Karpi!”, con la K, invocava del resto all’epoca Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore che più di ogni altro ha raccontato quel mondo e quell’epoca, gli anni Ottanta, che nella riviera romagnola avevano trovato, come si dice oggi, un punto di caduta, una specie di speciale campo di forze. “In tutta la riviera di Romagna le discoteche, i club, i dancing, le balere abbondano a ogni angolo di strada. Ci sono quelle sul lungomare  e quelle in collina, quelle rinchiuse in uno scantinato e quelle ospitate in villette e prefabbricati. Ci sono disco per ragazzi e per schettinatori, per dark e per paninari, per gay e per tardone, per ricchi e per poveracci”, scrive Tondelli nel fatale 1985. La riviera era una specie di Ibiza però nostrana, forse anche prima di Ibiza, con in più caratteri assolutamente innovativi, il gusto per una nascente società dello spettacolo, la moda, il kitsch. Un capitolo del “Weekend postmoderno” di Tondelli si chiama proprio “Adriatico Kitsch”: “ancora una volta sul fianco destro delle patrie sponde s’inscena la sfilata del desiderio in un missaggio di antiche forme e nuovissime attitudini, insomma ecco in breve qualche nota dalla riviera postmoderna” (1982). 

 

Chissà le origini, da dove arrivano, di questo speciale genius loci. Lo spirito libertario, una certa sfrenatezza e libertà di costumi ignota ad altre parti d’Italia, voglia di vivere, anche gran gusto per un camp che si traduca in fatturato. E poi musica, e cultura del ballo. Cinquant’anni fa moriva Secondo Casadei, “lo Strauss di Romagna”, inventore o codificatore del ballo liscio, che lasciò scritto un aforisma:  “La musica romagnola non tramonterà mai, finché ci sarà una sola persona che avrà voglia di ballare”. Fece più di 1000 canzoni e soprattutto “Romagna mia”. L’orchestra Casadei faceva almeno 365 concerti l’anno (uno al giorno, la domenica, spesso, due).  Da figlio di sarti inventò e impose le famose divise eleganti: i suonatori erano vestiti tutti uguali, come le band americane. La sua statua troneggia al cimitero di Savignano sul Rubicone, cimitero che è ai mezzi col comune di San Mauro Pascoli, e lì c’è la tomba del poeta. “Cantò la sua Romagna generosa e la sua gente la più umile, la più vera”, è inciso (per Casadei, non per Pascoli). Ma due poeti is megl che uan.

 

Dal liscio alle disco: “Era una Rimini in cui trionfava una vita tanto vulcanica quanto inautentica, una fabbrica che produceva sogni per ognuno, vendendo scappatoie che divertivano e perciò etimologicamente divergevano dalla ricerca di senso e speranza all’insensatezza dell’esistenza. Eri a Viserba, entravi allo Slego e, tra mods, skins e rockers, ti sembrava di essere nel set di Quadrophenia; eri a Gabicce, scendevi le scale dell’Aleph e ti sembrava di essere in Miriam si sveglia a mezzanotte”, ha scritto Moreno Neri, finissimo intellettuale e grande organizzatore di eventi negli anni Ottanta. Due cose, umanesimo e divertimento, che in riviera stavano volentieri insieme. A un certo punto Gianni Fabbri, patron del “Paradiso”, vinse il premio “Re delle notti d’Europa”, che vedeva in gara New York e Tokyo, mentre il fratello, Paolo Fabbri, era l’insigne semiologo collega di Eco.

 

Oggi certo tutte chiuse, le discoteche, che pure si preparavano a un grande ritorno. Cipriani, il famoso ristoratore, ha rilevato Cocoricò e Altromondo, celebri club. Intanto altri anniversari: trent’anni fa moriva Tondelli, e “Rimini”, quel libro, giallo un po’ chandleriano in cui un giornalista di una volta (dunque con tutto l’apparato di fax e telescriventi) viene spedito a riordinare la sede locale di un quotidiano, rimane il più grande manifesto degli anni Ottanta, e non casualmente non è ambientato nelle grandi città italiane, Milano o Roma, ma qui. E “si sente”, davvero, che l’atmosfera è un mistone tra Los Angeles e Miami, in cui si stacca dal lavoro e ci si infila in macchina e non si sa bene dove si finirà, ma si comincia a girare. Sembra anche un po’ “I protagonisti”, di Robert Altman, o una Californication con uso di piadina.

 

La presentazione di quel romanzo, a noi soprattutto a cui i Covid ormai impediscono anche di offrire tartine, e costretti a micidiali presentazioni su Facebook dove ci seguono soprattutto le nostre zie e le ex professoresse del liceo, evoca rimpianti e sospiri. “I Lanzichenecchi al Grand Hotel”, titolò polemico “Il Resto del Carlino” per la serata del 5 luglio 1985 che aveva visto l’albergo  felliniano ospitare la presentazione  del romanzo. E c’era davvero tutto, folle e investimenti anche libidici, e una coincidenza fatale con l’inaugurazione della mostra, quello stesso giorno, intitolata “Anni Ottanta”, curata da Renato Barilli, per cui i due eventi e le rispettive utenze si sovrapposero. L’hotel leggendario messo sottosopra, i duecento invitati previsti più cinquecento imbucati, e Roberto D’Agostino, in turbante nero, star di “Quelli della notte”, a officiare. Poi musica (la colonna sonora era indicata alla fine del romanzo). E D’Agostino poi raccontò d’aver sorpreso Tondelli in camera sua intento addirittura a un’orgia, prima del reading (altro che Zoom con “sarà presente l’autore, oggi”).

 

Insomma, “Rimini” pare veramente l’evento che “chiude” gli anni Ottanta. Del romanzo si sarebbe dovuto fare un film, ma non ci fu tempo, Tondelli muore nel ‘91, e  quel reading-danza pare qualcosa di molto simile ai grandi avvenimenti che chiudono un’epoca, i vari muri caduti, oppure un altro grande ballo, quello in bianco e nero fatto nel ‘66 da un altro scrittore grandissimo e morto anzitempo, Truman Capote, che per molti decretò la fine di un altro decennio mica male, i Sessanta. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).