Una manifestazione in sostegno del metodo Stamina nell’aprile 2013, poco prima che fosse avviata la sperimentazione (foto LaPresse)

Curatori fallimentari

Luciano Capone

Ultima la polemica sui vaccini. L’intramontabile partito di chi alla scienza preferisce la stregoneria

I vaccini possono diventare un tema centrale della discussione politica solo in un paese sottosviluppato, alle prese con gravi emergenze sanitarie, oppure in un paese in bancarotta culturale. L’Italia evidentemente fa parte, per il momento, del secondo caso. Nei giorni scorsi è scoppiata un’infuocata polemica dopo che il New York Times con un editoriale ha sottolineato la pericolosità “in questi tempi di post-verità delle menzogne, delle teorie cospirative e delle illusioni diffuse dai social media e dai politici populisti”, citando proprio “il populista Movimento 5 stelle, guidato dal comico Beppe Grillo, che ha attivamente fatto campagna su una piattaforma anti vaccini, ricalcando falsi legami tra vaccinazioni e autismo”. Quando il comico ha definito “una cazzata” l’articolo del Nyt, pregando «il direttore del giornale di dire quali sono le fonti su cui si basa questa fake news e di chiedere subito scusa per questa bufala internazionale”, in rete sono comparse le tante assurdità dette dal M5s sui vaccini e uno spettacolo di Beppe Grillo del 1998 che descriveva i vaccini come farmaci inutili e, peggio ancora, dannosi. Quello spettacolo, «Apocalisse morbida”, è particolarmente istruttivo perché in un passaggio Grillo si occupa anche di cure del cancro, esaltando le figure di medici “eretici” che si sono opposti allo strapotere dell’industria farmaceutica e della “scienza ufficiale”, partendo dal caso che teneva banco all’epoca, il “metodo Di Bella”, una pseudocura che non ha mai dimostrato alcuna efficacia. Ma per Grillo le cose sono andate diversamente, la scoperta rivoluzionaria del vecchio medico di provincia è stata insabbiata dai poteri forti di Big Pharma. E non è la prima volta: “Sapete quanti Di Bella hanno fatto fuori in trent’anni? Senza che noi sappiamo niente? - diceva il comico - Vi ricordate un certo veterinario, Bonifacio? Era un veterinario che aveva scoperto che alle capre non veniva il cancro; fece studi su studi, lo radiarono da tutte le parti. Morto quasi in miseria, gli diedero dello stregone, del ciarlatano”.

 

Nel 1998 Grillo parlò
di cure del cancro, esaltando quei medici “eretici” che si erano opposti allo strapotere della “scienza ufficiale”

La vicenda del “siero di Bonifacio” merita di essere raccontata, perché è un po’ la madre di tutte le campagne Anti Vax, di tutti i casi Di Bella e Stamina, in cui la ricerca e il metodo scientifico sono stati piegati dalla politica e dalla giustizia su spinta della folla disperata, incantata dai “guaritori”. Liborio Bonifacio era un veterinario di Agropoli, in provincia di Salerno, che negli anni ‘50 inizia a preparare un suo cocktail per curare il cancro. Perché mai un veterinario si occupa di oncologia? Perché Bonifacio, che è sempre a contatto con gli animali, nota che le capre non hanno mai il tumore. A partire da questa osservazione ha un’intuizione: “Che questa specie sia refrattaria ai tumori? E se è così, perché non cercare di trasferire questa loro tipica immunità o immunoresistenza nell’uomo?”, scrive nel suo libro “La mia cura contro il cancro” pubblicato nel 1970. E così comincia a preparare una specie di estratto di capra, composto da feci e urina dell’animale mescolate con acqua e poi sterilizzato. “Si estraggono, all’interno della capra macellata, le feci e si mescolano con urina, prelevata dalla vescica dello stesso animale, aggiungendo circa 1/3 di acqua bidistillata. Si lascia macerare il tutto per circa 48 ore. Si filtra, prima con normale carta da filtro e, successivamente, con filtri sterilizzanti Millipore, ottenendo così una sostanza liquida di colore giallo paglierino scuro”. Il risultato è il “siero di Bonifacio”.

 

“Sapete quanti Di Bella hanno fatto fuori
in trent’anni?”, diceva
il comico. “Vi ricordate un certo veterinario, Bonifacio?”

Il veterinario inizia a sperimentare il suo intruglio sugli animali e poi sui malati, annunciando risultati mirabolanti. Le cose non stavano davvero così, come racconta sul sito Medbunker il medico Salvo Di Grazia. “Il primo utilizzo del siero su essere umano fu su una donna con metastasi da tumore mammario il cui figlio si rivolse a Bonifacio per un aiuto”, dopo una prima iniezione e un apparente sollievo “mentre Bonifacio si apprestava a preparare la seconda dose la donna morì. Fu in seguito a questo ‘incidente’ che il veterinario formulò l’ipotesi di differenziare il sesso delle capre dalle quali ricavare il siero secondo il tipo di tumore da curare”. Dopo lo stesso Bonifacio richiese e ottenne una sperimentazione al Pascale di Napoli “su 10 cavie e tre uomini con tumori ormai inoperabili con risultati assolutamente negativi. Il veterinario si mostrò successivamente insoddisfatto del metodo di sperimentazione”.

 

Nonostante gli insuccessi e l’assenza totale di riscontri scientifici, la voce della scoperta di una medicina che curasse il cancro cominciò a diffondersi nel paese. Prima in silenzio, poi a macchia di leopardo e infine, verso gli anni 70, in maniera dilagante quando alcuni giornali e settimanali iniziarono a diffondere la storia. Partirono i primi “viaggi della speranza”, la cittadina di Agropoli divenne meta di un vero e proprio pellegrinaggio, con le strade piene di macchine parcheggiate e file lunghissime di malati in attesa di essere ricevuti dal dottor Bonifacio, che non pretendeva pagamenti ma una “libera offerta”. “Le voci di ‘efficacia’ si sparsero come sempre in maniera aneddotica: racconti, storie di amici, parenti e conoscenti – scrive Di Grazia – Si sparsero anche leggende, come quella che voleva la Regina Elena (moglie dell’ex re d’Italia) malata di cancro e poi guarita grazie al siero segretamente somministrato. Nessuna statistica scientifica né evidenza, solo il passaparola, fino al momento dell’esposizione nazionale. Uscì un articolo sul mensile Epoca (notissimo in quegli anni) con la storia e un’intervista al veterinario del siero. Fu il boom. Nel gennaio del 1970, la rivista Il progresso italo-americano scriveva che Bonifacio fu costretto a fuggire e rifugiarsi in una località segreta per evitare le migliaia di richieste che lo assillavano. Ignoti ladri entrarono a casa sua rubando centinaia di dosi del siero”.

 

La vicenda del siero:
la ricerca e il metodo scientifico piegati
dalla politica e dalla giustizia su spinta
della folla, incantata
dai “guaritori”

Nell’Italia del Dopoguerra c’era molta ignoranza, la ricerca e il metodo scientifico non erano specializzati e strutturati come adesso e nella memoria collettiva c’erano ancora i ricordi di grandi medici e scienziati che da soli, nel proprio laboratorio, avevano fatto importanti scoperte mediche. Ma in quell’abbaglio collettivo giocavano fattori sempre attuali, che rendono le pseudocure contro il cancro – come per altre patologie – una caratteristica vecchia quanto la malattia e la sua capacità di uccidere. Le famiglie colpite da una malattia che all’epoca era molto più letale e che veniva contrastata con metodi che causavano molta più sofferenza ed erano molto meno efficaci, credevano disperatamente in qualsiasi “cura alternativa”, poi l’intervento della stampa che dà credibilità e costruisce una mitologia attorno al guaritore e infine l’aneddotica e la logica della folla che prevalgono sulle evidenze empiriche e la logica sperimentale. Esattamente lo stesso schema che si è visto all’opera, trent’anni dopo, in un’Italia moderna e profondamente diversa da quella del dottor Bonifacio, con il professor Di Bella e Davide Vannoni modellato dal racconto mediatico: grande fascino del personaggio che è sempre una persona modesta, mosso dalla sete di conoscenza, disinteressato dal denaro, ostracizzato dalla medicina ufficiale e ignorato dalle istituzioni; impegno gratuito nella cura dei malati (costi a parte, ma solo perché è tutto autofinanziato); aneddotica e testimonianze dell’efficacia della cura; numero sempre crescente di malati che chiedono accesso al nuovo “metodo”; indignazione dei giornalisti che chiedono “chiarezza” e la sperimentazione “imparziale e senza pregiudizi” della cura per appurare “una volta per tutte” se sia efficace o meno.

 

Dopo raccolte fondi, lettere ai politici, petizioni al governo e persino un appello al Papa, nel 1969 il ministero della Sanità autorizza la sperimentazione, al di fuori di ogni protocollo e pur non conoscendo neppure la composizione del “siero”. Sembra una follia, ma le cose non sono andate molto diversamente pochi anni fa con l’autorizzazione del Parlamento alla sperimentazione del metodo Stamina. La commissione Bonifacio, incaricata della sperimentazione, dopo aver analizzato il “siero” miracoloso scrive che “il prodotto in esame consiste in un estratto acquoso contenente tracce di proteine diluite in soluzione di glucosio” e che “basandoci su quanto scritto, non è possibile definire il prodotto come ‘siero’”. Il siero non è siero, ma soprattutto è diverso da flacone a flacone: “La sostanza non è costante nella sua fabbricazione e nel confezionamento. Il ministero ha rilevato che le fiale sono state preparate e chiuse a mano, una tecnica che rende facile la contaminazione anche del singolo flacone”. Nonostante queste premesse la sperimentazione parte lo stesso su 16 pazienti con diversi tipi di tumore e si conclude nel 1970 con una condanna: “Il prodotto in sperimentazione non presenta nessuna azione curativa sul cancro, non cambia la sintomatologia e non esercita effetti benefici sulle condizioni del paziente. Questo verdetto automaticamente esclude la possibilità di sperimentare il prodotto su un gruppo più vasto di pazienti”. In realtà sarebbe bastato constatare una cosa semplice, che avrebbe smontato dalle fondamenta “l’intuizione di Bonifacio”: le capre si ammalano di cancro. Contraggono varie forme di tumore: sarcomi, carcinomi del timo, del polmone, della mammella dell’utero.

 

Ma nonostante le evidenze e le sperimentazioni fallimentari, il veterinario Bonifacio continua a distribuire il suo siero, fino a quando il caso non riesplode nel 1982, quando alcuni ricercatori dicono di aver trovato una nuova cura partendo dal siero di Bonifacio. Riparte il teatro, con nuovi appelli, manifestazioni, comitati e una nuova “commissione” per una nuova sperimentazione. Anche dopo la morte di Bonifacio nel 1983, le pressioni popolari per avere il “siero” sono forti e nel 1985 il prefetto di Salerno – un po’ come accaduto con le più recenti sentenze dei tribunali a favore delle terapie Di Bella e Stamina – autorizza la distribuzione gratuita del “siero di Bonifacio” prodotto dagli eredi del veterinario. Grillo poi ripesca la storia nei suoi spettacoli e nel 2008, dopo un appello sul Corriere del Mezzogiorno del figlio di Bonifacio, il rettore dell’Università di Salerno Raimondo Pasquino dichiara che il suo ateneo è “disponibile a continuare la sperimentazione del siero di Bonifacio”, sempre quello a base di pipì e cacca di capra.

 

Si estraggono, all’interno della capra macellata, le feci e si mescolano con urina, aggiungendo circa
1/3 di acqua bidistillata...

Sembra che, rispetto a certi meccanismi sociali e cognitivi, non sia cambiato molto rispetto agli anni di Bonifacio. E in un certo senso è proprio così. Nel 1966, proprio mentre il veterinario distribuiva il suo intruglio, sul “Cancer journal for clinicians” veniva pubblicato un articolo, dal titolo “Unproven cancer remedies, a primer”, contenente un decalogo per riconoscere ciarlatani e stregoni: si tengono in disparte dal mondo scientifico; non usano i regolari canali di comunicazione della professione medica e scientifica; denunciato un pregiudizio della comunità scientifica nei loro confronti; sono pronti a citare scienziati del passato che si sono scontrati con i dogmi del loro tempo (sono tutti Galileo Galilei); i metodi usati sono segreti o noti solo a loro; i resoconti clinici sono scarsi o inesistenti; spesso utilizzano un gergo complesso o oscuro; scoraggiano o addirittura rifiutano la consultazione con scienziati rinomati e quando vengono smascherati si difendono denunciando un complotto del sistema o delle multinazionali; sono persone di scarsa cultura scientifica; godono del sostegno di scrittori, attori e cantanti.

 

A ben guardare molte di queste caratteristiche non sono poi tanto diverse da quelle dei politici populisti che garantiscono di avere la ricetta rivoluzionaria per guarire l’economia e la società.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali