L'ex pm Antonio Ingroia con Rosario Crocetta, dal novembre 2012 presidente della regione Sicilia

Il partito della maldicenza

Accursio Sabella

Dal governatore Crocetta all’ex pm Ingroia: la facilissima arte di mascariare chi non è d’accordo con loro

Il gioco è semplice. Basta dire, ma allo stesso tempo non dire. Alzare non il vento della polemica, ma la brezza della maldicenza. Diffondere il cattivo odore dell’illazione, dell’allusione. E ovviamente, è necessario non citare alcun fatto concreto, ma fermarsi alla superficie dello scandalicchio sotto la quale, spesso, non trovi nulla. Ma intanto, il gioco è fatto. Basta quello per lanciare un avvertimento, per avvisare l’avversario: qui si gioca sporco. Per intimidire e delegittimare, per allungare l’ombra del discredito con un solo fine: quello di allontanare da sé la critica, l’appunto, la contestazione; quello di criminalizzare il nemico o l’avversario. Insomma, è il gioco antico e semprevedere del mascariamento. Che in Sicilia negli ultimi tempi ha raggiunto le vette dell’arte. Arte povera, ovviamente. Poveraccia, in qualche caso. Perché in realtà va a scavare con le mani nel torbido, pescando il fango anche dove non c’è, pur di gettarlo in faccia all’avversario. Nell’Isola, del resto, di fuoriclasse nell’arte della maldicenza ne esistono diversi. A formare una specie di partito diffuso, fondato sulla retorica legalitaria, sull’antimafia dei pennacchi, come la definì il vicepresidente della Commissione parlamentare Claudio Fava. “La mafia dell’antimafia” ha osato qualcuno, a cominciare dall’ex candidato a Palazzo d’Orleans Nello Musumeci, nel corso di una drammatica seduta d’aula a Sala d’Ercole, sede del parlamento siciliano.

 

Uno dei rischi è quello di fare autogol. Come nella vicenda di Caterina Chinnici (il governatore alle europee preferiva Lumia)

E in effetti, la legislatura del mascariamento iniziò proprio con lui. In piena campagna elettorale, l’aspirante governatore Rosario Crocetta recitava le sue litanie antimafiose, a volte, probabilmente, strabordando un po’. “Farò i nomi e cognomi – disse Crocetta – sull’accordo tra Musumeci e Micciché (Gianfranco, leader siciliano di Forza Italia, ndr) per riprendere il discorso sui quattro termovalorizzatori gestiti dalla mafia. So per certo – aggiunse – che Musumeci e Micciché hanno fatto un accordo per riprendere la realizzazione dei quattro termovalorizzatori in una gara falsa: un appalto che, è stato provato, è controllato dalla mafia”. E ancora: “Noi non abbiamo candidati indagati, condannati, né gente sul cui curriculum pesano dubbi. Musumeci, invece, gli dico: avrebbe dovuto farlo perché di gente da arrestare nelle loro liste ce n’è parecchia”. Eccola qua una bella secchiata di fango a chi aveva osato correre contro di lui alle elezioni. Come è finita? Nessuna indagine da parte della procura su quel fantomatico accordo. E così Musumeci ha denunciato Crocetta. Il governatore, dal canto suo, è andato a rannicchiarsi, probabilmente preoccupato dalla querela per diffamazione, dietro lo scudo dell’immunità che gli veniva offerta dal Parlamento europeo di cui era ancora membro nel corso di quella campagna elettorale.

 

Iniziò con Musumeci, ma andò avanti a lungo. E andò meglio a Crocetta quando dal palco di una convention politica provò a indossare i panni di un novello Pio La Torre, puntando il dito contro un esponente della sua maggioranza che proprio quella mattina fu citato in un articolo di giornale per presunti rapporti con imprenditori dell’eolico in odor di mafia: “Qui dentro c’è qualcuno che non dovrebbe starci”, recitò Crocetta dal palco. La querela, puntuale anche stavolta, verrà archiviata. Ma intanto, il mascariamento era arrivato: quel consigliere infatti non fu mai nemmeno indagato per quella vicenda.

 

Dettagli, ovviamente. Così come un dettaglio era il fatto che una piscina costruita nella casa di un assessore regionale era del tutto in regola. Ma contro Mariarita Sgarlata, cacciata con ignominia dalla giunta, si rovesciò la furia del governatore. Anche quell’indagine evaporerà come una bolla. E lascerà il dubbio che quella manovra ad altro non servisse se non a nominare un altro assessore, politicamente più utile. Un mascariamento al servizio degli equilibri in giunta.

 

In fondo, l’assessore Sgarlata se la cavò con poco. Il mascariamento, sebbene assai efficace, si arrestò a una semplice, seppur infondata, accusa di abusivismo edilizio. Altre e più sottili illazioni furono quelle che Crocetta sollevò nei confronti del presidente della commissione Salute del parlamento siciliano, Pippo Di Giacomo, consigliere del Pd e colpevole, in quei mesi, di sostenere una “opposizione interna” al governatore. E così, ecco servita la mascariata, fondata sulla visita all’Ars di un imprenditore “discusso”: “La frequenza di quell’imprenditore non ci sembra proprio una frequentazione da suore orsoline”. Digiacomo si limitò a ricordare al governatore che quell’uomo era stato introdotto da “esponenti politici molto vicini a Crocetta”. E guarda caso, la polemica si esaurì in un baleno.

 

La colpa di Giovanni Fiandaca: non tanto i dubbi sulla Trattativa, quanto essersi candidato nella corrente del Pd ostile a Crocetta

Perché uno dei rischi compresi nell’allegro gioco dei mascariamenti, è quello di fare autogol. Di scivolare nel paradosso. Come nella vicenda di Caterina Chinnici, figlia del magistrato Rocco ideatore del “pool antimafia” e ucciso da Cosa nostra nel 1983, scelta dal Pd per guidare la lista alle ultime elezioni europee. I leader siciliani avevano in quell’occasione chiuso la porta a Beppe Lumia, il braccio destro del governatore Crocetta. Come reagì il presidente siciliano? Ricordando che la figlia di Rocco “è stata un assessore di Lombardo, condannato per mafia”. Eccolo lo schizzetto anche su una persona limpida come Caterina Chinnici. Un mascariamento risibile, in questo caso, anche perché pochi minuti dopo Crocetta rilancerà, chiedendo la candidatura di Lumia. Proprio uno dei più convinti sostenitori dell’intesa con Raffaele Lombardo. Un sostegno così deciso da portare il senatore a uno scontro frontale con Rosy Bindi, allora presidente del Pd: Lumia voleva creare un governo politico con Lombardo, già indagato per mafia. Ma Crocetta pensò bene di omettere, in quella occasione, questo particolare.

 

Del resto erano i giorni in cui le maldicenze finirono per colpire anche il docente di Diritto penale Giovanni Fiandaca. La sua colpa? Non tanto quella di avere scritto, insieme all’autorevole storico Salvatore Lupo, un libro che avanza dubbi sulla “portata” del processo sulla cosiddetta Trattativa (La mafia non ha vinto), ma quella di essersi, appunto, candidato nella corrente del Pd ostile a Crocetta. E così, ecco servita anche per lui la maldicenza: “Fiandaca è il negazionista della trattativa stato-mafia e vuole l’abolizione del 416 bis. Questo Fiandaca è tutto un pelo e un peliddu”. Fiandaca insomma, secondo Crocetta, negava “la storia della lotta alla mafia. Negando l’intuizione di Pio La Torre. Questo partito non può candidare nelle proprie liste – aggiunse Crocetta – chi vuole offuscare la battaglia e il successo di Pio La Torre”. Come è andata a finire questa storia? Dopo un po’, Crocetta ha nominato Fiandaca garante siciliano per i detenuti: “Un uomo – disse il governatore in quell’occasione – che in questi anni ha condotto una battaglia democratica per la tutela di ogni cittadino”. Lungo le misteriose vie del mascariamento, insomma, è bene anche avere la memoria corta.

 

Solo in tempi più recenti, Crocetta ha lanciato la sua fatwa persino contro un assessore in carica e nominato dallo stesso governatore: Alessandro Baccei ha la colpa di rappresentare in giunta l’area renziana del Pd, in particolare quella che fa capo al sottosegretario Davide Faraone, gran nemico di Crocetta. E così, ecco saltare fuori un dossier su un consulente dell’assessore, citato nelle carte dell’inchiesta Consip, ma mai indagato. Baccei non batterà ciglio, assicurando di voler revocare quell’incarico, a patto che anche tutti gli indagati e i condannati attorno a Crocetta ricevessero lo stesso trattamento.

 

Una fatwa persino contro un assessore in carica, nominato dallo stesso Crocetta. Illazioni e luogotenenti assai attivi

Da quel momento Crocetta, contornato da un cerchio magico sul quale sono piovute in questi anni indagini contabili e penali e anche qualche condanna della Corte dei conti, ha rimesso la polemica nel cassetto. Pochi giorni prima, però erano sorte altre illazioni. Rilanciate in forme assai simili, anche da due “compagni” di partito. Il partito della maldicenza, ovviamente: l’avvocato Antonio Fiumefreddo oggi a capo dell’azienda che riscuote (o prova riscuotere) le tasse in Sicilia e l’ex pm Antonio Ingroia.

 

L’assessore Baccei – questa la denuncia di Palazzo d’Orleans – si sarebbe recato ad alcuni incontri con i dirigenti del Monte dei Paschi di Siena, istituto col quale la Regione ha in corso un contenzioso milionario. “Tale avvenimento – ha fatto sapere Crocetta in una lettera aperta inviata all’assessore – assumerebbe ulteriore rilevanza anche alla luce del fatto” che l’assessore “avrebbe prestato attività di consulenza a favore del Monte per conto della società Ernest & Young”. Fatti smentiti categoricamente dal diretto interessato. Ma l’ombra del mascariamento è tutta nelle parole del sottosegretario Faraone, amico dell’assessore: “C’è chi ama lavorare, chi ama fare provvedimenti concreti e chi ama invece passare pomeriggi all’arena di Giletti o intere giornate a costruire dossier fasulli nei confronti di avversari politici ed alleati. Buttare fango su persone perbene”.

 

Ma il partito della maldicenza, guidato da Crocetta, può contare, come detto, su luogotenenti assai attivi. Come uno dei fedelissimi del governatore siciliano, l’ex pm Ingroia, che, dopo avere smesso la toga per accucciarsi nel munifico sottogoverno di Sicilia, non ha abbandonato i vezzi dell’inquisitore. Sparando a salve contro chi osi muovere una critica qualsiasi. Figuriamoci un’inchiesta. E’ il caso del procuratore della Corte dei conti Gianluca Albo, colpevole di avere aperto una inchiesta su un presunto danno erariale legato alle assunzioni volute da Ingroia nel carrozzone regionale Sicilia e-servizi. Un’indagine contabile che fece avviare un’inchiesta penale, poi archiviata. E così, Ingroia decise di affidare al giornale Huffington Post la sua “dedica” al procuratore. Per stigmatizzare il comportamento dell’ex collega Ingroia, innanzitutto, ha rivendicato il merito di avere fatto condannare Marcello Dell’Utri. Poi, ecco l’allusione: Albo, scrive Ingroia, che “pensò bene nell’aprile 2014 di accusarmi di un presunto danno erariale” è nipote dell’avvocato di Dell’Utri dal quale aveva ricevuto una consulenza. Ed ecco spiegate meglio le “affinità parentali” e gli “incarichi consulenziali” di Albo: il magistrato contabile, nel 2003, era stato scelto come consulente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia, allora presieduta dallo zio di Albo (è nipote della moglie, ndr), il senatore e penalista Enzo Trantino. La consulenza ci fu, ma a titolo gratuito. Albo, che si dimise, incassò solo poche centinaia di euro per il rimborso delle spese di viaggio.

 

L'ex pm se l'è presa fra l'altro con il procuratore della Corte dei conti Albo, colpevole di aver aperto un'inchiesta su Sicilia e-servizi

Gli ex colleghi del resto sembrano tra i destinatari preferiti delle maldicenze di Ingroia. E la Procura di Palermo è stata l’obiettivo degli strali dell’ex pm in più occasioni. E’ il caso, ad esempio, della inchiesta sul giornalista Pino Maniaci, difeso da Ingroia. Una indagine “surreale, basata sul nulla, costruita dalla procura su fatti infondati” secondo l’ex pm. Una operazione nata per “distruggere – disse Ingroia – un uomo di televisione”. Stesso discorso in occasione di un’altra inchiesta, quella sull’imprenditore Rosario Basile, patron della Ksm, colosso della sicurezza, finito dentro una storia di minacce e violenze relative a una vicenda personale e difeso sempre da Ingroia. Di fronte a una prima pronuncia che sembrava alleggerire la posizione dell’imprenditore, l’ex magistrato-avvocato-amministratore ha chiesto alla procura di “tornare sui suoi passi, chiedendo scusa a Basile”. L’ultima polemica con la Procura riguarderà una indagine proprio su Ingroia, accusato di peculato per le spese compiute in qualità di amministratore unico della società regionale della quale è alla guida grazie alla nomina dell’amico Crocetta. In quel caso, l’ira di Ingroia, non certo passato alla storia come un magistrato allergico ai riflettori, piombò contro le “continue fughe di notizie che vengono tollerate, quasi plaudite, con incredibile leggerezza”. Oltre che nei confronti del pm che lo stava indagando sulla base “di una legge che non esiste più”: insomma, ignorante o in malafede, tertium non datur.

 

A proposito del carrozzone guidato da Ingroia, il mascariamento arrivò puntuale anche contro un dirigente regionale che aveva osato far notare che forse quell’azienda costava un po’ troppo e che bisognava tagliare circa due milioni di spese. E così, ecco le solite misurate parole dell’ex pm, che ha voluto ricordare come ai tempi in cui la Regione veniva saccheggiata “davvero”, c’era proprio quel dirigente “a controllare”, “mentre io – ricordava Ingroia – stavo in Procura a cacciare i latitanti mafiosi e i loro complici”. Un po’ pm, un po’ manager, un po’ avvocato. La tavolozza dei colori tra i quali scegliere per il mascariamento del nemico, per Ingroia è assai ricca. E così ecco spuntare le altre ombre su quel burocrate. Il “taglio” chiesto dal dirigente “guarda caso”, disse Ingroia, è equivalente alla “cifra che risulta essere stata distratta proprio dall’Ufficio da lui diretto, per coprire debiti fuori bilancio dell’amministrazione regionale, in favore di un fornitore scelto come beneficiario, fra tutti i creditori della regione, in modo così tanto discrezionale, da dare adito a giustificati sospetti”. Nuovi sospetti. Ma giustificati, ci mancherebbe. Come è finita? Non risulta alcuna denuncia, e quel dirigente oggi è tra i più vicini al presidente della Regione Crocetta.

 

Anche stavolta i giustificati sospetti sembrano poggiare sul nulla. Ma il gioco delle ombre resta il preferito tra i militanti del partito della maldicenza. Ingroia recentemente se l’è presa anche col giornale online Livesicilia, “colpevole” di avere svelato e descritto gli escamotage utilizzati dal governo regionale per consentire il rinnovo dell’incarico dello stesso Ingroia. Nessuno lo può giudicare. Nessuno osi muovere una critica al partito della maldicenza. Cè un mascariamento pronto per chiunque.

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