Particolare della Resurrezione di Lazzaro, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova.

L'ospedaliere di Dio

Maurizio Crippa

Un Medioevo luminoso. L’Hôtel-Dieu in Borgogna e un’idea di cura del malato. Un libro racconta

Il 4 agosto del 1443 Nicolas Rolin aveva 67 anni e aveva ormai superato la soglia dell’autunno della vita, in un secolo europeo in cui la vita media, anche per un uomo facoltoso e vissuto negli agi, era di gran lunga inferiore. E Nicolas Rolin era un uomo molto facoltoso, oltreché potente. Era consigliere di fiducia dei duchi Valois Borgogna, era stato a lungo avvocato al Parlamento di Parigi, da vent’anni era Cancelliere del ducato di Borgogna, uno degli stati più ricchi e ammantati di splendore d’Europa nel fulgido “autunno del medioevo” di cui ha raccontato Johan Huizinga. Uomo abile, colto e di grande intelligenza operativa, aveva accumulato, oltre alle cariche, ingenti ricchezze personali. Un “homo faber”, sul crinale tra medioevo ed età moderna, pienamente riuscito. Ma quel 4 agosto del 1443 aveva maturato da tempo la sua decisione e aveva convocato notabili e popolo di Beaune, la capitale del ducato, sul sagrato della Collegiata. Fu in quel giorno e in quell’anno che il Cancelliere lesse ad alta voce l’Atto di fondazione del suo ospedale per i poveri, che sarebbe diventato l’. Spiegò che l’avrebbe costruito e finanziato in perpetuo a sue spese, per la salvezza della sua anima barattando (era un uomo pratico) i suoi beni temporali per ottenere, sperare di ottenere, la salvezza eterna della sua anima. Annunciò che avrebbe edificato “un ospedale per i poveri infermi, con una cappella in onore di Dio onnipotente e della sua gloriosa madre Vergine Maria”, “per accogliere, curare e dare ricovero ai poveri infermi, nella misura e nelle proporzioni opportune”. Nell’Atto di fondazione, Nicolas Rolin si impegnava non solo a costruire l’edificio, ma a garantire in eterno i mezzi di sostentamento, dotandolo di entrate costanti. E poiché era un uomo pratico, nel suo disegno aveva specificato tutto: “Io dispongo e ordino che siano predisposti e sistemati nell’edificio principale e accanto alla cappella del detto ospedale trenta letti, ovvero quindici lungo un lato del detto edificio e quindici su quello di fronte; e altri ancora, in numero da definire, da sistemare sia nel luogo che diverrà l’infermeria del detto ospedale sia altrove, ovunque se ne presenti la necessità, per accogliere nell’ospedale i poveri infermi, e così pure le suore e il personale inserviente; e dispongo che i poveri di entrambi i sessi, infermi o denutriti, siano accolti, sfamati e curati a spese del detto ospedale, fino a quando non torneranno in salute o saranno convalescenti, così che altri poveri infermi, se ve ne saranno, possano prenderne il posto; e affinché codesti poveri possano essere adeguatamente accuditi e serviti, io dispongo e ordino che nel detto ospedale prestino servizio e abitino a spese del medesimo donne pie e di buona condotta in numero sufficiente a adempiere all’incarico di servire i poveri. E, nello stesso modo, io dispongo e ordino che il detto ospedale con le sue entrate e tutto ciò che lo concerne sia, da adesso e in perpetuo, sovrinteso e amministrato da un responsabile delegato, religioso o laico, in grado di dirigerlo convenientemente”.

 

Nel 1443 il Cancelliere di Borgogna era un uomo già anziano, e in quell’epoca di grande sviluppo economico – segnata da guerre e violenze ma anche da una intensa ripresa della vita spirituale in Francia e in tutta l’Europa e in cui gli ideali cristiani più profondi e “cavallereschi” non erano ancora stati spazzati via dalla modernità – aveva deciso di prepararsi a una morte cristiana, e all’imminente incontro con il Giudizio di Dio. La vita (Dio) gli regalò però ancora molti anni operosi, morì infatti nel 1462, a 86 anni. In tempo per realizzare la sua opera – assistito e coadiuvato dalla sua terza moglie, Guigone de Salins, nobildonna di grande pietà e di spiccato senso operativo – e vederla accogliere i suoi malati poveri, nonché crescere nella stima di tutto il popolo e nelle donazioni di nobili, ricchi, ecclesiastici e Papi.


A rendere diverso e originale l’Hôtel-Dieu, a Beaune, fu anche la bellezza ricercata del luogo, che, specchio della bellezza e della bontà di Dio, doveva risplendere agli occhi dei ricoverati


L’usanza di costruire ospedali e ospizi (“Hospices” è l’altro nome con cui è chiamato l’Hôtel-Dieu di Beaune) per i poveri non era nuova, com’è noto, nell’Europa cristiana medievale. Gli Hôtel-Dieu in Francia esistevano dal VII secolo, sorgevano presso le cattedrali ed erano solitamente retti dal vescovo. In Italia e in ogni nazione erano molti gli “ospizi” retti da ordini religiosi, confraternite di carità o, più tardi, posti sotto la giurisdizione e la sovvenzione del potere politico (la Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore di Milano, fu fondata da Francesco Sforza nel 1456, negli stessi anni in cui Rolin dava vita alla sua azienda sanitaria). E’ sicuro che il Cancelliere si sia ispirato, nella progettazione, anche architettonica, ad esempi esistenti e da lui conosciuti, come quello di Valenciennes o l’ospedale della Biloke di Gand. Ma L’Hôtel-Dieu di Beaune è un caso – in quanto edificio e in quanto opera di cura – assolutamente unico. E non molto conosciuto, se non per i turisti (una media di un milione e mezzo l’anno) che lo visitano soprattutto per la magnificenza della sua struttura tardogotica. A renderlo diverso, e originale, contribuiscono vari fattori. Tra i quali gli standard di cura e di assistenza dei ricoverati che non avevano (e a lungo non avranno quasi in nessun luogo) eguali. Poi, per il moderno sistema di autofinanziamento. Infine per la bellezza ricercata del luogo. Perché Nicolas Rolin e sua moglie Guigone avevano ben chiara in testa una cosa: poiché i poveri erano “i poveri di Cristo”, il loro trattamento doveva essere all’altezza, se non di una dignità regale, dell’immagine di Dio che in essi si rifletteva. E la bellezza, specchio della bellezza e della bontà del Dio Creatore, doveva risplendere ai loro occhi, cosicché predisponesse non solo alla salute corporale ma anche alla salvezza spirituale. Che era considerata di maggiore importanza.

 

A ricostruire e spiegare per bene la magnifica storia dell’ospedale di Nicolas Rolin ha da poco provveduto un bel libro, anche fotografico, si intitola “L’Hôtel-Dieu di Beaune - Impresa, carità e bellezza”, e lo ha pubblicato Marietti 1820. Raccoglie alcuni saggi di autori diversi, a fare da asse portante è il lavoro della storica Claudine Hugonnet-Berger che ha ricostruito passo passo la sua storia secolare, con puntiglio e utilizzando tutto il materiale d’archivio ancora esistente (molta parte dei beni, dei libri e dei registri dell’Hôtel-Dieu sono stati alienati, o sono andati perduti nel corso dei secoli. Per non parlare dell’opera di sistematica distruzione messa in atto dalla Rivoluzione). E’ significativo che una delle fonti principali di Hugonnet-Berger sia un inventario (Rolin aveva prescritto che venisse regolarmente fatto ogni anno) redatto nel 1501 dalla Madre superiora delle suore che – con una regola particolare predisposta anch’essa dallo stesso Rolin – accudivano i malati ed erano responsabili delle strutture. La scrupolosa Madre elenca tutto: dalla quantità di letti, mobili, madie e relativa collocazione e uso ai quadri alle pareti, dal numero di lenzuola, asciugamani e pezzuole da medicazione alle medicine, dalle pentole e stoviglie alle scorte alimentari, fino alle botti di vino (nell’ospedale esisteva un torchio in cui si lavorava l’uva delle vigne di proprietà) destinato alla dieta di pazienti e lavoranti. A scorrerlo, esce un quadro stupefacente dell’attenzione dedicata a ogni particolare e della eccellente funzionalità in base a cui tutto veniva predisposto e condotto. E pure dell’attenzione economica affinché il denaro non fosse sprecato, ma usato per i malati e a gloria di Dio.

 

“Nicolas Rolin aveva previsto quattro o cinque anni di lavori”, scrive Hugonnet-Berger, “ma non andò così: i registri contabili relativi agli anni 1458-1471 documentano che i lavori erano ancora in corso e interessavano il fabbricato per il torchio e i portici del cimitero”. In ogni caso, la Grande Corsia dei poveri era stata inaugurata l’1 gennaio 1452”. La Grande Corsia dei poveri – oggi è visitabile nel restauro ottocentesco – è il cuore dell’edificio e di un’idea innovativa per l’epoca. I poveri avevano letti con baldacchino e lenzuola, strumenti per l’igiene. Luce e calore erano assicurati da soluzioni tecniche degne delle dimore aristocratiche. Il malato al centro della cura è un’invenzione che riteniamo moderna, ma le sue basi concettuali devono molto all’attenzione caritatevole che Rolin volle per i suoi poveri. Cucine, laboratori, lavanderie, sistemi di smaltimento furono progettati e realizzati con la massima qualità e senza badare a spese. Le quali spese furono ingenti, e poi vennero quelle del mantenimento. Ed è qui che la genialità pragmatica del Cancelliere, un vero precursore, ha molto da insegnare anche all’oggi. Nell’illuminante saggio introduttivo al volume (nel box in questa pagina ne pubblichiamo uno stralcio), l’economista Stefano Zamagni spiega come quella di Rolin non fu soltanto “elemosina”. A muoverlo fu una concezione precisa della destinazione sociale e civile della ricchezza elaborata da secoli di cristianesimo e che giungeva allora a consapevole maturazione. E soprattutto un’idea imprenditoriale: l’ospedale doveva vivere in eterno, per questo lo dotò di rendite, ma anche di capacità produttiva: vigne, terreni, che garantissero la ricchezza necessaria a sostenerlo. Esistevano perfino corsie di “solventi”, dove aristocratici e borghesi pagavano fior di rette per essere accuditi con la stessa carità con cui lo erano i poveri. E così ne pagavano la retta, a sconto dei loro peccati. Era un’idea di imprenditoria civile non più medievale, ma concettualmente moderna. Non pauperismo, ma generazione di ricchezza per un suo preciso utilizzo.

 

L’istituzione ospedaliera esiste tuttora, in altra sede. Si finanzia ancora con i suoi beni, tra cui la celebre asta internazionale dei pregiati vini delle vigne di Rolin. E con donazioni che proseguono: ancora nel 2012 è stata donata una vigna, situata nel comune di Flagey-Echezeaux sulla Côte de Nuits, che produce un Grand Cru. Ad maiorem gloriam Dei. Che è lo stesso motivo, la gloria di Dio, per cui Rolin volle il suo ospedale tanto architettonicamente bello. Perché conta la bellezza, infine, che è la porta del Paradiso. Nella Grande Corsia campeggiava, visibile da tutti, un polittico di inconsuete dimensioni del Giudizio Universale, opera di Rogier van der-Weyden, grande pittore fiammingo (ora è nelle sale museali dell’Hospices). Era lì per essere visibile e “leggibile”, scrive Giuseppe Frangi nel saggio che vi dedica, in ogni istante da ogni malato, suora e infermiere. Per essere capito nel suo significato di invito alla salvezza dell’anima, oltre che a quella del corpo. In una unità ideale tra cura del malato, destinazione della vita e senso della morte non così medievale, a rifletterci con gli occhi di questi giorni.

 

Le figure inginocchiate di Nicolas e di sua moglie Guigone fanno parte del polittico del Giudizio universale di Beaune. Ma il più bel ritratto del creatore dell’Hôtel-Dieu è nella celebre tavola della “Madonna del Cancelliere Rolin” di Jan van Eyck. Il Cancelliere l’aveva commissionata per la sua cappella di famiglia. Ora è al Louvre.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"